Ci sono
delle parole, in greco e in latino, costruite in modo molto particolare. Il
verbo deponente mentior mentiris, mentitus sum, mentiri: mentire
è il risultato della seguente perifrasi: per me (dice il pastore) affermare
che la nascita della creatura avvenga per continue spinte espulsive (il
tendere) è mentire, in quanto la creatura nasce a seguito del
mancare, che è l’acquisizione graduale e prestabilita di quanto necessita. Quando il pastore greco coniò ψεύδομαι (pseudomai): sbaglio, m’inganno,
ragionò così: mi sbaglio, se dico che la creatura nasce, quando cresce,
perché l’acquisizione di ciò che manca avviene quando lega. Anche per quanto riguarda verus e ἀληθής (alethés): vero, oltre a
quanto già detto sulle riflessioni riguardanti la verità, si può pensare
ad una definizione che risulta vera nel processo formativo dell’essere.
I latini dissero: durante la gestazione, la creatura è legata alla
madre, deducendone: è vero, mentre i greci, con una perifrasi più
complessa, asserirono: il flusso gravidico cresce per poi legare con la
madre, causandone la formazione. L’aggettivo ὁμός (omòs): lo stesso, identico,
uguale è il risultato di questa perifrasi: dire che nel grembo la creatura
rimane o asserire che è (resta) legata è la stessa cosa. Quindi, in
italiano, tante sono le parole formate con omo: omonimo, omologia,
omografo, omografia, omogeneo ecc. Da ὁμός furono dedotti (omoios) ὅμοιος: simile, ὁμαλός: uguale, pari, uniforme, conforme,
della stessa specie, quindi: (anomalos) ἀν-ώμαλος: disuguale, non uniforme,
non conforme, non della stessa specie. Pertanto, l’anomalia è
riscontrare difformità con quanto, solitamente, si verifica di fatto, a
differenza di anormalità che è il discostarsi dalla regola, dal principio,
assunto come parametro, modello e valore. In latino,
invece, simile fu dedotto da una radice greca: (sema) σῆμασῆματος: segno, indizio. I greci
identificarono il sema con il grembo materno, per cui i latini, che
conoscevano questa parola, affermarono che l’aspetto del segno gravidico è simile.
Infatti, qui e in tanti altri casi, il suffisso ile, che si può
tradurre: è ciò che discende da, è un deduttivo logico, per cui da fictus
(ciò a cui si è dato forma con l’argilla) fu dedotto fictile: di
terracotta: antefixa fictilia deorum; da frango fragile;
dalla radice deb (da tradurre: dall’andare il legare, che, qui,
contestualizza, la fatica del parto) fu coniato debilis; da (ago) ἅγω: conduco fu mutuato agile, da ductus
(condotto, che rimanda all’essere in formazione)di duco si
ebbe duttile, da fieno fienile, da senex senile e così
via. Da sottolineare che somigliare è da collegare a σῶμα (soma): corpo, in quanto i corpi (anche: fattezze,
ad esempio, dei familiari) sono simili.
L’aggettivo ἴσος (isos): uguale consegue
dalla seguente perifrasi: è uguale dire: si genera il mancare (durante
la gestazione), la creatura lega con la madre. La lingua italiana ha
fruito di iso: isoscele, isobara, isobata, isoieta,
isomorfo, isogonia, isogonale ecc. Poi, da ἴσος fu coniato (isotes isotetos) ἰσότηςἰσότητος: uguaglianza. I greci,
inoltre, coniarono (isonomia) ἰσονομία: uguaglianza di diritti, democrazia, meglio:
legge uguale, che è a fondamento della democrazia. Da tutte queste osservazioni si desume che il
pastore greco e quello latino, con i pochi simboli a disposizione, escogitarono
ogni espediente per coniare parole. I latini per coniare aequus: uguale, piano,
nel senso di pianeggiante, orizzontale, si avvalsero dell’immagine del
grembo non fecondato: tutto uguale, uniforme. È così vero che equo
si genera dalla contestualizzazione appena prospettata che, da questo aggettivo,
fu coniato aequare: appianare (rendo piano), spianare, livellare,
uguagliare. In poche occasioni il passaggio dal concreto equo all’astratto
equità determina un’acquisizione di nuovi significati, che, tra l’altro,
porta all’Equità. Pertanto, nella parola equità si compendiano non solo
la moderazione, ma l’equanimità come imparzialità, come uguaglianza di fronte
alla legge e, soprattutto, il senso di una giustizia, non formale, ma
sostanziale. In italiano, per arrivare a uguaglianza, ci fu il seguente
processo: da aequus fu dedotto un altro aggettivo aequalis (per
età, per qualità, per difetti, per intelligenza, per condizione sociale ecc.),
sinonimo anche di stesso e conforme. Quindi: aequalitas: uguale
condizione, uguaglianza, uguaglianza di diritti, da cui aequabilitas
iuris, come imparzialità nell’applicazione della legge. Pertanto, negli
uguali, per nascita, per struttura fisica, per altezza, per colore degli occhi
o per condizione sociale c’è l’uguaglianza.
Con αὐτός (autòs): stesso, medesimo, da sé (spontaneamente,
naturalmente), proprio, i greci dedussero i significati ora
indicati, a seguito di queste considerazioni: dire che la creatura lega e dire
che tende è la stessa cosa, è la medesima cosa; inoltre: fa da sé illegare e il tendere, in quanto è il modo suo proprio di operare. Processi
analoghi furono seguiti per coniare ipse ipsius (lo stesso) e idem
eiusdem (il medesimo), che trovano in autòs il loro corrispondente.
Pertanto, la perifrasi: i: genera e dem: manca dal
rimanere (nascendo) portò il pastore a dire: è la medesima cosa. Gli italici, che avevano dimestichezza con i calchi
greci, pervennero ad un conio (non usato), misto di latino e di greco, per cui
da idem e(tes)της ottennero identés:
colui/ciò che è il medesimo, nel senso che è uguale a sé. Infatti, i
greci, con questo calco, ad esempio: da (athléo) ