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giovedì 31 dicembre 2020

L’ANNO CHE VERRÀ


Composizione di
Max Hamlet Sauvage

Con questa originalissima composizione dell’artista Max Hamlet Sauvage, “Odissea” formula gli auguri più cari a tutti i collaboratori e ai suoi fedeli e numerosi lettori.  

LEGGE DI BILANCIO
di Alfonso Gianni

 
Un coacervo di norme senza respiro politico.
   
Habemus legem. Non c’è da esultare, ma comunque la legge di bilancio verrà approvata entro la fine dell’anno, malgrado fosse stata presentata in Parlamento con inconsueto ritardo, evitando così il temutissimo esercizio provvisorio. Non sarebbe stato un buon biglietto da visita per Bruxelles in attesa dei fondi del Recovery. Gli esponenti della maggioranza hanno voluto sottolineare che il testo del governo è stato arricchito da una discussione bipartisan in cui finalmente il Parlamento ha potuto dire la sua, dopo che ha passato un anno a convertire decreti del governo e a subire ripetuti voti di fiducia. Vero, ma solo per un ramo del Parlamento. La Camera ha discusso, il Senato ha ratificato. Lo stesso Presidente della Repubblica, che avrebbe secondo la Costituzione un mese per farlo, promulgherà la legge nell’attimo di un sospiro. In sostanza si è realizzata una sorta di monocameralismo di fatto, distorto e distorcente, oppure, se si preferisce, di un’anticipazione della entrata in vigore della riduzione di un terzo dei parlamentari infierendo particolarmente sul funzionamento del Senato ridotto a un moncherino. Certo non viviamo in tempi normali, solo che l’eccezione è diventata regola. 



È un anno che si vive di provvedimenti aventi natura finanziaria, questo è il nono. E non è finita, poiché oltre al tradizionale Milleproroghe a gennaio andrà in scena un altro scostamento di bilancio per finanziare un nuovo “ristoro”. A dimostrazione della fallacia del pareggio di bilancio inserito a suo tempo in Costituzione. Secondo l’Istat rispetto al secondo trimestre 2019 gli occupati sono calati di 841.000 unità, di cui quasi la metà under 35 e ieri l’ufficio studi della Confcommercio ha stimato che il tasso di mortalità delle imprese, rispetto al 2019, risulta quasi raddoppiato per quelle del commercio (dal 6,6% all’11,1%) e addirittura più che triplicato per i servizi (dal 5,7% al 17,3%). Ma guardando l’insieme dei provvedimenti economici lungo l’anno non si scorge che il tentativo di venire incontro all’emergenza, Difficile non concordare con la tagliente definizione dell’Ufficio parlamentare di bilancio (organo indipendente istituito nel 2014) che definisce questa legge “un coacervo di misure senza disegno”. Ove al tradizionale assalto alla diligenza e alla logica dispensatrice neocorporativa - la pioggia dei bonus, dagli occhiali agli smartphone, alcuni persino più ridicoli che scandalosi - si è aggiunta anche una qualche attenzione ai problemi sociali per soddisfare le esigenze più immediate, tra conferme e novità. 



Come i 267 milioni destinati all’assegno di ricollocazione esteso ai disoccupati Naspi e Discoll da oltre 4 mesi e ai cassaintegrati per cessazione di attività; la proroga di 12 settimane di Cig (ma senza oneri per le imprese); le facilitazioni per lo scivolo verso la pensione: la nona salvaguardia per gli esodati; l’istituzione di un fondo di 1 miliardo per il 2021 per l’esonero dai contributi previdenziali per le partite Iva con calo di un terzo del fatturato. Viene da chiedersi come tra tante provvidenze non sia riuscito a trovare posto il rinvio del taglio del fondo per l’editoria. Domanda retorica, essendo la risposta già nota con la vaga promessa che forse se ne riparlerà nel Milleproroghe. Mentre per il Sud si ricorre alla solita scelta dello sgravio contributivo per le aziende del 30% fino al 2029. Ma proprio questa norma mostra il fiato corto e lo sguardo miope della manovra. Come diceva lo storico Rosario Romeo la mancata ripresa del Sud - sempre più a fondo in questa crisi - compromette la ripresa nazionale. Ed è un problema che riguarda i vari sud dell’Europa. Ci penseranno i fondi del Recovery? C’è da dubitarne, visto il modo con cui si stanno preparando i progetti, diventati ostaggio di una lotta scriteriata che vede Renzi protagonista per imporre un Conte ter, ovviamente senza passaggio elettorale che per l’uomo di Rignano sarebbe la disfatta. Il tema lavoro si riproporrà in termini esplosivi quando finirà il blocco dei licenziamenti il 31 marzo, peraltro già bucherellato da precedenti normative. Lo riconosce lo stesso Conte quando afferma che sulle politiche del lavoro bisogna fare di più e che non si può affrontare l’anno entrante con la legislazione vigente e gli stessi ammortizzatori sociali. Ma i buoni propositi, obbligati a fronte di un’evidenza così clamorosa, non fanno una politica. Per questo la partita del come utilizzare i fondi europei non si gioca a tavolino, indipendentemente dal numero di coloro che vi sono assisi. Senza un conflitto sociale articolato mosso da una proposta alternativa di sviluppo - dalla conversione energetica (ove il tema dell’idrogeno verde è strategico) alla rinascita del Sud, passando per il lavoro e l’universalizzazione del welfare e del reddito di cittadinanza - quella partita è persa. Intervenire sull’emergenza è inevitabile. Non si può dire a chi soffre: aspettate il piano generale. Ma restare prigionieri dell’emergenzialismo significa consegnarsi a un triste declino. Ed è questo il vero limite originario di questo governo, sorto per evitare soluzioni peggiori, ma incapace di trovare il filo di una politica degna di questo nome.

 

DONARSI



“Era talmente magra che sembrava un bastone.
Lo divenne, realmente, quando ne feci poi quello
della mia vecchiaia”.
Nicolino Longo

NON SIAMO INVISIBILI



Covid19, dimenticati i professionisti del turismo.  
 
