(Nella foto Eren Keskin. Era venuta a Milano al "Punto Rosso" subito dopo la scarcerazione di Leyla Zana dove l'avevo incontrata. Aveva seguito tutto il processo dei 4 deputati curdi in carcere. Silvana Barbieri)
La scure di
Erdogan sul Partito democratico dei Popoli: arrestati 82
dirigenti.
“Èin atto un vero e
proprio genocidio politico”, sostiene Eren Keskin, avvocato e attivista per i
diritti umani, vicepresidente dell’İnsan Hakları Derneği (İHD), la prestigosa
Associazione turca per i diritti umani. “Stiamo assistendo alla detenzione di
massa del terzo partito più grande del paese” I calcoli del Partito della
giustizia e dello sviluppo (AKP) di Erdoğan sono chiari: per le prossime
elezioni deve essere annichilito, è la logica dell’uomo solo al comando. Il
presidente turco non vuole aver alcun ostacolo nelle prossime elezioni, non
vuole rischiare nemmeno lontanamente di perderle, vuole essere sicuro di
vincere e per esserne certo deve eliminare il partito più insidioso per lui. Se
elimina dalla competizione elettorale l’HDP, stando ai sondaggi attuali, è
matematica la sua rielezione. Venerdì, 25 settembre, la polizia ha fatto
irruzione anche nella casa del sindaco di Kars, Ayhan Bilgen, in quella degli
ex parlamentari Altan Tan e di Sırrı Süreyya Önder, uno degli esponenti storici
e fondatori dell’HDP, leader del movimento di Gezi, arrestato in una camera
d’albergo ad Aksaray a İstanbul dalla TEM, la squadra antiterrorismo turca. La maxi retata di dirigenti dell’HDP è
stata condotta in sette province della Turchia nell’ambito dell’indagine
dell’ufficio del Procuratore capo di Ankara sulle rivolte per Kobani che si
svolsero dal 6 al 12 ottobre 2014. La roccaforte curda in Siria sul confine con la
Turchia era allora assediata dallo Stato islamico e la popolazione del sudest
anatolico era irritata per il rifiuto di Ankara di intervenire in aiuto di
questa città. Migliaia di cittadini dei villaggi delle province a
maggioranza curda scesero in piazza per protestare contro il comportamento del
governo turco considerato gravemente omissivo. Le proteste degenerarono in scontri violenti con la
polizia, lasciando sulle strade 46 morti e oltre 600 feriti; furono devastate
da incendi 197 scuole, 269 edifici pubblici, 1731 abitazioni e 1230 veicoli. Ad oggi è sott’inchiesta o agli arresti la quasi
totalità della classe dirigente del secondo maggior partito d’opposizione,
considerato il pericolo numero uno da Erdoğan e dal suo AKP. Ci si chiede quale sia l’obiettivo di una simile
retata. L’opposizione non ha dubbi: l’obiettivo è impedire che
alle prossime elezioni, previste per il 2023, ma che potrebbero essere
anticipate, si svolgano senza l’HDP o con questo partito fortemente decimato. Perché sono particolarmente significativi, ora, questi
arresti? Perché il Partito democratico dei popoli turba il sonno di Erdoğan? La parlamentare Meral Danış-Beştaş, vicepresidente del
gruppo parlamentare dell’HDP sostiene che “non vi è alcun fondamentale legale
in questi arresti. Il governo di solito fa aprire un’indagine come e quando
vuole, ogni volta che ciò torna utile nella strategia mirante a delegittimare
l’opposizione criminalizzandola”. Liberare un oppositore può tornare utile in
determinate circostanze, ma poi se risulta invece utile che stia in carcere, lo
si arresta di nuovo affibiandogli un
nuovo capo di imputazione.E così è accaduto per Ayhan
Bilgen, Altan Tan, Sırrı Süreyya Önder e per altri. Essi furono messi sotto
inchiesta e arrestati poco dopo le rivolte per Kobani del 2014 e dopo si capì
che essi non avevano alcuna responsabilità dei reati loro ascritti. Essi furono
quindi liberati, ma ora, dopo sei anni, l’inchiesta è stata riaperta con prove
inesistenti. “Il nostro partito non ha alcuna responsabilità per
gli incidenti di Kobani. Abbiamo più volte suggerito che fosse istituita una
commissione di inchiesta parlamentare su quegli eventi, ma la nostra richiesta
è stata sempre respinta. I responsabili di quelle morti non sono mai stati
assicurati alla giustizia. Nessuno è stato processato, ma ora si vuole che il
nostro gruppo ne paghi il prezzo”, ha precisato Danış-Beştaş. Il quotidiano di sinistra Bir Gün parla di un
governo turco schiacciato da una crisi economica per la quale
non intravede una via d’uscita e che sta provocando una perdita di consensi
sempre più consistente sia per l’AKP di Erdoğan che per l’estrema destra
nazionalista, MHP, di Devlet Bahçeli. I due alleati di governo cercano una via
d’uscita che consenta loro di risalire nei sondaggi e per questo mettono come sempre
sotto torchio l’opposizione più insidiosa. Il giornale conservatore Karar,
quotidiano dei fuoriusciti dall’AKP parla dell’attuazione di un’agenda
elettorale del Partito della giustizia e dello sviluppo. L’operazione,
sostiene infatti l’opposizione turca, ha origine nel palazzo e asseconda le
aspettative del palazzo. Prendere di mira l’HDP non punta solo all’eliminazione
fisica del partito più insidioso per la rielezione di Erdoğan, ma significa
anche eliminare alcune fratture esistenti all’interno dell’Alleanza
repubblicana (Cumhur İttifakı) tra l’AKP e gli ultranazionalisti degli Ulusalcı
e degli ex Lupi Grigi e risanare alcune fratture anche all’interno dello stesso
partito di governo, tra la corrente Pelikan che fa capo al genero di Erdoğan e
ministro del Tesoro delle Finanze, Berat Albayrak, e il ministro dell’Interno
Süleyman Soylu che ha promesso di sdradicare da ogni angolo del paese il
terrorismo curdo entro quest’anno. Soylu, il 13 luglio 2020, ha lanciato nelle province
del sudest al confine con Siria, Iraq e Iran, nel cosiddetto triangolo del
terrore di Şırnak, Hakkari e Van, l’operazione Yıldırım, (Fulmine), giunta alla
dodicesima fase, concentrata nel distretto di Beşkaynak nella provincia di
Bitlis, sul lago di Van. L’Operazione antiterrorismo Yıldırım-12 (Fulmine-12)
sta impiegando 747 commando di forze speciali della Gendarmeria (JÖH), corpi
speciali della Polizia (PÖH) e Guardie di sicurezza. L’operazione mira a sdradicare ogni cellula del
Partito dei lavoratori del Kurdistan (PKK) dal paese e ha finora “neutralizzato”,
come si usa dire nel gergo militare turco, 71 presunti terroristi, 38
fiancheggiatori e distrutto 141 covi e depositi d’armi. L’operazione
ha fatto seguito a quella precedente denominata Kıran, che vuol dire
frantumazione, avviata nel maggio del 2018. L’opposizione ha reagito condannando con grande
decisione gli arresti. Il leader del Partito repubblicano del popolo (CHP),
Kemal Kılıçdaroğlu, ha parlato di un presidente della Repubblica che ha paura
dell’opposizione e che sa di avere i giorni contati. La presidente provinciale
di Istanbul, Canan Kaftancıoğlu, l’eroina del partito, braccio destro del
sindaco di Istanbul, İmamoğlu, parla di una magistratura alle dirette
dipendenze del capo dello Stato. E il vicepresidente della Commissione diritti
umani del Parlamento turco, Sezgin Tanrıkulu, parlamentare del CHP, parla di
una magistratura che ha voluto fare un regalo al Palazzo. Birol Aydın del partito islamista di
