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martedì 13 ottobre 2020

LA CULTURA DEL POSSESSO
di Franco Astengo

Antonio Gramsci

La cultura rende autonomi, consapevoli, riflessivi, aperti al confronto. Non paga però in termini immediati e questo nella democrazia del consumo è una condanna a morte perché si confonde la cultura con un sapere misurabile in termini di affermazione sociale. Dovremmo recuperare invece un concetto di cultura più mediato non più elitario e soprattutto dominato dal dogma del possesso”.
 
Marco Lombardi avanza questo interrogativo dalle colonne di “la Repubblica”: potrà ancora essere possibile rispondergli?
Pago volentieri il prezzo di essere tacciato del “guardare all’indietro” ma rimango convinto che la sola possibilità di spezzare il nodo con il quale nella società dei consumi si è avviluppato il rapporto tra cultura e dogma del possesso rimanga il recuperare, la capacità di partecipare attivamente alla produzione del mondo, essere guida di se stessi e non già accettare passivamente dall’esterno l’impronta alla propria personalità.
Ciò può avvenire attraverso l’espressione dell’intellettuale che elabora la propria concezione del mondo consapevolmente e criticamente e la confronta e la diffonde attraverso strumenti di conoscenza collettiva.
È necessario riprendere Gramsci: “Per la propria concezione del mondo si appartiene sempre a un determinato aggruppamento, e precisamente a quello di tutti gli elementi sociali che condividono uno stesso modo di pensare e di operare. Si è conformisti di un qualche conformismo, si è sempre uomini-massa o uomini-collettivi. La questione è questa: di che tipo storico è il conformismo, l’uomo-massa di cui fa parte? Quando la concezione del mondo non è critica e coerente ma occasionale e disgregata, si appartiene simultaneamente a una molteplicità di uomini-massa, la propria personalità è composita in modo bizzarro:”
Creare una nuova cultura non significa solo fare individualmente delle scoperte “originali”, significa anche diffondere criticamente delle verità già scoperte, “socializzarle” e pertanto farle diventare base di azioni vitali, elemento di coordinamento e di ordine intellettuale” (Quaderni del Carcere, quaderno 11, XVIII, pagina 1376, Einaudi 1975 edizione critica a cura di Valentino Gerratana).
Se vogliamo considerare, com’è necessario, il legame cultura/dogma del possesso quale elemento fondativo del processo di disgregazione sociale nel quale ci troviamo allora il punto diventa davvero quello del coordinamento di ordine intellettuale della nostra capacità di diffusione dell'elaborazione critica.
Il tema, in sostanza, rimane quello dell’organicità nella presenza del pensiero all’interno di un soggetto collettivo: il Partito.
"Il partito, il “moderno Principe”, “deve e non può non essere il banditore e dunque organizzatore di una riforma intellettuale e morale, ciò che poi significa creare il terreno per un ulteriore sviluppo della volontà collettiva nazionale popolare verso il compimento di una forma superiore e totale di civiltà moderna” (Quaderni del Carcere, quaderno 8, XXVIII, pagina 951, Einaudi 1975 edizione critica a cura di Valentino Gerratana.
Parole sulle quali vale la pena di riflettere ancora oggi, nel grado di disgregazione sociale e politica nella quale ci troviamo, nell’abbandono di valori e idealità che si è verificato, nell’arretramento storico che si sta verificando.