Siamo professionisti del turismo: guide e accompagnatori turistici. La nostra categoria è senz’altro tra le più colpite dalle conseguenze dell’emergenza pandemica in corso: nel 2020 abbiamo subito un azzeramento pressoché totale del lavoro e del reddito. Grazie all’assiduo e costante operato delle varie sigle rappresentative della categoria, avevamo ottenuto già a maggio un primo stanziamento pari a 20.000.000 di euro nel Dl. Rilancio e un successivo stanziamento di ulteriori 20.000.000 di euro nel Dl. agosto, fondi assegnati al MiBACT. Tuttavia abbiamo dovuto attendere il mese di ottobre per la firma da parte del Ministro Dario Franceschini, del DM 440/2020. Solo a fine mese si è giunti alla pubblicazione sul sito del MiBACT del relativo avviso che determinava nel dettaglio le modalità di accesso ai fondi: istituzione piattaforma Invitalia, necessaria la preregistrazione con e-mail e password personale, requisiti come indicati dal DM 440/2020, periodo dal 19 novembre al 3 dicembre alle ore 14 per la compilazione e l’inoltro delle domande. Fin da subito si sono riscontrate problematiche di accesso alla piattaforma: decine le segnalazioni di malfunzionamento, problemi di accesso, incompatibilità browser, messaggi di errore, pagine vuote, piattaforma in tilt. Sono altresì alcune centinaia le guide e accompagnatori turistici rimasti bloccati nell’inserimento della propria istanza, il messaggio di errore apparso a video recitava: “partita iva e codice fiscale non sono riconducibili al medesimo soggetto”, un messaggio incomprensibile che lasciava interdetto il richiedente. La seconda parte del messaggio di errore invitava alla verifica del proprio “cassetto fiscale” sul sito dell’Agenzia delle Entrate. Siamo stati “rimbalzati” tra messaggi automatici della piattaforma e un call center che spesso si limitava a consigliare l’invio di una email all'indirizzo indicato sulla piattaforma (sconsigliate le comunicazioni a mezzo pec, di cui non era garantita la risposta!); le risposte dal contenuto precostituito erano del tutto inadeguate e inutili alla risoluzione del problema.
Siamo così giunti al 3 dicembre, data di chiusura della piattaforma, inermi e impotenti non siamo riusciti ad inoltrare la nostra istanza, pur avendo tutti i requisiti in regola. Ci è stato così negato la possibilità di inoltrare e dunque far esaminare le nostre posizioni, di aventi diritto, in qualità di guide e accompagnatori turistici in possesso di regolare partita iva, titolo di abilitazione alla professione, regolarità contributiva, che svolgono questa attività come prevalente da anni. La nostra dichiarazione dei redditi parla chiaro: abbiamo pagato tasse e contributi in maniera puntuale.
Rivolgiamo un accorato appello alle istituzioni preposte, al MiBACT in particolare, affinché le nostre istanze vengano esaminate al pari di quelle dei colleghi che risultano nell’elenco degli ammessi al contributo a fondo perduto.
Quei fondi rappresentano per ciascuno di noi la sopravvivenza della propria attività, dopo un anno intero di mancato lavoro, visto il perdurare dello stato emergenziale e le incertezze sui tempi della ripartenza. Chiediamo un incontro urgente presso il MiBACT per una pronta risoluzione.
Guide e Accompagnatori Turistici
Esclusi dal Contributo MiBACT
ricorsomibactguideacc@gmail.com

VUOTO


“Molti il cervello ce l’hanno come ornamento”.
Jana Giupponi

IGNORANZA DI RITORNO



“Di veri uomini di lettere
stanno rimanendo solo i postini”.
Teodosio De Bonis

 

SCELTE


“C’è chi scrive per fama e chi per fame
senza essere sfamato…”.
Laura Margherita Volante

