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mercoledì 30 settembre 2020

DANTESCA
di Franco Toscani




Dante e "la caligine del mondo"
(a "Salvino" Dattilo e Attilio Finetti)
 
1. L'inesauribile patrimonio culturale di Dante   
rivolto all'umanità planetaria

Come vera e propria festa e compendio dello spirito umano, la Divina Commedia convoca in una possente e mirabile costruzione nel contempo poesia, narrazione, storia, politica, teologia, filosofia, scienza, arte, letteratura, immensa cultura e dottrina, fertile immaginazione, humanitas, tensione morale, virtù civili e quant'altro, elementi e aspetti tra i più disparati che sono tenuti armoniosamente insieme da una straordinaria capacità di canto e di suggestione poetica. Perciò non ha molto senso distinguere rigidamente in Dante la "poesia" dalla "non poesia", come ha fatto un pur grande critico e filosofo come Benedetto Croce ne La poesia di Dante (1921) e altrove. Essere poeti richiede per Dante, oltre che la strenuitas ingenii e l'artis assiduitas, anche l'habitus scientiarum (cfr. De vulgari eloquentia, II, IV, 9).
Il punto essenziale consiste proprio in ciò: nel convogliare in altissima poesia e con una prodigiosa varietà di mezzi espressivi l'enorme materiale di memorie e speranze, esperienze e fatti storici, incanti e orrori, piaceri e dolori, virtù e colpe, tensioni terrene e vagheggiamenti celesti di cui tratta la Commedia. Per questi motivi Dante Alighieri non è soltanto il maggiore genio poetico italiano, ma è tuttora potente luce, una delle luci irrinunciabili per l'umanità intera, per l'umanità planetaria di difficile gestazione.
Noi qui non potremo approfondire gli aspetti principali del capolavoro dantesco né svolgeremo un discorso storiografico-letterario, ma cercheremo di occuparci soprattutto della "caligine del mondo" nel grande poema, focalizzeremo dunque la nostra attenzione sulla superbia, tema che, nelle nostre intenzioni, ci farà comprendere pienamente una delle ragioni essenziali dell'attualità di Dante e del rinnovato interesse contemporaneo per la sua opera.
Il tema al centro del nostro discorso emerge già nel primo Canto dell'Inferno, allorché Dante non può raggiungere il "dilettoso monte" (cfr. Inferno, I, 77) che rappresenta la vita virtuosa alla base della felicità umana, perché è ostacolato da tre fiere (il riferimento è qui a Geremia, 5,6) - una lonza (la lussuria), un leone (la superbia), una lupa (la cupidigia) -, le quali rappresentano simbolicamente le tre disposizioni peccaminose che impediscono agli individui una conversione dei cuori e delle coscienze e minano profondamente la vita sociale, civile e politica dei popoli. Il fine etico-politico di redenzione è già qui presente, sia pure soltanto abbozzato. Il leone, simbolo della superbia, "parea che contra me venisse/ con la test'alta e con rabbiosa fame,/ sí che parea che l'aere ne tremesse" (Inferno, I, 46-48).
Altrove l'Alighieri stesso ammette di essere stato molto tentato nella sua vita dalla lussuria e dalla superbia dell'ingegno, non invece dalla cupidigia, che - come impietatis et iniquitatis genitrix (Epistulae, XI, 14) e inordinatus appetitus cuiuscumque boni temporalis, secondo la definizione scolastica - era per lui alla base della corruzione sociale e politica.
Noi qui tenteremo di seguire le indicazioni del poeta per cercare ancora una volta di imparare qualcosa da un grande classico, fonte permanente di nuova vita e di nuove possibilità per noi, per il futuro dell'umanità. Non pochi studiosi hanno già da tempo giustamente sottolineato l'importanza della dimensione profetica (o profetico-apocalittica) nella Commedia (cfr., ad esempio, Inferno, I, 100-111; Purgatorio, XXXIII, 43-45; Paradiso, IX, 139-142; XXII, 14-15; XXVII, 61-63, 142-148), tema su cui è rinvenibile un'ampia bibliografia.
Dal mero lirismo stilnovistico della fase giovanile, che pure ha dato risultati poetici eccellenti, nella Commedia la poesia di Dante si fa più complessivamente impegnata, più pronta a misurarsi col destino dell'uomo e coi problemi dell'umana convivenza e civiltà. L'intento del grande poema - come l'autore stesso chiarisce anche nelle Epistulae (XIII, 39-40) - non è tanto o soltanto lirico, contemplativo, speculativo, ma è anche e soprattutto etico-pratico e politico, per superare lo status miseriae e condurre gli uomini alla felicitas. Dante tende a oltrepassare la "selva oscura", come "selva erronea di questa vita" (cfr. Inferno, I, 1-3 e Convivio, IV, XXIV, 12), in vista di una redenzione che vuole essere sia personale, dai propri errori e peccati, sia di tutta l'umanità dal suo stato di corruzione, disordine e decadenza. Per ogni essere umano che viene al mondo vi è infatti un campo sempre aperto e problematico di donazione di senso e di azione, come ben sapeva il poeta in versi celeberrimi: "Considerate la vostra semenza:/ fatti non foste a viver come bruti,/ ma per seguir virtute e canoscenza" (Inferno, XXVI, 118-120).
Come si sa, i classici non valgono e non appartengono soltanto al passato, ma hanno tutto l'avvenire davanti a sé. Dante non ha bisogno di retoriche celebrazioni, ma di essere riletto e rimeditato sia per godere del suo canto sia per procedere meglio nel nostro arduo cammino di umanizzazione. Concentreremo dunque la nostra attenzione soprattutto su alcuni aspetti rilevanti dei Canti X, XI, XII, XVII del Purgatorio.

 

  

DIFFERENZE



“I serpenti strisciano per natura.
Noi, invece, per servilismo”.
Nicolino Longo
 

INDUSTRIE DI MORTE
di Antonio Mazzeo



Il governo rafforza la partnership militare con il Kuwait.
Affari in vista per le industrie di morte.
 
