La
ricerca di una nuova sinistra deve passare attraverso la capacità di mantenere
tratti della propria memoria ma, allo stesso tempo, di alleggerirsi del
fardello del fallimento dei tentativi di inveramento statuale del ‘900 e dal
retaggio lasciato da quella che è stata la fase del compromesso
socialdemocratico. È un cunicolo stretto quello che ci sta mostrando
la storia. Nella
crisi della democrazia occidentale non è stata ancora aperta una ricerca di
nuove forme dell’azione politica. Sembra
del tutto insufficiente la capacità di analisi finalizzata a definire un
adeguato quadro di contrasto rispetto agli effetti più deteriori che si stanno
determinando nella modernità sul piano delle disuguaglianze, dello sfruttamento
delle persone e del territorio, dell’uso delle nuove potenzialità tecnologiche. In
questo contesto di mutamenti epocali sono stati trascurati aspetti dell’azione
politica che sembrano molto difficili da interpretare. Ritorno
su di un punto al riguardo della crisi delle forme storiche della democrazia
occidentale e del loro scivolamento, in assenza di alternative, verso modelli
di strutturazione autocratica nella gestione del potere. Quali
gli effetti di questa crisi? Abbiamo
assistito nel corso degli ultimi anni, almeno dal crollo finanziario del 2007,
allo stringersi di un intreccio tra “governo” e “potere” fino quasi al punto da
generare una sovrapposizione nella pratica concreta. È stata questa, dell’intreccio e della
sovrapposizione tra “governo” e “potere” la causa dell’incentivarsi del
populismo. È emersa una forma di populismo diversa da quelle
del passato. Il
populismo di oggi non transita attraverso le espressioni attraverso le quali,
in passato, si era cercato semplicemente di ridurre l’azione politica alla
forma del rapporto diretto tra il Capo e le Masse. Molto
più sottilmente gli interpreti della necessità di “ridurre”, in senso
decisionista il rapporto tra la politica e la complessità sociale, hanno
confuso la “testa” con la “guida”. Ci si pone alla “testa” delle masse per
assecondarne le istanze più apertamente corporative rinunciando alla “guida”. È ormai assente l’idea di una “guida” che si esprima
attraverso l’elaborazione di un progetto di definizione della società e delle
principali istanze da realizzarsi proprio sulla base di una interpretazione del
senso dell’uguaglianza, della libertà politica, della solidarietà sociale,
della visione del futuro. Se
manteniamo fermo il concetto di potere inteso come capacità di condizionare il
comportamento di altri uomini va ripensata, probabilmente, l’accezione
ristretta del concetto di governo inteso come organo cui è attribuita
dall’ordinamento giuridico la funzione di un indirizzo politico di uno Stato e
di presiedere alla sua attuazione. Abbiamo
visto quanto illusoria sia stata l’idea di superare il ’900 attraverso una
globalizzazione presieduta dalla finanza e accompagnata dalla progressiva
cessione di sovranità da parte dello “Stato-Nazione”. L’utilizzo
della tecnologia in campo comunicativo ha creato nuovi livelli di dominio
sovranazionali e sovrastatuali: probabilmente i veri centri dove governo e
potere si sono intrecciati. La
democrazia “classica” sembra ridotta a simulacro e gli interpreti ristretti
nella sua estrema forma “recitativa”. È probabile che la costruzione di una nuova
sinistra passi attraverso una rielaborazione del concetto di rappresentanza:
quel concetto di rappresentanza che rimane quello fondamentale di espressione
della democrazia. Servirà ancora una rappresentanza capace di distinguere tra
le diverse funzioni della “politica”. Una
idea della rappresentanza da destinarsi a costruire una dimensione “visibilmente
distinta" tra i diversi livelli dell’agire politico. Partire
dalla “distinzione della visibilità" dunque per ricercare un ruolo oggi
possibile per soggetti che cercano il potere e per i compiti delle istituzioni
all’interno delle quali il potere stesso può essere assegnato ed esercitato. Servirebbe
però una riflessione al riguardo della quale non sembrano emergere sedi e
spunti minimamente adeguati.