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giovedì 1 ottobre 2020

DANTESCA
di Franco Toscani


 
 2. Il tema della superbia nel Purgatorio dantesco
 
Nel X Canto del Purgatorio alle anime dei superbi è imposta la meditazione dei due opposti dell'umiltà (la virtù) e della superbia (la colpa che si purga), dove l'insistenza dell'autore è particolarmente sulla vanità dell'umana superbia. In Dante è sempre vasto tanto il campo delle colpe e dei vizi umani come la superbia, l'alterigia, l'iracondia, la violenza, la protervia, la megalomania, la vanità, l'orgoglio, la presunzione, il disprezzo, la gloria, etc. quanto il campo delle virtù come l'umiltà, la pietà, la giustizia, la misericordia, l'amore, la bontà, etc.
Dante sottolinea ad esempio la giustizia e la pietà dell'imperatore Traiano, il suo gesto di maxima humiliatio nei confronti del dolore materno di una "vedovella" "miserella" (cfr. Purgatorio, X, 77, 82, 93), gesto così commentato dal Benvenuto: "Certe maxima humiliatio fuit quod altissimus princeps ita inclinaret imperatoriam maiestatem ad audiendam mulierculam plorantem sub superbis signis, in campo martio superbo, inter equites superbos".
Ma proprio caratteristiche e qualità umane mirabili come l'umiltà, la mitezza, la cortesia, la gentilezza, la generosità, la pietosa sollecitudine, la bontà vengono considerate dai superbi e dai prepotenti come inequivocabili e vergognosi segni di debolezza. I superbi sono forti, sprezzanti coi deboli e sono deboli, servili coi forti, perciò sono esseri spregevoli e ignobili, come la prepotente consorteria degli Adimari: "L'oltracotata schiatta che s'indraca/ dietro a chi fugge, e a chi mostr 'l dente/ o ver la borsa, com'agnel si placa" (Paradiso, XVI, 115-117. Sulla stirpe degli Adimari e su tutti coloro che sono animati da spirito di sopraffazione e di prepotenza si veda lo sdegno di Dante anche in Inferno, VIII, 31-63).
Nel X Canto del Purgatorio, bassorilievi marmorei propongono esempi di umiltà esaltata e di superbia punita. Il contrasto e la tensione fra l'antica superbia e l'umiltà riscoperta sono avvertiti con una forte e drammatica intensità.
I superbi sono una schiera di anime procedenti lentamente e faticosamente, curve, sotto il peso di enormi macigni. I volti, un tempo superbi e altezzosi, ora sono costretti a chinarsi verso terra; i superbi si piegano e contorcono, la loro grandezza falsa e proterva è scomparsa completamente.
Dante insiste sulla stupida vanità della superbia umana, dei "superbi cristian, miseri lassi", infelici dimentichi della miseria comune a tutti gli uomini, ciechi di mente ("de la vista de la mente infermi", cfr. Purgatorio, X, 121-122), che ripongono la loro fiducia in cose effimere e vane, illudendosi di salire in alto, ma ripiombando in realtà nella disgrazia. Anche altrove il Nostro conferma la sua critica più volte ribadita del comportamento reale dei cristiani e l'esigenza pressante di un ritorno alla pratica evangelica genuina: "Siate, Cristiani, a muovervi più gravi:/ non siate come penna ad ogne vento,/ e non crediate ch'ogne acqua vi lavi./ Avete il novo e 'l vecchio Testamento,/ e 'l pastor de la Chiesa che vi guida:/ questo vi basti a vostro salvamento./ Se mala cupidigia altro vi grida,/ uomini siate, e non pecore matte,/ sì che 'l Giudeo di voi tra voi non rida!/ Non fate com'agnel che lascia il latte/ de la sua madre, e semplice e lascivo/ seco medesmo a suo piacer combatte!" (Paradiso, V, 73-84).
Riferendosi al paragone dell'uomo col verme, un tema biblico e patristico presente anche in Agostino d'Ippona (il quale rileva in un importante trattato esegetico del 416, In Iohannis Evangelium, I, 13: "Omnes homines de carne nascentes quid sunt nisi vermes?"), Dante scrive: "non v'accorgete voi che noi siam vermi/ nati a formar l'angelica farfalla,/ che vola a la giustizia sanza schermi?" (Purgatorio, X, 124-126).
Il poeta sottolinea che l'anima umana, come "angelica farfalla" (Purgatorio, X, 125), si ritrova nuda di fronte alla giustizia divina, rispetto alla quale non può sperare alcun vantaggio da tutti quei beni terreni - come le ricchezze, il potere, gli onori, la fama - che garantiscono solo una gloria vana e sono transitori; soltanto sulla terra essi sono ragione di orgoglio e danno l'illusione della potenza. Non vi è invece alcuna ragione di insuperbire, dato che siamo "entomata in difetto" (cfr. Purgatorio, X, 128), ossia come insetti imperfetti, come bruchi che non hanno ancora compiuto il loro sviluppo.
Grande è la pena e la sofferenza dei superbi ("qual più pazienza avea ne li atti,/ piangendo parea dicer: 'Più non posso' ", cfr. Purgatorio, X, 138-139), perché grave è la loro colpa, grande il loro peccato, con cui vengono letteralmente rovinate le vite degli individui e va drammaticamente sprecato il senso stesso della vita umana.
Grande è la "caligine del mondo" (cfr. Purgatorio, XI, 30) provocata dalla superbia, caligine perché offusca la mente dei mortali quando intendono fare dell'uomo l'Onnipotente, qualcosa di simile a un Dio. La nebbia del peccato e del male offusca la purezza delle anime e oscura l'orizzonte della nostra esistenza.
Già per il pensatore presocratico Eraclito di Efeso la βρις fu il peggiore dei mali umani, in quanto misconoscimento del senso della misura e trasgressione insensata/rovinosa dei limiti posti agli uomini. Infatti egli scrive nel frammento 43 (Diels-Kranz): "βριν χρ σβεννύναι μλλον πυρκαϊήν" ("Bisogna spegnere la superbia ancor più di un incendio").