L’Italia rafforzerà la propria collaborazione politico-militare con il Kuwait. È quanto emerge dalla missione nell’emirato arabo del ministro della difesa Lorenzo Guerini, il 27 e 28 settembre 2020. Dopo essere atterrato all’aeroporto di Kuwait City il responsabile del dicastero si è recato in visita al Comando del contingente italiano schierato nella base aerea di Ali Al Salem nell’ambito dell’operazione multinazionale “Inherent Resolve”. Successivamente Lorenzo Guerini ha incontrato il primo ministro dell’emirato Sabah Al-Khalid Al-Sabah e il ministro degli esteri Ahmad Al-Sabah. “Da anni Italia e Kuwait sono fianco a fianco nel contrasto all’ISIS e per la stabilità regionale”, ha dichiarato Guerini. “Abbiamo ribadito al governo kuwaitiano la nostra soddisfazione per l’amicizia che ci unisce. L’impegno è quello di rafforzare la cooperazione in ambito difesa nell’immediato rifiuto. Ho inoltre inteso salutare a nome di tutti gli italiani i nostri militari presenti in Kuwait, uomini e donne che rendono le nostre forze armate protagoniste nella lotta al terrorismo internazionale e fondamentale punto di riferimento per la Coalizione anti-ISIS”.
Secondo i dati forniti dal ministero della Difesa sarebbero 300 circa i militari italiani attualmente presenti in Kuwait. Oltre che nello scalo aereo di Ali Al Salem, il personale e gli assetti aerei operano anche dalle basi militari di Camp Arifajan e Ahmed Al Jaber. In quest’ultima infrastruttura sono stati trasferiti da qualche settimana quattro caccia “Tornado” del Task Group Devil dell’Aeronautica Militare. Essi hanno preso il posto degli “Eurofighter” del Task Group Typhoon, protagonisti di oltre 700 “sortite di ricognizione aereo tattica” anti-ISIS nell’ultimo anno e mezzo.
“I Tornado saranno impiegati in missioni di sorveglianza aerea - in gergo tecnico Intelligence, Surveillance and Reconnaissance (ISR) - per continuare ad assicurare alla Coalizione il contributo richiesto in termini di monitoraggio e controllo dall’alto del Teatro di operazioni, fondamentale per ottenere l’Information Superiority che ha da sempre avuto un ruolo cruciale nelle operazioni militari”, ha dichiarato lo Stato Maggiore dell’Aeronautica. “Le missioni sono svolte esclusivamente sul territorio iracheno e prevedono la ricognizione fotografica di obiettivi assegnati dalla Coalizione. I contributi raccolti vengono inviati, in tempo reale, alle stazioni di terra per essere analizzati da cellule intelligence specializzate”.
Insieme ai caccia del Task Group Devil operano in Kuwait i velivoli da trasporto tattico Boeing 767 e C27J dell’Aeronautica italiana, una cellula di integrazione delle informazioni multisensore denominata “I2MEC” e un drone “Predator” MQ-9 del 32° Stormo di Amendola-Foggia. Il velivolo a pilotaggio remoto con funzioni d’intelligence è rischiarato nella base di Ali Al Salem e ha già superato le 10 mila ore di volo in teatro operativo.
In questi ultimi mesi l’Aeronautica italiana ha anche rafforzato l’attività di addestramento dei militari kuwaitiani. In particolare presso il 4° Stormo di Grosseto si svolgono corsi operativi per missioni di volo sui caccia “Eurofighter”, destinati a cinque piloti della Kuwait Air Force. Gli avieri dell’emirato hanno pure effettuato un lungo periodo di formazione a Loreto, presso il Centro di Formazione Aviation English, e a Galatina (Lecce), presso l’International Flight Training School del 61° Stormo.
Il Reparto Sperimentale Volo di Pratica di Mare con i suoi caccia multiruolo “Eurofighter” è stato ospite a gennaio del Kuwait Aviation Show, il grande salone aerospaziale che si tiene annualmente a Kuwait City. Per l’evento hanno raggiunto l’emirato anche il sottosegretario di Stato alla Difesa, Angelo Tofalo (M5S), il Sottocapo di Stato maggiore generale Luca Goretti e l’amministratore delegato di Leonardo-Finmeccanica, Alessandro Profumo.
“La presenza dell’Aeronautica Militare in Kuwait ha contribuito a rafforzare l’immagine dell’Italia nello scenario internazionale, soprattutto in questa area geografica di grande interesse, dove il nostro Paese intrattiene importanti rapporti in termini di cooperazione militare e industriale”, dichiarava il Sottosegretario Tofalo a conclusione della kermesse armiera. “L’esibizione della nostra Aeronautica ha dimostrato grandi capacità operative e tecnologiche: apprezzata in tutto il mondo essa è sinonimo di affidabilità, know-how e tecnologia”.
A Kuwait City la delegazione italiana s’incontrava pure con il Capo di Stato Maggiore, generale Mohammed Khaled Al Khader. “Nei colloqui si sono affrontate le tematiche di cooperazione internazionale che vedono le Forze Aeree delle due nazioni impegnate in stretta collaborazione e sinergia”, riportava l’ufficio stampa del Ministero della Difesa. “L’Aeronautica Militare, infatti, sostiene la Kuwait Air Force in tutte le attività propedeutiche alla consegna dei velivoli Eurofighter al governo del Kuwait in base a quanto previsto dal contratto in essere con Leonardo. Una concreta dimostrazione dell’ormai ventennale amicizia tra i due Paesi e della volontà dell’Italia di supportare efficacemente la crescita del sistema paese”.
Leonardo-Finmeccanica ha sottoscritto nell’aprile 2016 un contratto per la fornitura al ministero della difesa kuwaitiano di 28 caccia “Eurofighter”, con relative attività logistiche e di manutenzione, più l’addestramento degli equipaggi e del personale a terra in collaborazione con l’Aeronautica militare. La produzione dei velivoli da guerra è in atto nello stabilimento Leonardo di Torino-Caselle e la consegna dovrebbe concludersi entro fine del 2023. La holding punta a trasferire al Kuwait anche i nuovi caccia addestratori M-346.
 