mercoledì 30 dicembre 2020

LA FORMA IMMOBILE
di Angelo Gaccione
 


Appunti per contro appunti 
 
È possibile che la degenerazione parlamentare e il deterioramento del rapporto eletto-elettore siano dovuti all’immutabilità della forma stessa rimasta uguale dal dopoguerra in poi? Ci penso e ripenso e mi inquieta questo interrogativo premonitore di Proust in Sodoma e Gomorra: “Una società non potrebbe essere forse tanto più segretamente gerarchizzata man mano che diventasse di fatto più democratica?”.
Nell’Europa Orientale e in altre parti del mondo, i regimi autoritari e dittatoriali sono rimasti impermeabili al cambiamento per buona parte del Novecento, fino a quando non sono avvenute rotture drammatiche (guerre civili o insurrezioni che hanno rovesciato governi e regimi); oppure transizioni morbide come per l’ex Unione Sovietica e la Germania dell’Est. Divenuti “democratici”, alcuni di questi regimi della democrazia hanno fatto una caricatura. Dove invece i sistemi democratici di tipo parlamentare hanno avuto più tempo per consolidarsi, come il nostro, ad esempio, i meccanismi della delega attraverso il voto, hanno lentamente apportato uno svuotamento della rappresentanza, tanto che possiamo affermare senza tema di essere contraddetti, che oramai il diritto di voto è diventato un voto senza diritti. Su tutte le grandi questioni, quelle che contano davvero, i cittadini elettori non hanno alcuna influenza e la loro volontà è del tutto marginale. Il recarsi alle urne è divenuto un atto rituale ed esornativo: uno specchietto per le allodole. La prova più evidente l’abbiamo avuta con il referendum sull’uso pubblico dell’acqua: nulla è cambiato, ed è come se quel referendum non si fosse neppure svolto.
Diversi oppositori di questo degenere di democrazie, guardano ad un passato orrorifico e non gli è bastato vedere i risultati dei vari Stati socialisti, la cui politica è stata battezzata, chissà perché: socialismo reale”. Come se esistesse un socialismo irreale! A loro volta, altri oppositori, ci propongono come una stupida coazione a ripetere, un altrettanto Stato onnipotente la cui barbarie nera e mortifera le Resistenze europee hanno ricacciato nella fogna della storia. Nel complesso sono “democrazie” o Stati tutti super-armati e pronti alla guerra. Il Costa Rica resta l’unica eccezione a tale riguardo, avendo rinunciato ad ogni forma di esercito e di militarismo, ma è a sua volta una Repubblica presidenziale, dove il gioco parlamentare ed il peso del voto non differiscono dal resto delle altre democrazie formali.
Questa questione dello Stato (parlamentare o meno) non è di poco conto; è ciò che legittima e garantisce con la forza ogni forma di diseguaglianza e fa scrivere alla mia amica poetessa Gabriella Galzio, dopo aver letto su “Odissea” che l’1% possiede il 43% della ricchezza globale, il 10% ne detiene l’81%, e il 50% più povero ha solo l’1%, una frase come questa: “La cosa disperante è che essere a conoscenza di questa diseguaglianza non si traduce in azione politica, in un insurrezionale atto di decapitazione di quell’1%!”.
Come evitare la definitiva deriva del parlamentarismo senza precipitare dalla padella nella brace dei regimi autoritari, e fare in modo che i cittadini-elettori diventino realmente gli attori del loro destino e delle loro esigenze più autentiche? Mi piacerebbe che sulle pagine di questo giornale si aprisse un confronto a più voci e senza pregiudizi.
Sappiamo di alcune buone pratiche autogestionarie diffuse in ristretti ambiti sociali da organizzazioni non governative; conosciamo alcuni buoni princìpi federativi riscontrabili nel pensiero libertario genericamente inteso e in quello del Cattaneo, ma non se ne odono echi nel dibattito pubblico. Nei Parlamenti e nelle altre istanze istituzionali, non c’è traccia di rappresentanze dirette della complessa società civile, dei custodi dei beni comuni, degli interessi generali. In compenso vi si muovono a loro agio, Parlamento Europeo compreso, agguerrite lobbies e gruppi di pressione per la tutela di interessi privatissimi. Attraverso la delega, le élites politiche e i governi accentrano il potere e delle loro scelte rendono sempre meno conto alla volontà generale. La volontà generale, a sua volta, completamente emarginata, non può far sentire né il suo peso, né la sua volontà. Ininfluente sulla decisione dell’acquisto dei cacciabombardieri, ininfluente sulla scelta di una reale politica di disarmo, ininfluente su una vera tutela climatica… Insomma, la volontà generale è del tutto coartata e vanificata da una forma immobile di democrazia parlamentare,
rimasta pressoché uguale nella parte occidentale dell’Europa, e che per l’avvenire non pare promettere nulla di buono.

UNA TESTIMONIANZA 
Un ricordo di Marco Vitale per Giorgio Galli

 

Caro Gaccione,
Ti ringrazio molto di aver ricordato Giorgio Galli su Odissea. Hai detto molto bene: “ci lascia una marea di ottimi libri, e il ricordo della sua mite gentilezza e disponibilità”; aggiungerei: ci lascia alcuni libri strepitosi che non passeranno; l’esempio di un impegno civico generoso, attento e sempre onesto; una inesauribile curiosità; un linguaggio limpido, semplice, chiaro, come è proprio degli uomini liberi.
E Giorgio Galli era soprattutto un uomo libero. L’ho conosciuto prevalentemente nella sua veste di uomo civico e gli incontri con lui sono sempre stati per me preziosi e arricchenti. La sua scomparsa lascia un vuoto doloroso. Giorno dopo giorno la città si impoverisce. E le nuove leve, se ci sono, non sono facilmente individuabili. Cerchiamole, invitandole a cogliere l’eredità di persone come Giorgio Galli, non solo come bravissimo politologo ma come uomo e cittadino esemplare, sperando che qualcuno la raccolga e porti avanti.
Grazie e cari saluti.
Marco Vitale

DUBBI
Una lettera di Gabriella Galzio
 


Ho letto volentieri gli articoli su Giorgio Galli, specie quello di Riolo, e per esempio quanto sarebbe attuale oggi la evidenziazione di Galli dell'assistenzialismo riservato dallo Stato al capitalismo italiano, proprio quando oggi il mainstream depreca il presunto Sussidistan! Chissà se Galli si è in qualche modo espresso sul fenomeno M5S, lui che si avvaleva di categorie sociologiche per interpretare la politica; dissento ad esempio dalla tesi di Astengo che il M5S avrebbe portato il trasformismo a livelli “lirici”, perché a mio modesto avviso non di trasformismo si tratta, ma di pragmatismo, e questo sì è stato esasperato alla cieca, poiché un programma per obiettivi che non sia emanazione di una vera strategia, risulta alla lunga fallimentare. Ma ad Astengo (ma forse più in generale a Odissea) sembra sfuggire una linea di continuità del M5S con il radicalismo internazionale (non solo col primo movimento radicale italiano) e con le aspirazioni libertarie di una democrazia partecipativa dal basso; sfugge ad es. perché il movimento della decrescita (vedi Latouche) abbia appoggiato il M5S, così come sfugge il primato del diritto ad essere protagonisti in prima persona della politica sulla pur auspicabile competenza; e sfugge anche quanto (per la gran parte) il M5S abbia cercato di non lasciarsi coinvolgere dalle lobbies che invece finanziano e orientano i partiti tradizionali. Ecco, chissà se Galli si è espresso su quello che a mio avviso è (stato) un fenomeno sociologico prima ancora che politico. Se così fosse, lo leggerei con grande interesse, come una voce fuori dal coro. Un caro abbraccio
Gabriella Galzio
   

