MEMORIA E SUBALTERNITÀ AL PRESENTE di
Franco Astengo
Stiamo
vivendo il Giorno della Memoria in una fase di grande intensità mediatica dal
punto di vista dell’espressione dei ricordi. Un’intensità forse destinata a
compensare il vuoto di relazioni sociali che stiamo attraversando in questo
momento storico. La nostra mente, infatti, è sempre più impegnata a recuperare
le tragedie di tempi che ci apparivano completamente perduti e che oggi
ritroviamo addirittura attuali. In questo sovrapporsi di ricordi e di sensazioni
più o meno trascorse emergono anche particolari spunti di riflessione che ci
inducono verso sentieri che possiamo considerare inesplorati. Dalle
pagine de “La Lettura” del Corriere della Sera del 24 gennaio lo scrittore
israeliano Abraham Yehoshua svolge questa affermazione: “che troppa memoria
può essere, talvolta, una trappola” e David Grossman: “che è necessario
ricordare il futuro oltre che il passato”. In
sostanza: l’eccesso di memoria può bloccare la visione del futuro. Il ’900, un
secolo troppo denso per essere ricordato per intero. Il secolo passato ci ha
lasciato questa “damnatio memoriae”. Un ’900 nel corso del quale l’accelerazione
nella capacità di esprimersi del pensiero umano si è spinta a livelli
vertiginosi, quasi annullando il rapporto tra la memoria e il tempo, a
confondere ieri e oggi. La comunicazione si è trasformata in “struttura sociale”
impedendo il “solidificarsi” di un pensiero sull’accadimento dei fatti e, di
conseguenza, rendendo aleatoria la formulazione di giudizi. È
saltata la capacità dei più di tener conto della complessità nel rapporto tra
pensiero e azione. Una complessità imposta dall’entrata in scena delle grandi
masse come fattore dell’evoluzione della storia e della tecnologia come elemento
determinante della costruzione del pensiero filosofico e necessariamente del
modificarsi dell’impianto sociale. Così abbiamo finito con l’accettare il
prevalere di un pensiero “mordi e fuggi”. La
memoria se semplicisticamente attivata dalla quotidianità dell’effimero dettata
dalla tecnica del marketing (economico, politico, del consumo, imposto dai
social) potrebbe bloccare la ricerca del futuro e il passato tornare a
ripetersi. Le forme del ripresentarsi del ciclo storico sono infinite. Si
tratta, allora, di provare riflettere su come determinati aspetti di ciò che è
già tragicamente avvenuto tornino a presentarsi all’interno di una società di
massa sicuramente profondamente modificatasi nella sua essenza. Alcuni
elementi in questo senso devono essere visti, analizzati, sottolineati senza
colpevoli sottovalutazioni o peggio strumentalizzazioni opportunistiche. In
una società dominata dall’incertezza si levano forti imperativi rivolti alla
soggettività, alla valorizzazione dell’individualismo, alla raccolta degli
eguali dentro il nostro recinto. Un recinto magari contornato da muri. Un
recinto che segna il confine di una “diversità” che si pensa di attribuire agli
altri. È
questo il senso profondo dei pericoli dell’abbandonarci esclusivamente a un
ritorno all’indietro del nostro ricordo. Nel ’900 si era imposta l’idea di
un’opera di purificazione permanente con lo scopo di liberare il “corpus” del
genio umano di tutti gli elementi di squilibrio, dal razziale al sociale. Soffocarsi
nella memoria potrebbe così portare all’oblio della nostra capacità di capire
ciò che incombe e ci inquieta, mentre tutto oscilla paurosamente verso la
subalternità al presente. Ritorno
a Grossman: la memoria come atto di “ricordo per il futuro”, attivando dei
nuovi processi di creazione e di nuova dimensione politica. Senza
distruggerlo nella perdita di una coscienza collettiva il passato può essere
visto come obiettivo per dare forma a pensieri e a sentimenti che ci portino a
considerare ciò che può ancora essere, che è necessario che possa accadere,
senza inseguire sogni perduti.