opposizione, Saadet chiede di sapere quale sia il motivo degli arresti. Kani
Torun del neocostituito Gelecek Partisi, il Partito del Futuro dell’ex primo
ministro Ahmet Davutoğlu ha detto che criminalizzare i partiti democratici
serve solo al PKK ed è come mettere l’olio sul pane, un’espressione turca che
significa fare la cosa più semplice quando non c’è più niente da mangiare. Mustafa
Yeneroğlu del DEVA, il Partito della Democrazia e del Progresso dell’ex zar
dell’Economia turca Ali Babacan ha detto che si tratta di una
strumentalizzazione della giustizia per puri scopi personali. L’HDP aveva vinto
le elezioni comunali del 2019 in 65 comuni Ma il governo ha nominato amministratori fiduciari in
47 di queste municipalità, defenestrando e arrestando i loro sindaci eletti in
libere elezioni con maggioranze schiaccianti: 22 sindaci su 47 defenestrati
sono attualmente dietro le sbarre, e sono tutti dell’HDP. Da quando è stato fondato, nell’ottobre del 2012, il
Partito democratico dei popoli, ha visto decimare la sua classe dirigente:
tredici parlamentari arrestati, oltre cento sindaci defenestrati, molti dei
quali finiti dietro le sbarre assieme a oltre ventimila tra dirigenti e
militanti. Era dai primi anni Novanta che non si assisteva ad una
simile repressione contro le organizzazioni e i partiti del movimento curdo.
Quando allora vigeva lo stato di emergenza e militanti e intellettuali curdi
riempivano le galere e ingrossavano le file dei desaparecidos. L’attuale presidente delll’HDP Mithat Sancar, arabo di
Mardin, ha definito la repressione in atto contro il suo partito come “un colpo di stato politico”, simile a quello già avvenuto
il 2 marzo del 1994 quando alcuni parlamentari curdi eletti tra le file
dell’allora Partito socialdemocratico (SHP) persero lo status di parlamentari e
furono arrestati; tra gli altri, Leyla Zana, premio Sakharov nel
1995, colpevole di aver giurato in Parlamento in lingua curda e Ahmet Türk
figura carismatica del movimento curdo. Un colpo di stato politico, come quello avvenuto il 4
novembre 2016, quando furono arrestati i copresidenti dell’HDP, il suo leader
carismatico e fondatore Selahattin Demirtaş e Figen
Yüksekdağ. Il 22 maggio 2020 furono arrestati 18 attivisti
politici, molti dei quali dell’HDP e dell’associazione femminista delle Donne
Rosa di Diyarbakır, la più grande città a maggioranza curda della Turchia. Agli inizi di quello stesso mese furono rinvenute
alcune scatole di plastica piene di ossa di 261 persone, erano state sepolte
una sopra l’altra sotto un marciapiede a Kilyos, in una località a nord di
Istanbul. Le ossa sono di coloro che furono dissepolti in un
cimitero nella provincia di Bitlis nella Turchia orientale a maggioranza curda,
una delle aree dove si concentrano le operazioni antiterrorismo, e sono state
trasferite a Istanbul, all’insaputa delle loro famiglie. Ossa, queste, trovate accatastate, sotto un
marciapiede. All’inizio del 2020 è stata scoperta una fossa comune
a Dargeçit, nella provincia di Mardin, sempre nel sudest a maggioranza curda. Erano teschi e ossa di 40 persone. Quaranta curdi, che
furono portati via negli anni ’90, rapiti dalle loro case, strappati ai loro
cari e assassinati. Anche questo rinvenimento è passato inosservato in Turchia. Perché? Perché si tratta di curdi. ″Nessuno ha chiesto chi fossero queste persone,
quali vite conducessero, chi le avesse strappate ai loro cari e chi le avesse
uccise″, sostiene l’attivista per i diritti umani e scrittrice, Nurcan