LA BUONA MUSICA
AL MUSEO BAGATTI VALSECCHI


Una veduta della Casa Museo

OMAGGIO AL CLAVICEMBALO
Associazione Culturale
(a Federico Colombo)
 
Antiche note di clavicembalo
per il Museo Bagatti Valsecchi
 
Torna la collaborazione con l’associazione “Omaggio al Clavicembalo”, una collaborazione che da anni si ripete e trova nel pubblico un felice riscontro tra appassionati e amatori. Un appuntamento settimanale, la domenica pomeriggio, grazie al quale nel grande Salone del Museo Bagatti Valsecchi saranno eseguite musiche di grandi autori del ’600’ e ’700, da Frescobaldi a D. Castello, Van Eyck, Couperin, Forqueray per finire con il grande J. S. Bach, creando nelle sale del museo un’atmosfera senza tempo. L’iniziativa è organizzata in collaborazione con ‘Associazione Omaggio al Clavicembalo’, realtà di clavicembalisti professionisti che dal 1980 si dedica alla diffusione del repertorio per lo strumento in Italia e all’estero. L’Associazione coniuga la grande passione per la musica antica e l’entusiasmo dei soci, creando nel tempo le felici condizioni per realizzare, in Italia e all’estero, centinaia di concerti, con le più eterogenee formazioni: da quella solista a quella combinata con più clavicembali, insieme con altri strumenti dell’epoca, voce e orchestra d’archi. Da molti anni l’attività di Omaggio al Clavicembalo è dedicata a Federico Colombo, clavicembalista prematuramente scomparso, allievo di Marina Mauriello. L’iniziativa è realizzata con il sostegno di Regione Lombardia. Il concerto è gratuito e incluso nel biglietto d’ingresso al Museo, la prenotazione è obbligatoria su museobagattivalsecchi.org
I posti a sedere sono limitati e disposti in modo da mantenere la distanza di sicurezza di un metro. All’ingresso del Museo sarà rilevata la temperatura corporea; se al di sopra dei 37°, non sarà consentita l’entrata. È obbligatorio l’uso della mascherina per l’intera permanenza all’interno del Museo.


CONTATTI UFFICIO STAMPA
Benedetta Marchesi Museo Bagatti Valsecchi
Tel. 340 5243209  
email: press@museobagattivalsecchi.org
 
Programma di Domenica
11 ottobre 2020 ore 16
“Grandi compositori francesi del ’700”
Cembalo: Ruggero Laganà
Musiche: François Couperin  
Antoine Forqueray  
Jean-Philippe Rameau

Indirizzo: Museo Bagatti Valsecchi
Via Gesù 5, Milano
Concerto ore 16 Ingresso al Museo: 10,00 euro
Riduzioni per Soci Omaggio al Clavicembalo: 7,00 euro
Ingresso gratuito per Soci e Volontari del Museo
Aperto dal venerdì alla domenica dalle 13 alle 17.45

La Poesia
Turbamento 

Opera di Vinicio Verzieri
          
Non mi turbate i colori
Essi sono le pennellate
dell'esistere...
Alcune sono brillanti
Altre sono
lo scandire del pendolo
inesorabile
finché la carica smette di
girare
la danza delle ore
fra un Bolero e l'altro.
Laura Margherita Volante 

martedì 29 settembre 2020

UNA TURCHIA SEMPRE PIÙ NERA



(Nella foto Eren Keskin. Era venuta a Milano al "Punto Rosso" subito dopo la scarcerazione di Leyla Zana dove l'avevo incontrata. Aveva seguito tutto il processo dei 4 deputati curdi in carcere.  Silvana Barbieri)  


La scure di Erdogan sul Partito democratico dei Popoli:
arrestati 82 dirigenti.

