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mercoledì 30 settembre 2020

DANTESCA
di Franco Toscani




Dante e "la caligine del mondo"
(a "Salvino" Dattilo e Attilio Finetti)
 
1. L'inesauribile patrimonio culturale di Dante   
rivolto all'umanità planetaria

Come vera e propria festa e compendio dello spirito umano, la Divina Commedia convoca in una possente e mirabile costruzione nel contempo poesia, narrazione, storia, politica, teologia, filosofia, scienza, arte, letteratura, immensa cultura e dottrina, fertile immaginazione, humanitas, tensione morale, virtù civili e quant'altro, elementi e aspetti tra i più disparati che sono tenuti armoniosamente insieme da una straordinaria capacità di canto e di suggestione poetica. Perciò non ha molto senso distinguere rigidamente in Dante la "poesia" dalla "non poesia", come ha fatto un pur grande critico e filosofo come Benedetto Croce ne La poesia di Dante (1921) e altrove. Essere poeti richiede per Dante, oltre che la strenuitas ingenii e l'artis assiduitas, anche l'habitus scientiarum (cfr. De vulgari eloquentia, II, IV, 9).
Il punto essenziale consiste proprio in ciò: nel convogliare in altissima poesia e con una prodigiosa varietà di mezzi espressivi l'enorme materiale di memorie e speranze, esperienze e fatti storici, incanti e orrori, piaceri e dolori, virtù e colpe, tensioni terrene e vagheggiamenti celesti di cui tratta la Commedia. Per questi motivi Dante Alighieri non è soltanto il maggiore genio poetico italiano, ma è tuttora potente luce, una delle luci irrinunciabili per l'umanità intera, per l'umanità planetaria di difficile gestazione.
Noi qui non potremo approfondire gli aspetti principali del capolavoro dantesco né svolgeremo un discorso storiografico-letterario, ma cercheremo di occuparci soprattutto della "caligine del mondo" nel grande poema, focalizzeremo dunque la nostra attenzione sulla superbia, tema che, nelle nostre intenzioni, ci farà comprendere pienamente una delle ragioni essenziali dell'attualità di Dante e del rinnovato interesse contemporaneo per la sua opera.
Il tema al centro del nostro discorso emerge già nel primo Canto dell'Inferno, allorché Dante non può raggiungere il "dilettoso monte" (cfr. Inferno, I, 77) che rappresenta la vita virtuosa alla base della felicità umana, perché è ostacolato da tre fiere (il riferimento è qui a Geremia, 5,6) - una lonza (la lussuria), un leone (la superbia), una lupa (la cupidigia) -, le quali rappresentano simbolicamente le tre disposizioni peccaminose che impediscono agli individui una conversione dei cuori e delle coscienze e minano profondamente la vita sociale, civile e politica dei popoli. Il fine etico-politico di redenzione è già qui presente, sia pure soltanto abbozzato. Il leone, simbolo della superbia, "parea che contra me venisse/ con la test'alta e con rabbiosa fame,/ sí che parea che l'aere ne tremesse" (Inferno, I, 46-48).
Altrove l'Alighieri stesso ammette di essere stato molto tentato nella sua vita dalla lussuria e dalla superbia dell'ingegno, non invece dalla cupidigia, che - come impietatis et iniquitatis genitrix (Epistulae, XI, 14) e inordinatus appetitus cuiuscumque boni temporalis, secondo la definizione scolastica - era per lui alla base della corruzione sociale e politica.
Noi qui tenteremo di seguire le indicazioni del poeta per cercare ancora una volta di imparare qualcosa da un grande classico, fonte permanente di nuova vita e di nuove possibilità per noi, per il futuro dell'umanità. Non pochi studiosi hanno già da tempo giustamente sottolineato l'importanza della dimensione profetica (o profetico-apocalittica) nella Commedia (cfr., ad esempio, Inferno, I, 100-111; Purgatorio, XXXIII, 43-45; Paradiso, IX, 139-142; XXII, 14-15; XXVII, 61-63, 142-148), tema su cui è rinvenibile un'ampia bibliografia.
Dal mero lirismo stilnovistico della fase giovanile, che pure ha dato risultati poetici eccellenti, nella Commedia la poesia di Dante si fa più complessivamente impegnata, più pronta a misurarsi col destino dell'uomo e coi problemi dell'umana convivenza e civiltà. L'intento del grande poema - come l'autore stesso chiarisce anche nelle Epistulae (XIII, 39-40) - non è tanto o soltanto lirico, contemplativo, speculativo, ma è anche e soprattutto etico-pratico e politico, per superare lo status miseriae e condurre gli uomini alla felicitas. Dante tende a oltrepassare la "selva oscura", come "selva erronea di questa vita" (cfr. Inferno, I, 1-3 e Convivio, IV, XXIV, 12), in vista di una redenzione che vuole essere sia personale, dai propri errori e peccati, sia di tutta l'umanità dal suo stato di corruzione, disordine e decadenza. Per ogni essere umano che viene al mondo vi è infatti un campo sempre aperto e problematico di donazione di senso e di azione, come ben sapeva il poeta in versi celeberrimi: "Considerate la vostra semenza:/ fatti non foste a viver come bruti,/ ma per seguir virtute e canoscenza" (Inferno, XXVI, 118-120).
Come si sa, i classici non valgono e non appartengono soltanto al passato, ma hanno tutto l'avvenire davanti a sé. Dante non ha bisogno di retoriche celebrazioni, ma di essere riletto e rimeditato sia per godere del suo canto sia per procedere meglio nel nostro arduo cammino di umanizzazione. Concentreremo dunque la nostra attenzione soprattutto su alcuni aspetti rilevanti dei Canti X, XI, XII, XVII del Purgatorio.