Per le vie di Piacenza vedo
spesso circolare, a piedi o in bicicletta, un signore dal bel volto sui
cinquant'anni, vestito in modo trasandato, dallo sguardo spento e sofferto,
disattento a tutto ciò che lo circonda. Sembra nullafacente e che nulla gli
interessi, salvo una cosa: il palleggio. L’uomo, infatti, si porta sovente con
sé un pallone di cuoio pesante, col quale, ovunque si trovi - preferibilmente
sui marciapiedi, davanti a tutti -, palleggia a lungo, con concentrazione
assoluta e bravura eccezionale. Una volta l'ho osservato infatti palleggiare per
un'ora circa, con entrambi i piedi, senza far mai cadere la palla a terra. È un'abilità
tecnica straordinaria. Dopo quasi sessant'anni di calcio appassionatamente
praticato e pur avendo una qualche dimestichezza col gioco della palla,
confesso di non essere mai stato capace di simili prestazioni. Sono giunto
forse a una decina di minuti di palleggio ininterrotto con entrambi i piedi, ma
a un'ora mai. L'ho dunque sinceramente ammirato e pure un po' invidiato. Quella volta, ricevuti i miei complimenti per la sua
abilità di palleggio, non mi ha risposto, anzi non mi ha neppure degnato di uno
sguardo o di un lieve sorriso, continuando tranquillamente a palleggiare. Così
non ho potuto in alcun modo dialogare con lui. Ora, senza pretendere di svelare o sciogliere l'enigma
di quest'uomo - ciascuno di noi è, in varia misura e secondo varie modalità,
comunque sempre un caso psichico, un enigma a sé stesso e agli altri, una
compresenza di salute e malattia, di bene e di male - mi sembra certo che egli
soffra di una evidente patologia psichica, che ovviamente non saprei definire
con precisione. Ma non basta. Chiuso al mondo e rinchiuso in sé stesso,
impossibilitato a comunicare e ad aprirsi agli altri, lo sconosciuto esprime
forse anche - col suo palleggio solitario prolungato - una sfida, il disagio
profondo delle forme attuali della nostra convivenza, la tensione disperata e
insoddisfatta al gioco e alla libertà, ad una vita gratificante e degna, una
sorta di protesta muta e tragica, anch'essa alienata e impotente, contro
l'alienazione dominante, che colpisce tutti e svilisce la nostra umanità. Se ci pensiamo a fondo, quel palleggio solitario
interroga e riguarda davvero, molto da vicino, ciascuno di noi, la nostra
interiorità più profonda. Ma siamo noi ancora capaci di questa interrogazione e
disposti ad essa? [Piacenza, febbraio 2017 - gennaio 2021]