“È in atto un vero e proprio genocidio politico”, sostiene Eren Keskin, avvocato e attivista per i diritti umani, vicepresidente dell’İnsan Hakları Derneği (İHD), la prestigosa Associazione turca per i diritti umani. “Stiamo assistendo alla detenzione di massa del terzo partito più grande del paese” I calcoli del Partito della giustizia e dello sviluppo (AKP) di Erdoğan sono chiari: per le prossime elezioni deve essere annichilito, è la logica dell’uomo solo al comando. Il presidente turco non vuole aver alcun ostacolo nelle prossime elezioni, non vuole rischiare nemmeno lontanamente di perderle, vuole essere sicuro di vincere e per esserne certo deve eliminare il partito più insidioso per lui. Se elimina dalla competizione elettorale l’HDP, stando ai sondaggi attuali, è matematica la sua rielezione. Venerdì, 25 settembre, la polizia ha fatto irruzione anche nella casa del sindaco di Kars, Ayhan Bilgen, in quella degli ex parlamentari Altan Tan e di Sırrı Süreyya Önder, uno degli esponenti storici e fondatori dell’HDP, leader del movimento di Gezi, arrestato in una camera d’albergo ad Aksaray a İstanbul dalla TEM, la squadra antiterrorismo turca.
La maxi retata di dirigenti dell’HDP è stata condotta in sette province della Turchia nell’ambito dell’indagine dell’ufficio del Procuratore capo di Ankara sulle rivolte per Kobani che si svolsero dal 6 al 12 ottobre 2014.
La roccaforte curda in Siria sul confine con la Turchia era allora assediata dallo Stato islamico e la popolazione del sudest anatolico era irritata per il rifiuto di Ankara di intervenire in aiuto di questa città.
Migliaia di cittadini dei villaggi delle province a maggioranza curda scesero in piazza per protestare contro il comportamento del governo turco considerato gravemente omissivo.
Le proteste degenerarono in scontri violenti con la polizia, lasciando sulle strade 46 morti e oltre 600 feriti; furono devastate da incendi 197 scuole, 269 edifici pubblici, 1731 abitazioni e 1230 veicoli.
Ad oggi è sott’inchiesta o agli arresti la quasi totalità della classe dirigente del secondo maggior partito d’opposizione, considerato il pericolo numero uno da Erdoğan e dal suo AKP.
Ci si chiede quale sia l’obiettivo di una simile retata.
L’opposizione non ha dubbi: l’obiettivo è impedire che alle prossime elezioni, previste per il 2023, ma che potrebbero essere anticipate, si svolgano senza l’HDP o con questo partito fortemente decimato.
Perché sono particolarmente significativi, ora, questi arresti? Perché il Partito democratico dei popoli turba il sonno di Erdoğan?
La parlamentare Meral Danış-Beştaş, vicepresidente del gruppo parlamentare dell’HDP sostiene che “non vi è alcun fondamentale legale in questi arresti. Il governo di solito fa aprire un’indagine come e quando vuole, ogni volta che ciò torna utile nella strategia mirante a delegittimare l’opposizione criminalizzandola”.
Liberare un oppositore può tornare utile in determinate circostanze, ma poi se risulta invece utile che stia in carcere, lo si arresta di nuovo affibiandogli  un nuovo capo di imputazione. E così è accaduto per Ayhan Bilgen, Altan Tan, Sırrı Süreyya Önder e per altri. Essi furono messi sotto inchiesta e arrestati poco dopo le rivolte per Kobani del 2014 e dopo si capì che essi non avevano alcuna responsabilità dei reati loro ascritti. Essi furono quindi liberati, ma ora, dopo sei anni, l’inchiesta è stata riaperta con prove inesistenti.
“Il nostro partito non ha alcuna responsabilità per gli incidenti di Kobani. Abbiamo più volte suggerito che fosse istituita una commissione di inchiesta parlamentare su quegli eventi, ma la nostra richiesta è stata sempre respinta. I responsabili di quelle morti non sono mai stati assicurati alla giustizia. Nessuno è stato processato, ma ora si vuole che il nostro gruppo ne paghi il prezzo”, ha precisato Danış-Beştaş.
Il quotidiano di sinistra Bir Gün parla di un governo turco schiacciato da una crisi economica per la quale non intravede una via d’uscita e che sta provocando una perdita di consensi sempre più consistente sia per l’AKP di Erdoğan che per l’estrema destra nazionalista, MHP, di Devlet Bahçeli. I due alleati di governo cercano una via d’uscita che consenta loro di risalire nei sondaggi e per questo mettono come sempre sotto torchio l’opposizione più insidiosa. Il giornale conservatore Karar, quotidiano dei fuoriusciti dall’AKP parla dell’attuazione di un’agenda elettorale del Partito della giustizia e dello sviluppo. L’operazione, sostiene infatti l’opposizione turca, ha origine nel palazzo e asseconda le aspettative del palazzo. Prendere di mira l’HDP non punta solo all’eliminazione fisica del partito più insidioso per la rielezione di Erdoğan, ma significa anche eliminare alcune fratture esistenti all’interno dell’Alleanza repubblicana (Cumhur İttifakı) tra l’AKP e gli ultranazionalisti degli Ulusalcı e degli ex Lupi Grigi e risanare alcune fratture anche all’interno dello stesso partito di governo, tra la corrente Pelikan che fa capo al genero di Erdoğan e ministro del Tesoro delle Finanze, Berat Albayrak, e il ministro dell’Interno Süleyman Soylu che ha promesso di sdradicare da ogni angolo del paese il terrorismo curdo entro quest’anno.
Soylu, il 13 luglio 2020, ha lanciato nelle province del sudest al confine con Siria, Iraq e Iran, nel cosiddetto triangolo del terrore di Şırnak, Hakkari e Van, l’operazione Yıldırım, (Fulmine), giunta alla dodicesima fase, concentrata nel distretto di Beşkaynak nella provincia di Bitlis, sul lago di Van. L’Operazione antiterrorismo Yıldırım-12 (Fulmine-12) sta impiegando 747 commando di forze speciali della Gendarmeria (JÖH), corpi speciali della Polizia (PÖH) e Guardie di sicurezza.
L’operazione mira a sdradicare ogni cellula del Partito dei lavoratori del Kurdistan (PKK) dal paese e ha finora “neutralizzato”, come si usa dire nel gergo militare turco, 71 presunti terroristi, 38 fiancheggiatori e distrutto 141 covi e depositi d’armi. L’operazione ha fatto seguito a quella precedente denominata Kıran, che vuol dire frantumazione, avviata nel maggio del 2018.
L’opposizione ha reagito condannando con grande decisione gli arresti.
Il leader del Partito repubblicano del popolo (CHP), Kemal Kılıçdaroğlu, ha parlato di un presidente della Repubblica che ha paura dell’opposizione e che sa di avere i giorni contati. La presidente provinciale di Istanbul, Canan Kaftancıoğlu, l’eroina del partito, braccio destro del sindaco di Istanbul, İmamoğlu, parla di una magistratura alle dirette dipendenze del capo dello Stato. E il vicepresidente della Commissione diritti umani del Parlamento turco, Sezgin Tanrıkulu, parlamentare del CHP, parla di una magistratura che ha voluto fare un regalo al Palazzo.
Birol Aydın del partito islamista di opposizione, Saadet chiede di sapere quale sia il motivo degli arresti. Kani Torun del neocostituito Gelecek Partisi, il Partito del Futuro dell’ex primo ministro Ahmet Davutoğlu ha detto che criminalizzare i partiti democratici serve solo al PKK ed è come mettere l’olio sul pane, un’espressione turca che significa fare la cosa più semplice quando non c’è più niente da mangiare. Mustafa Yeneroğlu del DEVA, il Partito della Democrazia e del Progresso dell’ex zar dell’Economia turca Ali Babacan ha detto che si tratta di una strumentalizzazione della giustizia per puri scopi personali. L’HDP aveva vinto le elezioni comunali del 2019 in 65 comuni
Ma il governo ha nominato amministratori fiduciari in 47 di queste municipalità, defenestrando e arrestando i loro sindaci eletti in libere elezioni con maggioranze schiaccianti: 22 sindaci su 47 defenestrati sono attualmente dietro le sbarre, e sono tutti dell’HDP.
Da quando è stato fondato, nell’ottobre del 2012, il Partito democratico dei popoli, ha visto decimare la sua classe dirigente: tredici parlamentari arrestati, oltre cento sindaci defenestrati, molti dei quali finiti dietro le sbarre assieme a oltre ventimila tra dirigenti e militanti.
Era dai primi anni Novanta che non si assisteva ad una simile repressione contro le organizzazioni e i partiti del movimento curdo. Quando allora vigeva lo stato di emergenza e militanti e intellettuali curdi riempivano le galere e ingrossavano le file dei desaparecidos.
L’attuale presidente delll’HDP Mithat Sancar, arabo di Mardin, ha definito la repressione in atto contro il suo partito come un colpo di stato politico, simile a quello già avvenuto il 2 marzo del 1994 quando alcuni parlamentari curdi eletti tra le file dell’allora Partito socialdemocratico (SHP) persero lo status di parlamentari e furono arrestati; tra gli altri, Leyla Zana, premio Sakharov nel 1995, colpevole di aver giurato in Parlamento in lingua curda e Ahmet Türk figura carismatica del movimento curdo.
Un colpo di stato politico, come quello avvenuto il 4 novembre 2016, quando furono arrestati i copresidenti dell’HDP, il suo leader carismatico e fondatore Selahattin Demirtaş e Figen Yüksekdağ.
Il 22 maggio 2020 furono arrestati 18 attivisti politici, molti dei quali dell’HDP e dell’associazione femminista delle Donne Rosa di Diyarbakır, la più grande città a maggioranza curda della Turchia.
Agli inizi di quello stesso mese furono rinvenute alcune scatole di plastica piene di ossa di 261 persone, erano state sepolte una sopra l’altra sotto un marciapiede a Kilyos, in una località a nord di Istanbul.
Le ossa sono di coloro che furono dissepolti in un cimitero nella provincia di Bitlis nella Turchia orientale a maggioranza curda, una delle aree dove si concentrano le operazioni antiterrorismo, e sono state trasferite a Istanbul, all’insaputa delle loro famiglie.
Ossa, queste, trovate accatastate, sotto un marciapiede.
All’inizio del 2020 è stata scoperta una fossa comune a Dargeçit, nella provincia di Mardin, sempre nel sudest a maggioranza curda.
Erano teschi e ossa di 40 persone. Quaranta curdi, che furono portati via negli anni ’90, rapiti dalle loro case, strappati ai loro cari e assassinati. Anche questo rinvenimento è passato inosservato in Turchia.
Perché? Perché si tratta di curdi.
Nessuno ha chiesto chi fossero queste persone, quali vite conducessero, chi le avesse strappate ai loro cari e chi le avesse uccise, sostiene l’attivista per i diritti umani e scrittrice, Nurcan Baysal.
Giovedì, 24 settembre, un prigioniero politico curdo, Ali Boçnak, di 76 anni, ha perso la vita nella prigione di tipo L del penitenziario di Patnos, in provincia di Ağrı. Boçnak fu arrestato nell’ambito dell’operazione contro l’Unione delle comunità del Kurdistan KCK a Kars nel novembre del 2009, condannato a 7 anni e 8 mesi di carcere.
Ali Boçnak, oltre ad essere accusato di appartenenza al KCK, organizzazione ombrello che sovraintende i partiti curdi che fanno riferimento al PKK in Turchia, Siria, Iraq e Iran, è stato incriminato anche per aver cantato una canzone in curdo. La sua pena detentiva è stata confermata dalla Corte di Cassazione nel 2013. A nulla è valsa la campagna sui social delle organizzazioni per i diritti umani che chiedevano la sua liberazione essendo egli gravemente ammalato perché affetto da insufficienza renale e da molte altre patologie. croniche. Secondo il rapporto 2020 dell’İHD, in Turchia vi sono 1.564 prigonieri malati, dei quali 591 in maniera grave.
L’esercito turco è stato recentemente accusato di aver lanciato dall’elicottero due contadini curdi.
L’11 settembre due contadini curdi erano stati arrestati dai reparti speciali antiterrorismo, fatti salire su un elicottero e poi gettati nel vuoto. Le organizzazioni per i diritti umani denunciano questa pratica come usuale nelle operazioni militari nelle aree rurali contro il Partito dei lavoratori del Kurdistan. I pubblici ministeri turchi hanno aperto un’indagine sulle accuse secondo cui due agricoltori curdi sarebbero stati brutalmente picchiati e lanciati fuori da un elicottero militare nella provincia sudorientale di Van.
Questo caso ha ricordato gli orrori inflitti alla popolazione curda del luogo al culmine della recrudescenza delle operazioni antiterroristiche contro il PKK negli anni ’90. Le immagini dei volti insanguinati di Osman Siban, 50 anni, e Servet Turgut, 55 anni, che circolano online hanno provocato orrore e putiferio nella comunità curda. I parlamentari del Partito democratico dei popoli chiedono l’istituzione di una commissione parlamentare per indagare sulla vicenda. Turgut ora è in condizioni critiche in un ospedale di Van.
“Mio padre è in coma”, ha denunciato Huseyin in un’intervista, figlio unico di Turgut. “Ha un trauma cerebrale, 11 costole rotte, un polmone perforato e i medici dicono che le sue possibilità di sopravvivenza sono scarse. Chiediamo giustizia, ma lo stato vuole seppellire la verità, per nasconderla”, ha detto.
Siban, che è stato dimesso da un ospedale militare questa settimana, soffre di vertigini e perdita di memoria. “È assolutamente terrorizzato. Ha perso il senso del tempo e del luogo. Il suo parlare è un piagnucolio infantile”, ha detto Hamit Kocak, uno dei tre avvocati che ha presentato denuncia di tortura e di omicidio colposo. Siban si sta riprendendo dalle ferite nella sua città costiera di Mersin. Il governo respinge ogni accusa.
Gli anni ’90 stanno tornando in Turchia, quegli anni furono un periodo di feroce brutalità. Allora le forze di sicurezza fecero evacuare con la forza la popolazione di almeno 2.500 villaggi che poi diedero alle fiamme, come parte di una campagna militare da “terra bruciata” che vide lo sfollamento di oltre un milione di persone. Secondo un rapporto del 2005 di Human Rights Watch, elementi deviati dell’esercito avrebbero compiuto uccisioni extragiudiziali, rapito dissidenti e sottoposti i curdi a numerosi altri abusi nel tentativo di reprimere le rivolte del PKK.
 

