“La cultura rende autonomi, consapevoli,
riflessivi, aperti al confronto. Non paga però in termini immediati e questo
nella democrazia del consumo è una condanna a morte perché si confonde la
cultura con un sapere misurabile in termini di affermazione sociale. Dovremmo
recuperare invece un concetto di cultura più mediato non più elitario e
soprattutto dominato dal dogma del possesso”. Marco Lombardi avanza
questo interrogativo dalle colonne di “la Repubblica”: potrà ancora essere
possibile rispondergli? Pago volentieri il
prezzo di essere tacciato del “guardare all’indietro” ma rimango convinto che
la sola possibilità di spezzare il nodo con il quale nella società dei consumi
si è avviluppato il rapporto tra cultura e dogma del possesso rimanga il
recuperare, la capacità di partecipare attivamente alla produzione del mondo,
essere guida di se stessi e non già accettare passivamente dall’esterno
l’impronta alla propria personalità. Ciò può avvenire
attraverso l’espressione dell’intellettuale che elabora la propria concezione
del mondo consapevolmente e criticamente e la confronta e la diffonde
attraverso strumenti di conoscenza collettiva. È necessario
riprendere Gramsci:“Per la propria concezione del mondo si appartiene sempre a un
determinato aggruppamento, e precisamente a quello di tutti gli elementi
sociali che condividono uno stesso modo di pensare e di operare. Si è
conformisti di un qualche conformismo, si è sempre uomini-massa o
uomini-collettivi. La questione è questa: di che tipo storico è il conformismo,
l’uomo-massa di cui fa parte? Quando la concezione del mondo non è critica e
coerente ma occasionale e disgregata, si
appartiene simultaneamente a una molteplicità di uomini-massa, la propria personalità
è composita in modo bizzarro:” Creare una nuova cultura non significa
solo fare individualmente delle scoperte “originali”, significa anche
diffondere criticamente delle verità già scoperte, “socializzarle” e pertanto
farle diventare base di azioni vitali, elemento di coordinamento e di ordine
intellettuale” (Quaderni del Carcere, quaderno 11, XVIII, pagina 1376, Einaudi 1975 edizione critica a cura
di Valentino Gerratana). Se
vogliamo considerare, com’è necessario, il legame cultura/dogma del possesso
quale elemento fondativo del processo di disgregazione sociale nel quale ci
troviamo allora il punto diventa davvero quello del coordinamento di ordine
intellettuale della nostra capacità di diffusione dell'elaborazione critica. Il
tema, in sostanza, rimane quello dell’organicità nella presenza del pensiero
all’interno di un soggetto collettivo: il Partito. "Il partito, il
“moderno Principe”, “deve e non può non essere il banditore e dunque
organizzatore di una riforma intellettuale e morale, ciò che poi significa
creare il terreno per un ulteriore sviluppo della volontà collettiva nazionale
popolare verso il compimento di una forma superiore e totale di civiltà
moderna” (Quaderni del Carcere,
quaderno 8, XXVIII, pagina 951,Einaudi
1975 edizione critica a cura di Valentino Gerratana. Parole
sulle quali vale la pena di riflettere ancora oggi, nel grado di disgregazione
sociale e politica nella quale ci troviamo, nell’abbandono di valori e idealità
che si è verificato, nell’arretramento storico che si sta verificando.