martedì 29 dicembre 2020

IL BIPARTITISMO IMPERFETTO 
di Franco Astengo

 
La dolorosa evenienza della scomparsa di Giorgio Galli ha portato analisti e politologi a riscoprire la sua fortunata formula del “bipartitismo imperfetto”: titolo di un saggio uscito per il Mulino nel 1966 e poi ripreso in un capitolo della sua monumentale opera “I Partiti Politici” uscita per la UTET nel 1974.
È il caso allora di riprendere il tema utilizzando alcune delle affermazioni di Galli, cercando poi di avanzare anche alcune ipotesi analitiche riguardanti le complesse vicende della sinistra italiana al tempo del sistema dei partiti.
Un’occasione importante anche perché si sta avviando la discussione sui 100 anni dal congresso di Livorno che segnò la nascita del Pcd’I.
Una discussione di grande interesse soprattutto per chi pensa necessario costruire in Italia una nuova sinistra collegata però idealmente ai grandi filoni “storici”. Un avvio originale di discussione alla quale, con altre compagne e compagni, abbiamo affidato il titolo di “Dialogo Gramsci- Matteotti”.
Dunque il “Bipartitismo imperfetto” di Giorgio Galli.
Si trattava evidentemente di una formula sintetica, il cui scopo era di esprimere il fatto che, nel sistema politico italiano, tutti i partiti fossero eguali ma due, la DC e il PCI, fossero (parafrasando Orwell) “più eguali degli altri” (di qui “bipartitismo”). Questi due partiti però non si sono mai alternati al governo, né questa dell’alternanza è mai stata una potenzialità; anzi, il governo è stato permanente prerogativa di uno di essi - la DC - mentre il PCI è risultato permanentemente all’opposizione, salvo il breve periodo della solidarietà nazionale nel periodo buio del terrorismo e del rapimento Moro, allorquando il PCI sostenne (prima con l’astensione, poi con il voto favorevole) un governo monocolore DC.



Questo è stato il dato costante da cui è derivata la definizione di Galli: dato perpetuato per tutto il periodo contrassegnato dall’egemonia dei partiti di massa e dall’utilizzo del sistema elettorale proporzionale.
Assenza di alternanza e/o di consociazione al governo mantenuta comunque nonostante che il PCI avesse sempre perseguito la linea dell’accordo con la DC (anche nel periodo più duro della guerra fredda) formalizzando anche nella fase iniziale della segreteria Berlinguer, una proposta definita (mi pare per primo da Gerardo Chiaromonte) di “compromesso storico”.
Egemonia dei partiti di massa e utilizzo del sistema elettorale proporzionale intesi come tratti distintivi fondamentali di quella che - erroneamente - con sciatteria giornalistica è stata definita “Prima Repubblica”.
In verità l’assenza di una opposizione che potesse costituire un’alternativa di governo ha rappresentato una caratteristica costante del nostro sistema politico, che aveva assunto aspetti particolari dopo il 1945 ma che poteva essere fatto risalire già al Parlamento Subalpino e al connubio Cavour / Rattazzi (febbraio 1852).



L’alternanza è stata patrimonio nel sistema politico italiano soltanto per il breve periodo del tentativo di “bipolarismo temperato” tra il 1996 e il 2006: un decennio caratterizzato da diversi governi tra centro destra e centro sinistra, nel corso del quale il centro sinistra dimostrò di non essere in grado di realizzare un soggetto all’altezza del risultare pienamente competitivo in una competizione - appunto - bipolare.
Il centro sinistra (ad egemonia ex -PCI e a guida ex-DC) si limitò a formare alleanze spurie utilizzando il tradizionale trasformismo consociativista (gli “straccioni di Valmy”) e concludendo il decennio con l’idea della “vocazione maggioritaria” avanzata dal PD in un tentativo di forzatura bipartitica.
Idea della “vocazione maggioritaria” clamorosamente fallita (e mai più recuperata) con l’esito elettorale del 2008. Da allora abbiamo avuto (e avremo) governi tecnici, finte “solidarietà nazionali”, governi sostenuti da “responsabili” (cos’era altro il Nuovo Centro Destra di Alfano?), clamorosi trasformismi come quello in atto nella legislatura presente.
Sarebbe risultato illusorio il 40% delle europee 2014 ottenuto dal cosiddetto PD (R): in realtà si trattava di un 22% stante l’altissima defezione nella partecipazione al voto; l’alternativa, nemmeno in quel momento, non è mai stata oggetto di realtà nel nostro sistema politico.
Un sistema politico che, nel suo frazionamento storico e nella sua insita vocazione trasformistica, ha sempre avuto bisogno di un partito “pivotale” capace di appoggiarsi sia a destra, sia a sinistra (formando coalizioni però, mai in alternativa tra loro stesse come è stato capace di fare il M5S, movimento che ha portato il trasformismo a livelli quasi “lirici”).
Torniamo però al “bipartitismo imperfetto” come analizzato da Giorgio Galli a cavallo degli anni’70 e limitiamoci alla storia del sistema politico italiano senza più invadere l’attualità.
Studi e ricerche tendono a convergere nella valutazione secondo la quale il grado di insediamento sociale (sezioni, circoli, giornali, presenza in associazioni della società civile, dai sindacati alle cooperative, alle sedi culturali) del PCI e della DC fu notevolmente superiore, per ciascuno di essi, a quello di tutti gli altri partiti messi assieme.
Per capire ciò che davvero rappresentò il “bipartitismo imperfetto” occorre uscire dalla ricostruzione fondata soltanto sugli atti dei gruppi dirigenti, ma cercando di tener conto dell’organizzazione, della presenza sociale e dei comportamenti collettivi: per la DC e il PCI quel contesto di cultura politica si era istituzionalizzato, come per gli altri partiti non era mai avvenuto.
L’imperfezione insita in quel processo di istituzionalizzazione impedì la formazione di governi stabili retti nel lungo periodo da un forte blocco di centro, suddiviso in modo da alternarsi stando dentro proprio al già richiamato schema di lungo periodo.