PIAZZA D’ARMI


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INCENDI, PANDEMIE, GUERRE, STUPRI…


San Nicola Arcella in fiamme

“Per le stronzate di certi uomini di merda,
siamo costretti a vivere una vita di merda”.
Nicolino Longo

UNIONE SINDACALE ITALIANA



FILOSODIA DI UN “NATO AL MONDO”



-Sessione 3/13 maggio 2016, OEWG Ginevra
Riunione Stati non nucleari con Società Civile,
Palazzo Nazioni Unite
-Olanda, Paese N.A.T.O. chiede interdizione armi nucleari

Mi stavo chiedendo se anch’ io, sostenitore della responsabilità individuale in pace e in guerra in questi tempi nucleari, potevo avere la dignità di rivolgermi alle nostre istituzioni e, idealmente a quelle internazionali, per parlare di Pace e di invitarle alla firma di un Trattato che, primo, nella vita della politica mondiale, parla chiaramente del divieto di possesso e trasmissione delle armi nucleari e della realtà che singoli uomini usando la loro intelligenza, nelle varie circostanze  di certi avvenimenti,  hanno scelto di pensare in proprio, evitando disastri immensi a tutti.
Certo bisognerebbe che a queste richieste seguissero, compatibilmente con la situazione sanitaria esistente, azioni che ricordassero il problema e non ci si limitasse alla sua sola esplicazione. Azioni, per carità, nonviolente, che dovrebbero coinvolgere il maggior numero di gruppi pacifisti, per l’obiettivo prefissato.  
Circa la dignità di rivolgermi alle istituzioni è chiaro che dovrei avere l’aiuto di chi può farlo conoscere, almeno, attraverso i giornali on-line. È a loro che mi rivolgo, consapevole della loro libertà di scelta, che spero non escluda, chi come il sottoscritto, ha preso direzioni allargate anche alla propria vita personale, non solo a quella della sola pace in sé.
In allegato c’è la mia assunzione ufficiale della mia violenza, senza delega allo Stato, nel maggio 2016. Saluto e come sempre, grazie.
Giuseppe Bruzzone