Baysal. Giovedì, 24 settembre, un prigioniero politico curdo,
Ali Boçnak, di 76 anni, ha perso la vita nella prigione di tipo L del
penitenziario di Patnos, in provincia di Ağrı. Boçnak fu arrestato nell’ambito dell’operazione contro
l’Unione delle comunità del Kurdistan KCK a Kars nel novembre del 2009,
condannato a 7 anni e 8 mesi di carcere. Ali Boçnak, oltre ad essere accusato di appartenenza
al KCK, organizzazione ombrello che sovraintende i partiti curdi che fanno
riferimento al PKK in Turchia, Siria, Iraq e Iran, è stato incriminato anche
per aver cantato una canzone in curdo. La sua pena detentiva è stata confermata
dalla Corte di Cassazione nel 2013. A nulla è valsa la campagna sui social
delle organizzazioni per i diritti umani che chiedevano la sua liberazione
essendo egli gravemente ammalato perché affetto da insufficienza renale e da
molte altre patologie. croniche. Secondo il rapporto 2020 dell’İHD, in Turchia
vi sono 1.564 prigonieri malati, dei quali 591 in maniera grave. L’esercito turco è stato
recentemente accusato di aver lanciato dall’elicottero due contadini curdi. L’11 settembre due contadini curdi
erano stati arrestati dai reparti speciali antiterrorismo, fatti salire su un
elicottero e poi gettati nel vuoto. Le organizzazioni per i diritti umani
denunciano questa pratica come usuale nelle operazioni militari nelle aree
rurali contro il Partito dei lavoratori del Kurdistan. I pubblici ministeri
turchi hanno aperto un’indagine sulle accuse secondo cui due agricoltori curdi
sarebbero stati brutalmente picchiati e lanciati fuori da un elicottero
militare nella provincia sudorientale di Van. Questo caso ha ricordato gli orrori inflitti alla
popolazione curda del luogo al culmine della recrudescenza delle operazioni
antiterroristiche contro il PKK negli anni ’90. Le immagini dei volti
insanguinati di Osman Siban, 50 anni, e Servet Turgut, 55 anni, che circolano
online hanno provocato orrore e putiferio nella comunità curda. I parlamentari
del Partito democratico dei popoli chiedono l’istituzione di una commissione
parlamentare per indagare sulla vicenda. Turgut ora è in condizioni critiche in
un ospedale di Van. “Mio padre è in coma”, ha denunciato Huseyin in
un’intervista, figlio unico di Turgut. “Ha un trauma cerebrale, 11 costole
rotte, un polmone perforato e i medici dicono che le sue possibilità di
sopravvivenza sono scarse. Chiediamo giustizia, ma lo stato vuole seppellire la
verità, per nasconderla”, ha detto. Siban, che è stato dimesso da un ospedale militare
questa settimana, soffre di vertigini e perdita di memoria. “È assolutamente
terrorizzato. Ha perso il senso del tempo e del luogo. Il suo parlare è un
piagnucolio infantile”, ha detto Hamit Kocak, uno dei tre avvocati che ha
presentato denuncia di tortura e di omicidio colposo. Siban si sta riprendendo
dalle ferite nella sua città costiera di Mersin. Il governo respinge ogni
accusa. Gli anni ’90 stanno tornando in Turchia, quegli anni
furono un periodo di feroce brutalità. Allora le forze di sicurezza fecero
evacuare con la forza la popolazione di almeno 2.500 villaggi che poi diedero
alle fiamme, come parte di una campagna militare da “terra bruciata” che vide
lo sfollamento di oltre un milione di persone. Secondo un rapporto del 2005 di
Human Rights Watch, elementi deviati dell’esercito avrebbero compiuto uccisioni
extragiudiziali, rapito dissidenti e sottoposti i curdi a numerosi altri abusi
nel tentativo di reprimere le rivolte del PKK.