Questo fatto portò all’esercizio costante di quella che Nenni definì “politique d’abord” e a una difficoltà strutturale nella possibilità di incidenza delle riforme. Riforme che sarebbe stato necessario operare per far uscire il sistema dal fallimento nel realizzare una sintesi efficace tra le aspirazioni popolari (per buona parte rimaste all’opposizione) e gli interessi borghesi (prevalenti soprattutto nella caotica fase del “boom” economico e dello spostamento verso sinistra del centro di gravità dell’asse di governo).
Le riforme che si realizzarono (scuola media unica, nazionalizzazione dell’energia elettrica, statuto dei lavoratori, in seguito divorzio, aborto, diritto di famiglia, equo canone, tentativo di sfoltimento delle giungla burocratica, finanza locale, servizio sanitario nazionale) pur molto importanti rimasero comunque laterali rispetto a un disegno complessivo di programmazione dell’economia, di efficacia nell’intervento pubblico sui grandi nodi dell’industria, di determinazione di un diverso modello di sviluppo caratterizzato dal paternalismo padronale , dal clientelismo democristiano, dall’insufficienza nella competizione internazionale (arrestato, con le cattive, il tentativo di Mattei di autosufficienza energetica).
Il centro-sinistra rifluì rapidamente (con il “tintinnar di sciabole” che arrestarono soprattutto l’elaborazione programmatoria di Lombardi e Giolitti) nell’adeguamento socialista.
Adeguamento sostenuto più o meno sotterraneamente anche a sinistra attraverso il meccanismo della consociazione (sindacati compresi).



L’assenza d’alternativa non fu dovuta però soltanto alla collocazione internazionale del PCI: in una fase di fortissimo mutamento nella composizione sociale del Paese, tra Nord e Sud, in seguito al procedere della modernizzazione industriale, la sinistra nel suo complesso mancò l’appuntamento con una riflessione più complessiva che avrebbe potuto anche portare a soluzioni politiche maggiormente avanzate (senza dimenticare le proposte sorte all’interno dello stesso partito comunista di formazione di un solo grande partito del lavoro avanzate da Longo nel 1946 e da Amendola più o meno vent’anni dopo, nel periodo immediatamente seguente la morte di Togliatti).
La fase fu, invece, contrassegnata dal permanere della posizione “pivotale” da parte della Democrazia Cristiana, dal progressivo adeguamento alle logiche di governo da parte del Partito Socialista fino all’assunzione della “logica” della governabilità nella fase della segreteria Craxi, dalla tensione consociativista del PCI quale riflesso (modestamente inteso) della ricerca “togliattiana” sull’identità nazionale. La riflessione andrebbe aperta sull’assenza di un’alternativa alla democrazia bloccata e alla conventio ad excludendum (le componenti che appunto hanno fatto scrivere Galli di “bipartitismo imperfetto”).
Furono almeno 3 le visioni d’analisi emerse nel movimento socialista e comunista e mai raccolte all’interno di un progetto politico che pure poteva anche risultare possibile elaborare.


Uno dei volumi scritto
da Galli e Comero

1) La critica iniziale portata avanti da Basso fin dalla natura del CLN e quindi rispetto all’origine stessa della Resistenza, della Costituzione, della Repubblica. L’interrogativo posto da Basso all’origine del CLN riguardava, rispetto al ruolo dello PSIUP, l’opportunità di stringere quel tanto di alleanza che nasceva dalle comuni finalità, mantenendo però la propria autonomia non soltanto organizzativa di partito, ma di autonomia politica di classe, ponendo risolutamente sul tappeto le istanze delle riforme di struttura.
2) La critica avanzata da Panzieri. Attraverso l’elaborazione sviluppata su Quaderni Rossi, Panzieri riscoprì alcuni testi di Marx fino a quel punto largamente ignorati come la IV sezione del I libro
del Capitale, il “frammento sulle macchine” dei Grundrisse, il Capitolo VI del Capitale (inedito), facendo emergere nel dibattito i concetti di sussunzione formale e di sottomissione reale del lavoro al capitale per indagare i processi di trasformazione economico-sociale e per analizzare l’organizzazione taylorista e fordista del lavoro. Su quelle basi teoriche Panzieri elaborò i concetti di “operaio massa” e di “composizione di classe”.
Panzieri indicava la strada dell’alternativa in lotte di fabbrica che presentassero la richiesta di un controllo operaio sulla produzione (come produrre, per chi produrre). L’avanzamento di questa domanda “tutta politica”, di presa di potere “nella e sulla fabbrica”, fu disconosciuta dalle organizzazioni ufficiali del movimento operaio, tutte intente - in quella
fase - a muoversi sulla linea delle politiche keynesiane indirizzate alla sfera dei bisogni e dei consumi (era il momento del cosiddetto “miracolo italiano”).
Le lotte di fabbrica di quel periodo spiazzarono, però, l’analisi marxista ufficiale incentrata sulla arretratezza del capitalismo italiano, sulla necessità della ricostruzione nazionale e sull’esaltazione della capacità produttiva del lavoro.
L’analisi di Panzieri incontrò il limite del non incrociarsi con la possibilità di realizzare, in quella fase, una adeguata rappresentanza politica.
3) La posizione emersa nella sinistra comunista in particolare nell’occasione del convegno organizzato nel 1962 dall’Istituto Gramsci sulle “Tendenze del Capitalismo italiano”. In quel convegno la futura “sinistra comunista” che avrebbe fatto capo a Ingrao (assente nell’occasione) e rappresentata dagli interventi di Trentin e Magri fu capace di sottolineare le novità qualitative che stavano emergendo nel capitalismo italiano. Dal subbuglio del neocapitalismo arrivavano al dunque problemi e bisogni che andavano oltre la semplice redistribuzione del reddito e/o la modernizzazione del sistema (come pensava Amendola). Si trattava di far prendere forma all’insieme dei rapporti politici e sociali in mutamento nel corso di quegli anni aprendo due filoni principali di riflessione:

Uno dei volumi scritto
da Galli e Comero

a) quello con la classe operaia nell’ambito di una relazione che non fosse soltanto quella sindacale, ma quello di una lotta operaia urbana ad alta densità politica. L’industrializzazione doveva accompagnarsi con la modernizzazione. Su questo punto il collegamento con Panzieri che chiosando i Grundrisse ne aveva ripreso un concetto fondamentale: “Verrà il momento che lo sfruttamento materiale sarà ben misera cosa per misurare la ricchezza, perché emergeranno nuovi bisogni e criteri per misurare il progresso e la ricchezza”;
b) quello di una battaglia, della quale si erano già visti elementi concreti nei fatti del Luglio ’60 nel corso dei quali i giovani erano stati l’anima dell’antifascismo, che indicasse come la lotta contro il fascismo non fosse finita con l’obiettivo di sradicare quanto ancora ci fosse di fascismo nelle istituzioni e nella società. In entrambi i punti emergevano con chiarezza gli elementi di collegamento nel pensiero tra questi soggetti e protagonisti politici. Quanto potesse essere possibile costruire un’alternativa alla dimensione dominante dei partiti protagonisti del “bipartitismo imperfetto” rimane un interrogativo la cui risoluzione è ormai circoscritta al segno della storia. L’elemento dell'impostazione della lotta di classe dentro la modernizzazione capitalistica nel senso della costruzione dell'alternativa avrebbe dovuto costituire l’essenza dell’opposizione socialista al centro- sinistra che invece assunse la forma politicista dello PSIUP.
Forse lo PSIUP avrebbe potuto rappresentare un punto di coagulo intellettualmente all’altezza se all’interno di quel partito fosse stato possibile misurarsi con i temi della classe e del rapporto tra essa e la modernizzazione industriale in Occidente e le tendenze che essa avrebbe suscitato nel movimento operaio. Lo PSIUP, di cui Basso era stato tra i promotori mentre Panzieri morì nel dicembre 1964 quando il partito era sorto da pochi mesi, si rivelò insufficiente per eccesso di politicismo e di legame con lo schema bipolare (tema che non si è affrontato in questa sede e che rimane comunque fattore decisivamente insuperabile in quell’epoca se pensiamo a ciò che si verificò, pochi anni dopo, con l’invasione della Cecoslovacchia).
Si sarebbe dovuta rinvenire la capacità di uscire dall’egemonia dello schema togliattiano di lettura di Gramsci del “Risorgimento incompiuto” e dell’identità nazionale della classe operaia.



I due punti che Togliatti mutuò da Gramsci attraverso la pubblicazione ragionata” dei Quaderni e che rimangono comunque le stimmate di identità peculiare del comunismo italiano anche rispetto al materialismo dialettico sovietico. Un’identità consolidata ed egemone che poteva essere affrontata attraverso la rilettura, assieme ai nuovi classici della sociologia americana dell’epoca e dei teorici della Scuola di Francoforte anche dalla lettura di un altro Gramsci: quello di “Americanismo e fordismo”.
Rimane il “forse” che per quella strada si sarebbe potuti uscire dallo schema del “bipartitismo imperfetto”.
Dei “se” e dei “ma” però sono piene le fosse e in questo caso ne ho compiuto un utilizzo colpevolmente abusivo. Vale la pena, comunque, di continuare a scavare in quel periodo senza soffermarsi troppo, come mi è già capitato di affermare in altra occasione, sul gusto amaro delle occasioni perdute.
 

GALLI: LA STORIA E LA POLITICA
di Giorgio Riolo

Giorgio Galli

Giorgio Galli e la passione per la storia e per la politica.
Una doverosa nota di commiato.
 
I necrologi non sono solo tristi occasioni. Beninteso, sono tristi sicuramente e chi rimane è preso dallo sconforto per le continue perdite di punti di riferimento, di notevoli e preziose persone, amiche e compagne di percorso. È nondimeno anche l’occasione per riandare con la memoria e per riattualizzare e valorizzare momenti, fatti, acquisizioni nella vita personale e nella vita collettiva. Importanti, vive, proiettate in avanti.
Giorgio Galli è stata figura importante nella cultura e nella politica dell’Italia del secondo dopoguerra. Abbiamo messo “passione per la storia e per la politica” perché, conoscendolo, si offriva a chi veniva in contatto con lui la sensazione che le cose di cui scriveva e parlava non erano aride materie di studio e di ricerca. Rigoroso e dotato di una memoria formidabile, filologica, esibiva una curiosità e un’attenzione al reale e alle vicende anche trascurabili come pochi altri e altre.
La storia dello “alto” e la storia del “basso”, la politica “alta” e la politica “molecolare” di chi si impegna quotidianamente, nella società civile e nelle formazioni politiche, non importa, erano presenti e operanti nella sua attività di storico e di notista politico. Un professore di storia delle dottrine politiche alla Statale di Milano che si occupava dei partiti politici, delle formazioni politiche nella storia e nelle istituzioni e che tuttavia aveva la curiosità per ricostruire la storia delle culture alternative (comprese le subculture) e dei gruppi sociali “antisistema”, anche perché semplicemente “fuori dal sistema”, eretici ed eretiche, i vinti. Dalle streghe alla cosiddetta New Age degli anni Ottanta, alle culture esoteriche, a “sinistra” e a “destra” (famosi i suoi lavori sulle credenze magiche, esoteriche, del nazismo).

Daniele Comero 
al Salotto Bonomo
presenta una analisi sui flussi
elettorali elaborata con Galli 
 
I.
Ci conoscemmo alla fine degli anni Settanta proprio in un luogo “alternativo”, i primi inizi in Italia dell’alimentazione sana e della medicina alternativa. Galli, ormai affermato come storico e come fine notista politico, conosciuto autore di numerosi libri e attraverso soprattutto la sua famosa rubrica nel settimanale Panorama, ci accoglieva, a casa sua o fuori, per colloqui informali di scambio reciproco. Ci sorprendeva, noi allora giovani della Nuova Sinistra, per conoscenza minuziosa, analitica, delle vicende delle numerose, anche minuscole, roba da microstoria, formazioni di detta sinistra.
Questi colloqui privati arricchivano quello che aveva riversato nei suoi libri sulla storia dell’Italia del dopoguerra, sulla storia dei partiti, del Pci, della Dc, del socialismo italiano. Sulla storia dei governi e del ricco e multiforme, corrotto e corruttore, sottogoverno, tipicamente italiano. Tipicamente democristiano, ma non solo. Delle trame occulte, dell’ampia e capillare corruzione, dei poteri eversivi della democrazia italiana, degli “affari di Stato”, del capitalismo italiano continuamente “assistito” dallo Stato, dell’intreccio mafia e politica ecc.
Le sinistre storiche non ne uscivano bene da quella rassegna così precisa e documentata. Con partecipazione critica, tuttavia, non da spirito del dilagante “disincanto”. Con animo sgombro e lucido. E, per non sembrare o essere faziosi, lucidamente ne usciva il generoso ma inane volontarismo e il velleitarismo di molta di quella sinistra allora detta extraparlamentare. Insomma, si imparava molto a contatto con una simile personalità.
La generosità intellettuale e politica di Galli si manifestava ulteriormente nella sua continua disponibilità. Negli anni Ottanta, dapprima con il Cipec, il centro culturale di Democrazia Proletaria, e in seguito, anni Novanta e anni Duemila, con il Punto Rosso, egli rispondeva sempre affermativamente a ogni nostro invito a partecipare a convegni, conferenze e dibattiti, anche in piccoli centri, non solo a Milano.
In particolare, a proposito del suo rigore etico, occorre ricordare che quando Berlusconi mise le mani sul complesso delle attività editoriali del gruppo Mondadori, Galli fu tra i primi, se non il primo, a rassegnare le dimissioni da Panorama. Privandosi di una tribuna giornalistica e politica così importante e influente come la sua famosa rubrica posta alla fine di ogni numero del settimanale.
Fino alla sua improvvisa morte ha continuato a ripubblicare i suoi libri, rivisti e aggiornati, alla luce di nuovi sviluppi nella storia reale e di nuove acquisizioni dello stesso autore. Ma aveva ancora in cantiere altre ricerche e altri libri.