Giuseppe Bruzzone

Chi scrive è un "nato al mondo" sul finire dell'anno 1942. Nato al mondo perché frutto dell'incontro di un uomo e di una donna. Cioè frutto della specie umana. Che poi sia nato in un certo Stato, in una città piccola o grande, lo ritengo meno importante che non il dato di fatto di cui sopra. Senza nulla togliere all' impronta, che pesa, che si può ricevere, nascendo in un posto, anziché in un altro. Ma il concetto di Specie sovrasta quello di Stato. Non ci fossero i frutti di essa, lo Stato non esisterebbe.
Rivendico quindi una mia libertà di pensiero che va oltre quella cultura, quell' atteggiamento verso i problemi che si riceve in una realtà oppure in un'altra.
A maggior ragione, nel periodo storico che stiamo vivendo, in cui i gruppi umani, nella permanente conflittualità contro altri gruppi, nella costante evoluzione del pensiero scientifico, hanno prodotto armi, che se impiegate, potrebbero distruggere la nostra stessa Storia sul Pianeta che abitiamo.
Ritengo, come osservato da diversi studiosi, che nel nostro modo di rapportarci con altri gruppi, ci sia molto del comportamento di altre specie animali sociali come le formiche. Cioè ci sia una componente animale che nel periodo storico attuale giudico deleteria. Le formiche non sanno quello che fanno. Fanno e basta. Noi, umani, dovremmo invece sapere le conseguenze dei nostri atti, proprio perché umani. E se usassimo certe armi faremmo solo opere di reciproca distruzione, non di conquista o difesa di valori o raggiungimento di obiettivi "geo-politici", come qualcuno continua a pensare non volendo accorgersi del periodo "atomico" attuale. Parlare del non uso di certe armi non vuol dire che se ne possono usare altre di tipo diverso. Vuol dire accorgersi che la nostra violenza che le ha prodotte, oggi è arrivata al massimo della sua espressione. E che occorre cambiare verso, se si vuole continuare la Vita nel suo insieme, sulla Terra. È la nostra Storia Umana che ritengo sia giunta ad un bivio. Per il Clima e la situazione conflittuale tra gli Stati, quelle politiche di accordi generali, economici e politici per contenere e isolare gli avversari ad oriente e occidente, senza lasciare loro troppe scelte; per la proprietà contestata di alcune isolette del Pacifico presa magari a pretesto per scontri generalizzati (considerato che, in quell'area, è presente un'imponente forza navale spostata dall'Oceano Atlantico per contrastare un potenziale "nemico").
Ebbene oggi riaffermo il ritiro della mia delega allo Stato italiano (già ritirata, nei fatti, decenni fa per non aver voluto compiere diverse volte il servizio militare) responsabilizzandomi della mia violenza all'interno e all'esterno del mio Stato, non accettando condotte di furberie e dominio verso chiunque. Lo Stato siamo noi cittadini che lo componiamo, nel senso pieno del termine, senza deleghe, alla pari, uomini e donne, perché non possano esserci scelte di guerra che potrebbero distruggere le vite di tutti. Ci si accorgerebbe allora che un'altra vita è possibile, proprio come, mi pare, dica una canzone. Ci fossero difficoltà economiche, i soldi da spendersi per eventuali armamenti, potrebbero essere dirottati a beneficio dei cittadini, senza il cogente rispetto della "sovranità statale". Perché la loro vita è oggi e solo oggi, non domani, e si preserveranno le modalità perché possa continuare per i nostri figli e nipoti perché questo è il senso "umano" della vita che continua. Non siamo numeri, formiche, e le nostre vite non dovrebbero essere a disposizione di altri, ma nel pieno rispetto di tutti.
Questa è appunto una filosofia: la mia. Gli amici "Disarmisti esigenti", dal titolo del libro di Hessel e Jacquard, propongono strade più dichiaratamente sociali e di gruppo e, forse, più facilmente raggiungibili nel tempo breve. Non ho intenzione di rinnegare nulla e nessuno me l'ha chiesto. Ma è l'espressione di un me stesso, che dal cornicione di una scalinata di scuola a Genova, pensava come avrebbe vissuto la vita che aveva davanti e questo mi rende contento. Grazie.

Giuseppe Bruzzone
[Milano, 18 maggio 2016]

 

           

La Poesia
Hai conosciuto la mano   

Opera di Vinicio Verzieri
                 
Hai conosciuto la mano
che tocca innocenza
e quella mano che lascia
i lividi sulla pelle.
Il tatuaggio fiorito nell’anima è
sangue
non rugiada.
Il sorriso sulle labbra
è il regalo degli occhi
per ogni tuo compleanno.
Laura Margherita Volante 

 

