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giovedì 28 gennaio 2021

IL PALLEGGIATORE
di Franco Toscani
 


Per le vie di Piacenza vedo spesso circolare, a piedi o in bicicletta, un signore dal bel volto sui cinquant'anni, vestito in modo trasandato, dallo sguardo spento e sofferto, disattento a tutto ciò che lo circonda. Sembra nullafacente e che nulla gli interessi, salvo una cosa: il palleggio. L’uomo, infatti, si porta sovente con sé un pallone di cuoio pesante, col quale, ovunque si trovi - preferibilmente sui marciapiedi, davanti a tutti -, palleggia a lungo, con concentrazione assoluta e bravura eccezionale.
Una volta l'ho osservato infatti palleggiare per un'ora circa, con entrambi i piedi, senza far mai cadere la palla a terra. È un'abilità tecnica straordinaria. Dopo quasi sessant'anni di calcio appassionatamente praticato e pur avendo una qualche dimestichezza col gioco della palla, confesso di non essere mai stato capace di simili prestazioni. Sono giunto forse a una decina di minuti di palleggio ininterrotto con entrambi i piedi, ma a un'ora mai. L'ho dunque sinceramente ammirato e pure un po' invidiato.
Quella volta, ricevuti i miei complimenti per la sua abilità di palleggio, non mi ha risposto, anzi non mi ha neppure degnato di uno sguardo o di un lieve sorriso, continuando tranquillamente a palleggiare. Così non ho potuto in alcun modo dialogare con lui.
Ora, senza pretendere di svelare o sciogliere l'enigma di quest'uomo - ciascuno di noi è, in varia misura e secondo varie modalità, comunque sempre un caso psichico, un enigma a sé stesso e agli altri, una compresenza di salute e malattia, di bene e di male - mi sembra certo che egli soffra di una evidente patologia psichica, che ovviamente non saprei definire con precisione. Ma non basta. Chiuso al mondo e rinchiuso in sé stesso, impossibilitato a comunicare e ad aprirsi agli altri, lo sconosciuto esprime forse anche - col suo palleggio solitario prolungato - una sfida, il disagio profondo delle forme attuali della nostra convivenza, la tensione disperata e insoddisfatta al gioco e alla libertà, ad una vita gratificante e degna, una sorta di protesta muta e tragica, anch'essa alienata e impotente, contro l'alienazione dominante, che colpisce tutti e svilisce la nostra umanità.
Se ci pensiamo a fondo, quel palleggio solitario interroga e riguarda davvero, molto da vicino, ciascuno di noi, la nostra interiorità più profonda. Ma siamo noi ancora capaci di questa interrogazione e disposti ad essa?
[Piacenza, febbraio 2017 - gennaio 2021]