G. Bonomo animatore
del Centro Culturale Candide
e del Salotto Bonomo dove
Galli fu più volte ospite

II.
A mo’ di conclusione e come congedo da una simile personalità. La storia come disciplina e la politica come disciplina, sapere e arte del possibile, e come azione quotidiana (un tempo si diceva “prassi”) sono così inestricabilmente intrecciate che si sente il bisogno di ricordare a ogni pie’ sospinto che è nefasta la divaricazione, soprattutto dal lato dei gruppi dirigenti politici. In generale e nelle varie sinistre in particolare.
La sobria constatazione è, nel mondo nostro contemporaneo, che cultura e conoscenza storica difettano in molti gruppi dirigenti. Da qui i molti problemi attuali nella teoria e nella pratica della buona politica.

 

PER GALLI


Caro Direttore,
la morte di Giorgio Galli, considerato una stella di prima grandezza nello  studio della scienza politica italiana, è passata quasi inosservata sui media*.
Mi rammarico non fosse altro per la bussola che ci ha donato per comprendere la storia politica italiana dal secondo dopoguerra ai nostri giorni. Il saggio Il bipartitismo imperfetto. Comunisti e democristiani in Italia, (Il Mulino nel 1966), in cui descrisse il sistema politico repubblicano come un dualismo tra DC e PCI senza che vi fosse una alternativa, lo rivelarono al grosso pubblico. Agli studiosi era già noto.
Suoi, oltre al “bipartitismo imperfetto”, i “capitalismo assistenziale” e “sistema bloccato”. Per gli sportivi o le divette, ore di palinsesti. Per Dio, anche un Giorgio Galli, che ci ha fatto alzare un po’ della nebbia del conformismo unico, meriterebbe ben altra considerazione. I nostri politici avranno letto qualcosa del Professore?
Sic transit gloria mundi
!
Teodosio De Bonis 
[*A parte le televisioni, i quotidiani hanno dato ampio spazio alla sua scomparsa]

lunedì 28 dicembre 2020

GIORGIO GALLI
di Daniele Vittorio Comero

Giorgio Galli al Salotto Bonomo
 
Una vita spesa a capire la politica
 
Giorgio Galli è stato il più intelligente osservatore della vita politica italiana per alcuni decenni, prima con la sua rubrica su Panorama, poi con libri e interviste, con interventi coerenti e precisi. Non si è mai fatto fuorviare da condizionamenti ideologici e ha sempre affidato l’elaborazione del suo pensiero e la produzione dei suoi scritti a una accurata documentazione e ad analisi disincantate che vengono puntualmente confermate dai fatti. In Affari di Stato del 1991 aveva dipinto un affresco drammatico della corruzione, dei misteri e degli scandali che hanno costituito la “storia sotterranea” dei partiti politici e della società. In ultimo con Storia d’Italia tra imprevisto e previsioni, Mimesis ha svolto un bilancio. Nel Il Golpe invisibile - Kaos Edizioni, 2015 - spiega la degenerazione italiana, riassunta nel passaggio di potere dalla classe imprenditoriale alla borghesia finanziario-speculativa. Questi ceti burocratici parassitari, secondo Giorgio, hanno avviato un processo che può vanificare lo stato di diritto. Infatti, oggi stiamo assistendo a questo diluvio di decreti e dpcm, che dobbiamo consultare per uscire di casa.
 

Daniele V. Comero
al Salotto Bonomo

Quella di Giorgio Galli è una vita vissuta intensamente fino all’ultimo giorno, senza mai mollare, sempre attivo su progetti nuovi, idee di studio per il miglioramento della società, con eleganza e sobrietà. Giorgio Galli è un esempio per tutti, di tenacia e forza di spirito. A chi si meravigliava di tanta energia aveva risposto così: “L’energia mi deriva da una vita fortunata, nel contesto di un’Italia (anni Cinquanta e Sessanta) che dopo i traumi del fascismo, della sconfitta e della guerra civile valorizzava la volontà di ripresa e la meritocrazia (della quale oggi si parla a sproposito). Le scienze sociali mi hanno aiutato nel processo di formazione. Avevo vissuto a Milano, da ragazzo, il terribile inverno 1944 e sembrava impossibile che pochi anni dopo si sarebbe parlato di “miracolo italiano” per il dinamismo economico. Così come, ne parlo nei miei libri, nel 1858 era imprevedibile l’unità italiana nel giro di un triennio. Dalle scienze sociali ho imparato le possibilità previsionali, ma anche il tener conto dell’imprevisto, di fattori ipotizzabili, ma imponderabili. Non il caso e non la necessità, ma probabilità, maggiori o minori. Per l’Italia: o il rassegnato impoverimento (più probabile), oppure la percezione dell’impoverimento (la Fiat in Usa, la Pirelli ai cinesi)....