sabato 26 settembre 2020

DISTRUGGERE ARMI E MILITARISMO
di Giuseppe Natale



26 Settembre: Giornata contro le armi nucleari
 
Il 26 Settembre è la Giornata contro le armi nucleari istituita dall’ONU. Con la scelta di questa giornata, alla vigilia della ratifica del Trattato di proibizione delle armi nucleari, si vuole ricordare Stanislav Petrov, militare sovietico addetto al controllo del sistema di difesa antimissilistica, che il 26 settembre 1983 salvò l’umanità dalla catastrofe nucleare. Non avvisò il comando superiore quando sul suo computer apparvero tracce che sembravano di missili americani. In effetti si trattava di riflessi di onde elettromagnetiche e non di attacco nucleare. Con questo gesto, l’“uomo giusto, al posto giusto, nel momento giusto”, rischiando pesantissime sanzioni, evitò la guerra nucleare totale per errore.
Il rischio persiste sempre e, oggi, ci troviamo nella situazione in cui le maggiori potenze nucleari non vogliono firmare il Trattato di messa al bando delle armi atomiche, mentre sono in aumento le spese militari. Addirittura si vuole affidare a tecnologie sofisticate di “intelligenza artificiale”!, come i 5G, l’uso militare della cosiddetta “deterrenza nucleare”, che dissuaderebbe aggressioni nemiche. Qui siamo alla follia pura: si continua a pensare che per evitare la guerra, addirittura anche quella atomica, occorra armarsi sempre di più, per giunta affidandosi a strumenti tecnologici che possono sfuggire al controllo umano. La spada di Damocle della catastrofe nucleare per errore pende sulla testa dell’umanità.
Un appello dei Disarmisti esigenti, mette in evidenza che “un altro passo sciagurato che abbassa la soglia nucleare è quello di ammodernare e potenziare le armi nucleari tattiche, che servono per la guerra ‘di teatro’ in Europa.”
E l’Italia che fa? Si accoda alla politica militare degli USA e della Nato, mentre l’Unione Europea non riesce (non vuole?) a scegliere la strada dell’autonomia e dell’indipendenza piena, l’unica adeguata ad avviare un processo di superamento dei vecchi blocchi militari adottando una strategia lungimirante per la pace e la solidarietà tra i popoli.
La bussola deve essere l’art. 11 della nostra Costituzione:L’Italia ripudia la guerra come strumento di offesa alla libertà degli altri popoli e come mezzo di risoluzione delle controversie internazionali; consente in condizioni di parità con gli altri Stati, alle limitazioni di sovranità necessarie ad un ordinamento che assicuri la pace e la giustizia fra le Nazioni; promuove e favorisce le organizzazioni internazionali rivolte a tale scopo”. Purtroppo sono tante le volte in cui i governi italiani hanno violato e violano il dettame di questo lapidario articolo pacifista (interventi a fianco degli USA e della Nato in Iraq, Afganistan, ex Iugoslavia…).


 
Anche altri articoli della Costituzione vengono violati quando le classi dirigenti del nostro Paese dimostrano di non tutelare la piena indipendenza dell’Italia e contribuiscono assai poco a una necessaria e urgente politica europea autonoma. Ad es. non ha senso ed è assai pericoloso continuare ad ospitare basi militari ed ordigni nucleari americani sul nostro territorio; è riprovevole che l’Italia non abbia ancora firmato il Trattato internazionale di messa al bando delle armi nucleari. Gridano vendetta le enormi spese militari del nostro bilancio statale (che Trump ha la spudoratezza di chiederci di aumentare): 100 milioni al giorno, 36,5 miliardi all’anno. Anziché autoridursi (o auto castrarsi) il Parlamento sapeva dove poter risparmiare!


 
In piena crisi ambientale, sociale e sanitaria è arrivato il momento per le classi dirigenti (almeno per una parte di esse) di interrogarsi sul triste primato di essere tra i maggiori Paesi produttori ed esportatori di armi. La invocata e spesso ipocritamente proclamata riconversione economica per uno sviluppo sostenibile non può non prevedere anche la riconversione dell’industria delle armi in azioni e produzioni di pace. È certo che il necessario cambiamento radicale può avvenire, non tanto o soltanto se migliora la classe politica, ma soprattutto se si rafforzano e si diffondono al maggior numero possibile di persone, in quanto società civile e cittadinanza attiva, la consapevolezza e la volontà di partecipare al governo del Bene comune. In questa direzione va la ripresa dell’impegno civile contro il riarmo e per il disarmo e la pace, di cui sono protagonisti periodicamente i diversi movimenti che si sono succeduti nel corso degli ultimi settant’anni.



Accanto e in alleanza con i movimenti per la giustizia sociale e contro le disuguaglianze, per la giustizia ambientale e contro la distruzione dell’habitat naturale, deve rinascere il movimento per la pace e per il disarmo contro tutte le guerre e la catastrofe nucleare. In questa direzione va la Rete Italiana Pace e Disarmo, nata dalla unificazione delle due Reti storiche, quella per il disarmo (2004) e quella per la pace (2014), a cui aderiscono diverse associazioni e comitati di cittadinanza attiva. Si impone - si legge nella nota di presentazione (22 settembre scorso, Giornata ONU per la Pace) - un’azione congiunta in uno scenario internazionale preoccupante di imponente crescita degli armamenti e degli strumenti di morte che sottraggono enormi risorse per le opere di pace e per gli interventi contro la povertà.

L’ANTICONFORMISMO DEL’900
di Franco Astengo

Juliette Gréco

Rossana Rossanda, Juliette Gréco: in una settimana abbiamo subito la perdita di due persone arrivate a noi da quel secolo lungo e breve che così si chiude (quasi) definitivamente. Se ne va l’anticonformismo del ‘900.
Ci resta la memoria di quella diversità e quell’ “essere contro” che non rappresentavano mode o atteggiamenti ma stavano pienamente dentro al flusso intellettuale dell’avanguardia. Si rappresentava una prefigurazione dei tempi nella politica, nel costume, nel modo di intendere la vita.
Non fu dovuto al caso che Rossana tentasse di mettere in contatto Sartre con Togliatti. Togliatti le aveva affidato il compito di rendere la cultura del PCI adeguata a ciò che stava accadendo nel profondo delle viscere dell’epoca.
Bisognava tenere assieme avanguardia e tradizione avendo sempre davanti il domani. Togliatti agiva con la prudenza della “langue russe”, Sartre cercava impaziente le ragioni dell’impegno che superasse “la nausea del vivere”.
Rossana e Juliette si trovavano ai confini di quella temperie proponendo la realtà e muovendosi rispetto ad essa in direzione ostinata e contraria cercando, ciascuna a suo modo, di rivoluzionarla.
La loro vita è stata segnata da quell’idea e per una strana combinazione se ne sono andate assieme lontane dal loro tempo.
Ci troviamo così in questo stupido “nuovo” dell’omologazione culturale, del peso dei modelli imposti dall’alto accettati perché è ormai subito senza combattere lo spavento della disuguaglianza.
Siamo diseguali prima di tutto nell’espressione del pensiero ormai quasi posto ai limiti dell’umano. Restiamo attoniti al ritorno spaventoso del dèmone di un richiamo a quella differenza negativa che pensavamo di essere capaci di estirpare dalla storia. Aver lottato contro quel demone con il pensiero e la poesia ha accomunato la storia di due persone come Rossana e Juliette così diverse dallo stare dalla stessa parte (verrebbe da aggiungere “della barricata” ma non è proprio il caso).

