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mercoledì 21 ottobre 2020

LIBERTÈ EGALITÈ FRATERNITÈ
di Franco Astengo
 


Un grande socialista svedese, Ernest Wigforss (un ministro, non un sognatore) rifiutava la formula per cui la “politica è l’arte del possibile”. Avrebbe rifiutato anche il marketing politico “L’arte dell’impossibile” con cui, in “Borgen”, la protagonista Birgitte Nyborg si ripresenta con un nuovo partito ed una nuova “comunicatrice” fotogenica rubata alla televisione. Secondo Wigforss per ogni socialista democratico la politica è invece “l’arte delle possibilità”. Ovvero usare la capacità politica per spostare il confine di ciò che è concesso. Il concetto di Wigforss illumina meglio quanto stiamo dicendo: occorre affermare e praticare che esistono ulteriori possibilità, e che sono migliori del presente. E poi occorre contendere il confine. Ed occorre dire che questa ricerca continuerà, che il socialismo democratico è (come diceva sempre Wigforss) “utopie provvisorie.” (da Paolo Borioni: Se il liberismo non è di sinistra, Il socialismo non è una bestemmia, dal blog “Striscia Rossa”)
 
“...Noi abbiamo conosciuto il grande romanzo della sinistra, lo abbiamo vissuto e cantato, e le generazioni che ci hanno preceduto ne hanno fatto parte per secoli, per millenni, ancor prima che i patrioti della fraternità, della libertà, dell’eguaglianza alla Convenzione si schierassero nei seggi alla sinistra. E’ romanzo che racconta di infinite sconfitte e lampi di vittoria, di mirabili gesta e immani sacrifici, improvvisi trionfi e repentini tradimenti, eroi e martiri, com’è nella natura delle grandi storie è romanzo di migliaia di capitoli e milioni di capoversi, miliardi di immagini, infiniti autori, così che ognuno ha un posto per sé, il suo piccolo o grande racconto del tutto” (Maurizio Maggiani stralcio da “Sinistra” L’Espresso n.43 del 18 ottobre 2020).
 
“(...) da coloro che vivono nel disagio materiale e stanno nelle periferie abbandonate (le baraccopoli digitali, per dirla con il filosofo Luciano Floridi) lontano dalla cittadella iperconnessa e benestante. Se ne vedono le conseguenze nei buchi neri dell’educazione a distanza, dove si incrociano digital e cultural divide. E se il cosiddetto lavoro agile diventa non l’eccezione bensì la regola, il tema dei livelli adeguati di connessione diviene un capitolo fondamentale dello stato innovatore democratico (Vincenzo Vita, Essere o non Essere digitali, questo è il problema. “Il Manifesto” 21 ottobre 2020)
 
“C’è un vuoto culturale, in Italia e in Occidente, fra due estremi: il pauperismo ostile alla modernità da una parte e, dall’altra, l’accettazione acritica di qualunque cosa la globalizzazione porti con sé
” (Federico Fubini Sul vulcano. Come riprenderci il futuro in questa globalizzazione fragile. Longanesi 2020).
 
Tra le letture di questi giorni ho scelto queste tre citazioni perché mi è parso si trattasse di testi attraverso la cui lettura potrebbe essere possibile riassumere per punti alcuni elementi di dibattito.
Un dibattito che stenta a decollare in una dimensione concreta ma che necessariamente dovremmo cercare di portare avanti nell’opera di costruzione di una sinistra politica al riguardo della quale non ci si può limitare alla constatazione del “non esistere”.
Stiamo tenendo assieme il lamento sul passato e la neghittosità del presente. Su questo punto è il caso di riflettere:
 
1). Il vuoto culturale è l’emergenza prioritaria da valutare per poter riprendere a disegnare un futuro possibile davanti all’emergere di contraddizioni in parte già viste e consumate nell’imperante logica dello sfruttamento umano e della natura e in altre inedite, da quella sanitaria a quella del “digital divide”. Contraddizioni che debbono essere raccolte in un’analisi concreta per poterne fronteggiare gli effetti negativi presentando un progetto di cambiamento sistemico;
 
2). Fraternità, Libertà, Eguaglianza non possono continuare a significare semplici richiami all’antico ma debbono costituire nuovi punti di partenza. Non dobbiamo arrenderci ad una modernità senza principi, basata sull’individualismo competitivo. La nostra storia non si è fermata alla rovina del tentativo di inveramento statuale che ha attraversato il ‘900 nelle diverse versioni della sinistra. Ci sono interi popoli che ancora aspirano a inserirsi in quella scia di liberazione e il concetto di classe sociale non è certo desueto anche (e soprattutto) nel tempo della digitalizzazione;
 
3). “Utopie provvisorie”: una definizione felice. Esiste l’Utopia con la U maiuscola che sempre deve illuminare il nostro cammino e ancora le diverse utopie da costruire cammin facendo. Utopie provvisorie da costruire tenendo ben presente la realtà storica. Ed è proprio dalla storia che è necessario ripartire, non per soffermarci semplicisticamente a rimirare le “magnifiche sorti e progressive” ma per comprendere, proiettandoci nel futuro la dinamica dell’umano, le tensioni che si esprimono nella ricerca del divenire, il pensiero che si alimenta tornando alle glorie e alle difficoltà del passato.
 
Due domande, infine: perché viviamo tanta timidezza a riprendere un discorso chiaro sul socialismo possibile? Perché ci autolimitiamo in ricerche separate invece di tentare di confluire in un crogiolo dal quale far uscire la nuova immagine dell’eguaglianza? Grazie per la vostra attenzione e grazie in anticipo se qualcuna/o vorrà rispondermi.