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giovedì 8 ottobre 2020

 PENSIERI OZIOSI DI UN OZIOZO
di Paolo Maria Di Stefano



L’occasione a ben guardare è ghiotta: il tempo per pensare a quanto accade si è dilatato e, per gli uomini di buona volontà, potrebbe aiutare ad immaginare le vie di quel rinnovamento che si afferma necessitato dalla pandemia e dal relativo virus dalle cento vite che l’ha provocata e che pare intenzionato a rinforzarlo. Se ho capito bene. Siamo punto e a capo, probabilmente per colpa nostra, forse anche in forma più aggressiva, e sembrano sprecate le opportunità di cambiamento delle quali si favoleggia dal momento che l’atteggiamento generale della gente pare orientato a ricostruire l’economia, in primis, in nulla cambiando i criteri interrotti dal virus, bensì soltanto esaltando il cicaleccio continuo di politici e di economisti, tesi a superare il rumore degli esperti e degli appassionati di calcio.
E c’è anche chi sostiene che si tratti di una caratteristica delle democrazie avanzate. Che potrebbe anche essere giusto, anche perché che ci sia molto da cambiare è e rimane indiscutibile.
Solo una nota: nessuno dedica l’attenzione necessaria alla soluzione dei problemi ritenuti piccoli.
Per una questione di orgoglio e di prestigio, dal momento che la storia e la filosofia insegnano che de minimis non curat rex.
Ho sempre creduto si trattasse di una sintesi esemplificativa per esaltare la funzione del re ma…



Il 12 settembre appena trascorso, in un momento di pura follia, immaginando che i negozianti tutti avessero puntato la propria attenzione sul servizio al cliente, ho deciso di acquistare in un negozio- un tempo noto proprio per i rapporti curati con la clientela- ben cinque DVD RW vergini al fine di migliorare la mia collezione, non del tutto trascurabile per un privato. A tal fine, sono entrato dopo parecchio tempo e senza esitazione o dubbio di sorta in un negozio un tempo esemplare per l’assortimento ed il servizio al cliente, anche comodo per me per la posizione centrale occupata da tempo. Subito un particolare, almeno in apparenza trascurabile: il commesso non portava la mascherina d’ordinanza. Ovviamente, del resto, essendo la posizione da lui occupata di autorità e prestigio, e dunque non conciliabile appieno con la sua altolocata posizione gerarchica.
E qui il mio primo errore: avrei almeno dovuto richiamare all’ordine il personaggio e rifiutare di acquistare i DVD, dal momento che in quella situazione la sua affidabilità nella gestione del cliente era quanto meno discutibile.
E, come accade di solito in questi casi, anche il pensiero di una proposta: se i superiori non riuscivano ad imporre mascherina e guanti, perché non prevedere un controllo esterno, magari affidato ai carabinieri? Con relativa sanzione immediata, anche a tutela non del tutto indiretta della immagine del negozio stesso il quale nel caso specifico era erede e risultato di una scuola pluriennale, voluta e guidata dalla sua fondatrice, quando per le signore dedicarsi alle imprese di distribuzione di prodotti tecnologicamente avanzati non era la cosa più semplice. E proprio la qualità del servizio aveva spinto tanti di noi a scegliere quel negozio e aveva consentito alla titolare di ingrandirsi e vivere ancora oggi.
E che un commesso per altri versi tutt’altro che colto attentasse all’immagine…
A parte ogni considerazione relativa al valore: lo scontrino – che ovviamente conservo- parla di appena nove euro e novantacinque centesimi e dunque di un importo trascurabile, soprattutto da parte del marchio orgogliosamente internazionale operante al centro di Milano.



Ma ovviamente c’è di più: quando mi sono presentato a chiedere la sostituzione dei DVD-RV avariati, Sua Maestà il commesso si è alteramente rifiutato sia di sostituirli che di rimborsarmi il prezzo pagato, degnandosi solo di proporre di tornare in negozio con il mio video registratore, non disponendo egli degli strumenti adatti alla valutazione della qualità e della funzionalità di quei DVD scelti e consegnati da lui.
Ovviamente, la Maestà Sua ha accolto con disdegno la proposta di essere lui ad accompagnarmi a casa mia, e mi ha voltato alteramente le spalle, chiudendosi in quello sdegnoso silenzio che appare proprio di chi non ha argomenti, ma comunque dispone di atteggiamenti in qualche modo efficaci per cercare di vantare titoli e cultura e professionalità.
Almeno, così crede.
Che se l’impresa per la quale lavora si fosse occupata o si occupasse correttamente di formazione, qualche risultato positivo potrebbe apparire all’orizzonte, almeno sotto forma di semplice educazione.
Che non consiste, l’educazione, in una banale e spesso volgare imitazione del comportamento dei così detti nobili, visti da chi nobile non è e neppure lo è mai stato.


