Democrazia, populismo e reti sociali di
Romano Rinaldi
Donald Trump
Perugia.A seguito delle elezioni presidenziali negli USA, abbiamo purtroppo dovuto
assistere al tentativo, fortunatamente fallito, da parte del presidente uscente
di sovvertire con la forza il risultato delle elezioni che non ha inteso
riconoscere come valide nonostante nessuna delle azioni legali (una ventina
almeno) che ha intentato abbiano dimostrato alcuna irregolarità come egli
continua a sostenere. La
convocazione (il 6 Gennaio 2021) di una folla di sostenitori davanti al simbolo
della democrazia parlamentare, il Campidoglio di Washington, e l’incitamento ad
invadere il Parlamento con l’interruzione della seduta di ratifica del
risultato elettorale e i conseguenti tumulti che hanno causato morti e feriti,
rappresentano un attentato all’ordinamento democratico al quale, quattro anni
fa, il presidente Trump ha solennemente giurato fedeltà davanti al popolo
americano nel medesimo luogo. Qualsiasi
contorsione dialettica non sarà mai in grado di negare o sminuire l’enormità di
questo fatto. In sostanza il presidente uscente, dopo quattro anni di guida
spericolata al volante della Nazione, ha affrontato l’ultima curva a tale
velocità da portare la Democrazia rappresentativa del suo Paese (prima
democrazia liberale) nel fosso della Storia. Questo
comportamento ha inflitto una gravissima ferita all’orgoglio di tutti gli
americani, di qualsiasi orientamento politico, soprattutto di quella stragrande
maggioranza che si riconosce nelle istituzioni degli Stati Uniti d’America e a
pieno diritto ne ostenta la bandiera. Non
sarà un caso che illustri rappresentanti del partito Repubblicano hanno ora
deciso di abbandonare la strada intrapresa dal loro capo, incluso l’ex
Governatore della California Arnold Schwarzenegger, il quale ha paragonato
l’assalto al Parlamento alla notte dei cristalli di nazista memoria. Con buona pace per i maldestri rivolgimenti lessicali dei trumpiani sparsi
per il mondo (Italia compresa), penso che il “trumpismo” verrà considerato
dalla Storia per quello che è. L'utilizzazione del populismo estremista,
adiuvato dai social media, per tentare di trasformare una democrazia liberale
in dittatura. Come ebbe a dire Winston Churchill, la democrazia è il peggior
tipo di ordinamento governativo, tranne che per tutti gli altri. Non credo che ci vorrà molto per il popolo americano, repubblicani e
democratici ma soprattutto per i primi, a risollevarsi dallo shock causato
dagli eventi del 6 Gennaio a Washington e riprendere da dove aveva lasciato nel
2008 un loro onesto senatore, John McCain, nel suo discorso di concessione
della vittoria al senatore Barack Obama, riconoscendo la vittoria del suo
avversario e tessendone le lodi per la sua bravura e per il simbolico
superamento di ataviche barriere razziali che la sua vittoria rappresentava,
incoraggiando i suoi sostenitori a vedere in lui il presidente di tutti gli
americani. A qualcuno potrà sembrare un secolo fa, ma si tratta solamente della
precedente presidenza americana. La rilettura di quel discorso alla luce degli avvenimenti di queste ore
negli Stati Uniti farebbe un gran bene a tutti i politici (di destra, di
sinistra) anche di casa nostra, che hanno ancora voglia di flirtare con il
populismo come grimaldello per impadronirsi del potere negli ordinamenti
democratici. Ritengo dunque che questo
plateale fallimento del populismo estremista debba servire a far prendere
coscienza, sia alla destra che alla sinistra dei paesi con ordinamenti
democratici, di quanto sia controproducente, soprattutto in questi tempi di
imperante pandemia da Covid-19, l’interpretazione della politica unicamente
come strumento di potere da raggiungere attraverso il più vasto e
incondizionato consenso del popolo, carpito con ogni lusinga (vera o falsa che
sia) e rincorrendo ed assecondando le pulsioni viscerali e le sensazioni del
momento di una parte dei cittadini anziché curarsi delle necessità di lungo
periodo di tutta la popolazione che, congiuntamente con le altre forze
politiche, si dovrebbe voler guidare verso un futuro migliore. Chiaramente, sulla più che tardiva presa di coscienza dei proprietari dei “social
media”, con l’interdizione all’ex presidente Trump, del danno che essi possono
causare col pretesto della libertà d'opinione alla democrazia ed alla
convivenza ordinata secondo le leggi, si dovrà aprire una approfondita
discussione accompagnata da un’analisi tecnico-sociologica nelle sedi
opportune. Ma almeno ora sarà possibile, senza che i medesimi proprietari né i
difensori ad oltranza della genuinità di questi mezzi, possano pretestuosamente
ergersi a paladini della libertà di espressione. In questo caso,
"opinione" ed "espressione" fanno solo una scadente rima
con "informazione". A questo proposito immagino che debbano essere
individuati o ideati di sana pianta dei mezzi informatici (algoritmi) che
consentano ai gestori delle reti sociali e ad opportuni enti di controllo (da
individuare) di effettuare verifiche sulla veridicità dei contenuti che ciascun
operatore diffonde a un gran numero di persone. È ovvio che la diffusione di
affermazioni false, soprattutto da parte di coloro che godono di un grande
ascendente su vasti strati della popolazione, può rendere tali affermazioni
credibili o addirittura verosimili e causare conseguenti comportamenti di
massa, come abbiamo purtroppo dovuto constatare.