 
Profetico, i fatti gli hanno dato ancora una volta ragione. Socialista di formazione culturale, aveva iniziato a lavorare all’ENI di Mattei, quando raccoglieva i più brillanti laureati per la sua squadra. Laureato in giurisprudenza si era subito dedicato allo studio della politica favorito da quell’incarico. Scrive un libro sulla storia del Pci, poi sulla sinistra democristiana, allora fucina dei “migliori” della Dc. La battaglia politica è sempre stata misurata con i voti, per cui si è interessato alle elezioni e a tutti i meccanismi connessi. Nei primi anni Sessanta un colpo di fortuna lo porta a Bologna e a dirigere il Mulino e l’Istituto Cattaneo, che aveva avuto una donazione cospicua per svolgere una innovativa ricerca sul comportamento elettorale in Italia. Un progetto complesso e ambizioso, guidato anche da Giovanni Sartori, che ha fatto da fucina ad una scuola bolognese che ha poi gestito, con Andreatta, Prodi e Parisi, un pezzo della futura politica italiana. La ricerca è stata pubblicata in numerosi volumi, con l’utilizzo per la prima volta di tecniche di analisi statistiche avanzate favorite dall’impiego di calcolatori. L’estratto della ricerca è stato pubblicato da Giorgio Galli per Il Mulino nel 1966 con il titolo “Il bipartitismo imperfetto”. Ebbe subito una risonanza incredibile per l’efficacia del titolo, che riassumeva in due parole la monumentale ricerca. Questa capacità di sintesi l’ha mantenuta sino alla fine, come testimoniano i suoi libri e gli interventi pubblicati sul sito www.istitutostudipolitici.it, esercitandola con maestria. Negli anni Settanta è rientrato a Milano, docente di Storia delle dottrine politiche all’Università Statale, assumendo anche per un anno la presidenza della Società Umanitaria.
Ci siamo incrociati a Napoli nel 1988 ad un convegno della SISE di studi elettorali, da lì è nata una collaborazione insolita durata oltre trent’anni, complementare tra uno storico e uno statistico, con quattro libri scritti insieme e numerosi convegni su temi di analisi politica ed elettorale. L’ultimo impegnativo progetto è la creazione dell’ISPIG, l’Istituto di studi politici diretto e presieduto da Giorgio, nel 2018. Voleva che qualcuno proseguisse le sue ricerche, che si superasse il conformismo accademico, che non tocca mai nulla di veramente importante del nostro sistema politico

 
Giorgio Galli (10 febbraio 1928 - 27 dicembre 2020)
Storico e saggista, già docente di Storia delle dottrine politiche presso l’Università degli Studi di Milano, è stato uno dei massimi politologi italiani. Già Presidente dell’Umanitaria (1978) e direttore del Mulino. Tra le sue opere: Hitler e il nazismo magico (Rizzoli 1989), Storia dei partiti politici europei (Rizzoli 1990), Partiti politici italiani (1943-2004) (Rizzoli 1991), Mezzo secolo di Dc (Baldini Castoldi Dalai 2004), Esoterismo e politica (Rubbettino 2010), L’impero antimoderno (Bietti 2013), Il golpe invisibile (Kaos 2015). Presidente dell'ISPIG -Istituto di Studi Politici dal 2018.
 

PER GIORGIO GALLI
di Angelo Gaccione

Giorgio Galli
al Salotto Bonomo

Coloro che amiamo e che abbiamo perduto
non sono più dov’erano, ma sono ovunque noi siamo
”.
Agostino d’Ippona
 
Ieri sera dal Tg3 Lombardia ho appreso della scomparsa del politologo Giorgio Galli. Hanno liquidato la notizia con appena due parole, mentre tocca sorbirci per giorni litanie e rievocazioni di mediocri attori, comici da quattro soldi, canzonettari, calciatori, subrettine di ogni tipo e quant’altro, di quello che viene chiamato star system e di cui io provo un infimo disprezzo.
Abbiamo chiesto a Daniele Comero, che di Galli è stato stretto collaboratore, di scrivere un degno ricordo per “Odissea”, ma intanto una nota voglio aggiungerla anch’io. Docente di Storia delle dottrine politiche alla Statale di Milano, in anni non facili, era uno dei docenti più disponibili e rispettati. Come lo storico Catalano, di cui fui amico. Con Galli sostenni diversi esami; non venne alla discussione della mia tesi di laurea e questo mi danneggiò, perché discutevo argomenti libertari e mi trovai di fronte uno stalinista come Geymonat, il noto filosofo della scienza. Praticamente la discussione, ma direi più la polemica, avvenne solo con Geymonat perché gli altri relatori si guardarono bene dall’ intervenire (molto probabilmente non conoscevano l’argomento e il correlatore, ho il sospetto, non avesse neppure dato un’occhiata al mio lavoro). Mi giocai così il 110 che mi aspettavo. La lode no, su quello non facevo conto: ero un lavoratore studente, avevo una moglie a carico e seguivo delle lezioni saltuariamente. In più mi ero scontrato con qualche docente e non ero figlio di borghesi in vista della città. In verità Geymonat non lo avevo mai incontrato, io i rapporti li avevo avuti col suo brillante allievo, Giulio Giorello, ma tant’è.


Giorgio Galli
al Salotto Bonono

Anni più tardi incontrai il prof. Galli alla libreria dell’amico Ermanno Tritto che entrambi frequentavamo, la “Tikkun” di via Montevideo qui a Milano, e gli ricordai di quei lontani anni. In seguito ci incontrammo in occasione di presentazioni di libri e conversazioni. Con Daniele Comero è venuto spesso al salotto Bonomo di via San Marco, a quello che per anni è stato il Centro Culturale Candide. Le foto che qui pubblichiamo lo ritraggono proprio al Salotto; in alcune di quelle scattate dai tanti amici fotografi che intervenivano ci sono anche io. Le ultime volte che l’ho incontrato parlava a fatica, e a fatica si muoveva. Se ne è andato ad una bella età, a 92 anni, ma in un momento triste per la sua Milano devastata dal Covid. Ci lascia una marea di ottimi libri, e il ricordo della sua mite gentilezza e disponibilità.