L’AFORISMA



“Le menti più elementari sono le più imprevedibili”.
Laura Margherita Volante
 

INCENDI
di Nicolino Longo


L’Italia brucia, ma il Governo non se ne cura.
 


Ogni anno l’Italia brucia. Ad ogni estate criminalità organizzata e singole luride merde, riducono in cenere paesaggio, ambienti naturali, pezzi importanti di economia. Nessun governo se ne è mai interessato, compreso questo. Eppure, Partito Democratico e brandelli di quello che resta del Movimento Cinque Stelle avviatosi inesorabilmente verso la sua ingloriosa fine, non fanno che ripeterci che devono investire nell’economia verde, ambientalista e sostenibile. In Calabria, nella mia Calabria resa schifosa da schifosissimi escrementi indegni di chiamarsi uomini, ogni estate viene scatenata una vera e propria guerra civile ai danni della collettività nel suo insieme. Il bilancio degli incendi finisce poi nei rapporti annuali dettagliati di Legambiente, di cui puntualmente chi governa non si cura. Possediamo strumenti di controllo di ogni sorta, ma non vengono colpevolmente impiegati. Nessun uso di droni, nessun controllo del territorio permanente. Eppure abbiamo centinaia di migliaia di soldati di ogni tipo e di ogni grado nelle caserme, o mandati in missioni estere. Abbiamo ogni estate la guerra del fuoco in casa, ma i soldati vengono mandati all’estero. Cani e porci sanno che esiste un’industria del fuoco, ma Governo e Parlamento non se ne curano. Questi incendi, da un capo all’altro della Penisola, sono veri e propri atti terroristici, ma Governo e Parlamento non muovono un dito. Non ci risulta che il Ministero degli Interni abbia mai infiltrato suoi uomini in quegli ambienti, fra i forestali infedeli, fra quanti, a vari livelli, hanno interessi che il fuoco divori. Zero su zero. Lo Stato non si sogna neppure di gestire in proprio e con propri mezzi tecnici gli incendi. Ha demandato tutto ai privati, come per lo smaltimento dei rifiuti che le mafie bruciano puntualmente nei capannoni di stoccaggio o disperdono sul territorio. Quando poi qualcuno viene sorpreso sul fatto, se la cava con una semplice denuncia a cui quasi mai segue una pena adeguata. Eppure gli incendi creano danni per centinaia e centinaia di anni ai territori, molto più gravi di quelli del crollo del ponte di Genova. Fanno sparire specie naturali, desertificano e inaridiscono terreni, accentuano frane e crolli, distruggono case e immobili, cancellano unità produttive, bloccano le produzioni, mettono in ginocchio il turismo, provocano interruzione dell’energia elettrica persino negli ospedali, a servizi essenziali come: comunicazioni, trasporti, scuole, ecc. Aumentano l’inquinamento di ogni tipo, aggravano l’innalzamento delle temperature, aiutano a peggiorare il clima. Davanti a tutto questo il Governo giallo-sporco non ha emesso un solo vagito. Come tutti gli altri che lo hanno preceduto; come il pecorume che siede negli scranni delle due Camere, luogo che meriterebbe gente più degna e davvero onorevole. La lettera (in realtà è un messaggio inviatoci via WhatsApp dal poeta calabrese Nicolino Longo da San Nicola Arcella), ci dà il senso di cosa è accaduto, e abitualmente accade. Ma oramai, come ho scritto in una spigolatura del 20 agosto scorso, la vergogna è un sentimento tramontato. [A.G.]


 

San Nicola Arcella 17 Settembre 2020
Complice il vento, stanotte, abbiamo rischiato di morire arrostiti in tanti. Sono andate a fuoco tutte le pinete. In più, cinque contrade, pari a diversi chilometri quadrati. Un vero e proprio inferno, dalla montagna fino al mare, dove sono rimasti carbonizzati locali balneari e alcuni parcheggi. Da me, le fiamme sono arrivate verso le tre di notte, alte un centinaio di metri, tanto da lambire la mia abitazione, dove ero rimasto solo, essendo mia moglie, rossa in viso come non mai vista, e gridando come una pazza, è scappata a casa di mia sorella, dove anche lì le fiamme ne avevano lambìto alcune fiancate, ma che un mio nipote, Antonio De Leo, ed i Vigili del Fuoco erano riusciti a domare. 



Io, questa volta (quando ci fu l’aeromoto andai in tachicardia) sono rimasto tranquillo, sapevo che, come negli anni passati, una volta bruciata tutta la vegetazione sotto casa, il fuoco sarebbe, per forza di cose, dovuto cessare. Se le fiamme non fossero state un po’ contrastate dal grecale, sarei, comunque, morto carbonizzato, da solo, dal momento che anche i Vigili del Fuoco, intervenuti soltanto in tre, mi avevano abbandonato, perché chiamati su un fronte più sensibile. Nella mattinata, poi, anche se con parecchie ore di ritardo, sono intervenute altre squadre, dai paesi limitrofi e dalla Basilicata, come mi ha riferito, stamattina, chiamandomi, il vicesindaco, dottoressa Concetta Sangineto, che, assieme al sindaco Barbara Mele, era rimasta, per tutta la notte, a monitorare le varie operazioni di spegnimento. In mattinata sono sopraggiunti per lo spegnimento degli ultimi focolai, lungo un fronte di decine di chilometri, anche Canadair ed elicotteri. 



Uno scempio ecologico, quello di stanotte, mai verificatosi prima a San Nicola Arcella. Sono andati a fuoco pinete, vigneti, uliveti; scoppiate bombole nei rifugi della Forestale. Botti come cannonate lungo la rete elettrica attraversante le pinete e le varie contrade. Un vero e proprio disastro ambientale e sociale che ha costretto parecchia gente ad abbandonare, nottetempo, le proprie abitazioni, attorno alle quali sono andati a fuoco anche orti e rifugi per animali, morti carbonizzati. Sicuramente i telegiornali riusciranno a dare un quadro più dettagliato e completo della situazione. 


Intanto, caro Angelo, dalla mia stanza dove giaccio allettato per lombosciatalgia e varie ernie discali da circa tre mesi, e sotto il rombo assordante dei Canadair, vi ringrazio di ogni cosa ed abbraccio fortemente.