Pagine

domenica 17 gennaio 2021

Democrazia, populismo e reti sociali 
di Romano Rinaldi
 

 
Donald Trump

Perugia. A seguito delle elezioni presidenziali negli USA, abbiamo purtroppo dovuto assistere al tentativo, fortunatamente fallito, da parte del presidente uscente di sovvertire con la forza il risultato delle elezioni che non ha inteso riconoscere come valide nonostante nessuna delle azioni legali (una ventina almeno) che ha intentato abbiano dimostrato alcuna irregolarità come egli continua a sostenere.
La convocazione (il 6 Gennaio 2021) di una folla di sostenitori davanti al simbolo della democrazia parlamentare, il Campidoglio di Washington, e l’incitamento ad invadere il Parlamento con l’interruzione della seduta di ratifica del risultato elettorale e i conseguenti tumulti che hanno causato morti e feriti, rappresentano un attentato all’ordinamento democratico al quale, quattro anni fa, il presidente Trump ha solennemente giurato fedeltà davanti al popolo americano nel medesimo luogo.
Qualsiasi contorsione dialettica non sarà mai in grado di negare o sminuire l’enormità di questo fatto. In sostanza il presidente uscente, dopo quattro anni di guida spericolata al volante della Nazione, ha affrontato l’ultima curva a tale velocità da portare la Democrazia rappresentativa del suo Paese (prima democrazia liberale) nel fosso della Storia.
Questo comportamento ha inflitto una gravissima ferita all’orgoglio di tutti gli americani, di qualsiasi orientamento politico, soprattutto di quella stragrande maggioranza che si riconosce nelle istituzioni degli Stati Uniti d’America e a pieno diritto ne ostenta la bandiera.
Non sarà un caso che illustri rappresentanti del partito Repubblicano hanno ora deciso di abbandonare la strada intrapresa dal loro capo, incluso l’ex Governatore della California Arnold Schwarzenegger, il quale ha paragonato l’assalto al Parlamento alla notte dei cristalli di nazista memoria.
Con buona pace per i maldestri rivolgimenti lessicali dei trumpiani sparsi per il mondo (Italia compresa), penso che il “trumpismo” verrà considerato dalla Storia per quello che è. L'utilizzazione del populismo estremista, adiuvato dai social media, per tentare di trasformare una democrazia liberale in dittatura. Come ebbe a dire Winston Churchill, la democrazia è il peggior tipo di ordinamento governativo, tranne che per tutti gli altri.
Non credo che ci vorrà molto per il popolo americano, repubblicani e democratici ma soprattutto per i primi, a risollevarsi dallo shock causato dagli eventi del 6 Gennaio a Washington e riprendere da dove aveva lasciato nel 2008 un loro onesto senatore, John McCain, nel suo discorso di concessione della vittoria al senatore Barack Obama, riconoscendo la vittoria del suo avversario e tessendone le lodi per la sua bravura e per il simbolico superamento di ataviche barriere razziali che la sua vittoria rappresentava, incoraggiando i suoi sostenitori a vedere in lui il presidente di tutti gli americani. A qualcuno potrà sembrare un secolo fa, ma si tratta solamente della precedente presidenza americana.
La rilettura di quel discorso alla luce degli avvenimenti di queste ore negli Stati Uniti farebbe un gran bene a tutti i politici (di destra, di sinistra) anche di casa nostra, che hanno ancora voglia di flirtare con il populismo come grimaldello per impadronirsi del potere negli ordinamenti democratici.
Ritengo dunque che questo plateale fallimento del populismo estremista debba servire a far prendere coscienza, sia alla destra che alla sinistra dei paesi con ordinamenti democratici, di quanto sia controproducente, soprattutto in questi tempi di imperante pandemia da Covid-19, l’interpretazione della politica unicamente come strumento di potere da raggiungere attraverso il più vasto e incondizionato consenso del popolo, carpito con ogni lusinga (vera o falsa che sia) e rincorrendo ed assecondando le pulsioni viscerali e le sensazioni del momento di una parte dei cittadini anziché curarsi delle necessità di lungo periodo di tutta la popolazione che, congiuntamente con le altre forze politiche, si dovrebbe voler guidare verso un futuro migliore.
Chiaramente, sulla più che tardiva presa di coscienza dei proprietari dei “social media”, con l’interdizione all’ex presidente Trump, del danno che essi possono causare col pretesto della libertà d'opinione alla democrazia ed alla convivenza ordinata secondo le leggi, si dovrà aprire una approfondita discussione accompagnata da un’analisi tecnico-sociologica nelle sedi opportune. Ma almeno ora sarà possibile, senza che i medesimi proprietari né i difensori ad oltranza della genuinità di questi mezzi, possano pretestuosamente ergersi a paladini della libertà di espressione. In questo caso, "opinione" ed "espressione" fanno solo una scadente rima con "informazione". A questo proposito immagino che debbano essere individuati o ideati di sana pianta dei mezzi informatici (algoritmi) che consentano ai gestori delle reti sociali e ad opportuni enti di controllo (da individuare) di effettuare verifiche sulla veridicità dei contenuti che ciascun operatore diffonde a un gran numero di persone. È ovvio che la diffusione di affermazioni false, soprattutto da parte di coloro che godono di un grande ascendente su vasti strati della popolazione, può rendere tali affermazioni credibili o addirittura verosimili e causare conseguenti comportamenti di massa, come abbiamo purtroppo dovuto constatare.