 
Ed a proposito dei quali, vi siete accorti della loro moltiplicazione e della moltiplicazione della loro arroganza?
Oggi in Italia sembra molto più facile di un tempo inciampare in qualche Barone (minimo!), capace anche di guardarvi all’alto in basso con una certa dose di ostentato disprezzo
 Ho il dubbio - che a me pare fondato - che in gran parte almeno la cosa dipenda dal malvezzo di considerare chi dice di essere nobile un “migliore” e dunque più affidabile, anche se non lo dice, limitandosi a lasciarlo credere.
Che i cosiddetti “nobili” o “aristocratici” siano aumentati da quando i relativi titoli non sono più - ufficialmente - riconosciuti dalla nostra Repubblica, a me sembra indubbio, in ogni settore delle attività umane, da ciò guadagnando, io, dei flash a volte divertenti, sempre e tutti puntuali.
La bella signora consorte di un Patrizio perugino, quando accompagnava i figli (forse, dovrei dire i rampolli) ad una delle tante feste famigliari di moda allora, li lasciava andare con la raccomandazione (lett.) “Mangiate, fij mii, nun fate li cojoni!”, cosa peraltro accuratamente eseguita dal mio amico Piergirolamo Terzo per servirLa (sic!) e dalla sorella consci anche della affermazione della madre che, essendo il nonno materno “di rustica progenie”, non si poteva pretendere più che tanto. Certo, piccola nobiltà ruspante di provincia, nulla a che vedere con il tatto squisito del Principe Della Sannella il quale mai e poi mai avrebbe vantato il proprio rango: ogniqualvolta arrivava in albergo, ad esempio, egli stesso o qualcuno per lui si curava di fare attraversare la hall all’inserviente che portava un cartello con la scritta “Il principe Giovanni da Empoli della Sannella è atteso al telefono (oppure alla concierge oppure nel salottino riservato agli ospiti illustri).



Oggi, più di qualcosa è cambiato. Un network televisivo ha una trasmissione di grande successo che fa di procedimenti intentati dinanzi al giudice conciliatore un vero e proprio spettacolo, giungendo a sentenza obbligatoria.
Così, da ultimo si è presentato in veste di attore un signore anche discretamente elegante nel suo monopetto pastello dicendo (cito quanto più esattamente mi è possibile le espressioni originali): “Io sono principe, ho quattro cognomi e chiedo la separazione da mia moglie perché…”. “Il mio titolo è dimostrato dai miei quattro cognomi ed è antico quanto quello dei Savoia e comunque il più antico d’Italia…” per concludere che a casa mia vige un cerimoniale complesso…”.
Qualche settimana prima, un altro signore aveva attivato una causa di separazione dalla consorte perché “l’ho sposata perché mi ha fatto credere di essere marchesa, mentre non lo era affatto: non posso permettere che il mio sangue nobile si mescoli a quello di questa donna…”.  

 

La quale peraltro era una splendida donna, vergognantesi del livello sociale della famiglia d’origine e desiderosa di salire quella ch’ella credeva una scala sociale di prestigio e quindi spacciandosi per marchesa, dopo aver duramente lavorato fino a guadagnare circa millecinquecento euro al giorno. Il che, a suo dire, la metteva al riparo dal dubbio che fosse vero quanto il marchese marito andava sostenendo, e che, cioè, si trattava di puro e semplice arrivismo finanziario.
In tutti i miei ricordi e i miei flash, la scena si completa con la partecipazione di almeno un paio di antenati e ascendenti, dal padre nobile al decrepito capo della casata, tutti abbigliati in genere come se dovessero posare per dei ritratti ufficiali. E qui la pianto, non prima però di aver ricordato che, qualche mese indietro, qualcuno aveva pensato bene di lasciare affermare ad un decrepito principe che aveva voce in politica che la soluzione per il nostro Paese fosse… il Papa Re!