“Un
grande socialista svedese, Ernest Wigforss
(un ministro, non un sognatore) rifiutava la formula per cui la “politica è
l’arte del possibile”. Avrebbe rifiutato anche il marketing politico “L’arte dell’impossibile”
con cui, in “Borgen”, la protagonista Birgitte Nyborg si ripresenta con un
nuovo partito ed una nuova “comunicatrice” fotogenica rubata alla televisione.
Secondo Wigforss per ogni socialista democratico la politica è invece “l’arte
delle possibilità”. Ovvero usare la capacità politica per spostare il confine di ciò che è concesso. Il concetto di Wigforss
illumina meglio quanto stiamo dicendo: occorre affermare e praticare che
esistono ulteriori possibilità, e che sono migliori del presente. E poi occorre
contendere il confine. Ed occorre dire che questa ricerca continuerà, che il
socialismo democratico è (come diceva sempre Wigforss) “utopie provvisorie”.” (da Paolo Borioni: Se illiberismo non è di sinistra, Il socialismo non è una bestemmia,
dal blog “Striscia Rossa”) “...Noi abbiamo conosciuto il
grande romanzo della sinistra, lo abbiamo vissuto e cantato, e le generazioni
che ci hanno preceduto ne hanno fatto parte per secoli, per millenni, ancor
prima che i patrioti della fraternità, della libertà, dell’eguaglianza alla
Convenzione si schierassero nei seggi alla sinistra. E’ romanzo che racconta di
infinite sconfitte e lampi di vittoria, di mirabili gesta e immani sacrifici,
improvvisi trionfi e repentini tradimenti, eroi e martiri, com’è nella natura
delle grandi storie è romanzo di migliaia di capitoli e milioni di capoversi,
miliardi di immagini, infiniti autori, così che ognuno ha un posto per sé, il
suo piccolo o grande racconto del tutto” (Maurizio Maggiani stralcioda “Sinistra” L’Espresso n.43
del 18 ottobre 2020). “(...) da coloro che
vivono nel disagio materiale e stanno nelle periferie abbandonate (le
baraccopoli digitali, per dirla con il filosofo Luciano Floridi) lontano dalla
cittadella iperconnessa e benestante. Se ne vedono le conseguenze nei buchi
neri dell’educazione a distanza, dove si incrociano digital e cultural divide.
E se il cosiddetto lavoro agile diventa non l’eccezione bensì la regola, il
tema dei livelli adeguati di connessione diviene un capitolo fondamentale dello
stato innovatore democratico (Vincenzo Vita, Essere o non Essere
digitali, questo è il problema. “Il Manifesto” 21 ottobre 2020) “C’è un vuoto culturale, in
Italia e in Occidente, fra due estremi: il pauperismo ostile alla modernità da
una parte e, dall’altra, l’accettazione acritica di qualunque cosa la
globalizzazione porti con sé”
(Federico Fubini Sul vulcano. Come riprenderci il futuro in questa
globalizzazione fragile. Longanesi 2020). Tra le letture di questi
giorni ho scelto queste tre citazioni perché mi è parso si trattasse di testi
attraverso la cui lettura potrebbe essere possibile riassumere per punti alcuni
elementi di dibattito. Un dibattito che stenta a
decollare in una dimensione concreta ma che necessariamente dovremmo cercare di
portare avanti nell’opera di costruzione di una sinistra politica al riguardo
della quale non ci si può limitare alla constatazione del “non esistere”. Stiamo tenendo assieme il
lamento sul passato e la neghittosità del presente. Su questo punto è il caso
di riflettere: 1).Il vuoto culturale è l’emergenza prioritaria da
valutare per poter riprendere a disegnare un futuro possibile davanti
all’emergere di contraddizioni in parte già viste e consumate nell’imperante
logica dello sfruttamento umano e della natura e in altre inedite, da quella
sanitaria a quella del “digital divide”. Contraddizioni che debbono essere
raccolte in un’analisi concreta per poterne fronteggiare gli effetti negativi
presentando un progetto di cambiamento sistemico; 2). Fraternità, Libertà, Eguaglianza non possono
continuare a significare semplici richiami all’antico ma debbono costituire
nuovi punti di partenza. Non dobbiamo arrenderci ad una modernità senza
principi, basata sull’individualismo competitivo. La nostra storia non si è
fermata alla rovina del tentativo di inveramento statuale che ha attraversato
il ‘900 nelle diverse versioni della sinistra. Ci sono interi popoli che ancora
aspirano a inserirsi in quella scia di liberazione e il concetto di classe
sociale non è certo desueto anche (e soprattutto) nel tempo della
digitalizzazione; 3). “Utopie provvisorie”: una definizione felice.
Esiste l’Utopia con la U maiuscola che sempre deve illuminare il nostro cammino
e ancora le diverse utopie da costruire cammin facendo. Utopie provvisorie da
costruire tenendo ben presente la realtà storica. Ed è proprio dalla storia che
è necessario ripartire, non per soffermarci semplicisticamente a rimirare le
“magnifiche sorti e progressive” ma per comprendere, proiettandoci nel futuro
la dinamica dell’umano, le tensioni che si esprimono nella ricerca del
divenire, il pensiero che si alimenta tornando alle glorie e alle difficoltà
del passato. Due domande, infine: perché
viviamo tanta timidezza a riprendere un discorso chiaro sul socialismo
possibile? Perché ci autolimitiamo in ricerche separate invece di tentare di
confluire in un crogiolo dal quale far uscire la nuova immagine
dell’eguaglianza?Grazie per la
vostra attenzione e grazie in anticipo se qualcuna/o vorrà rispondermi.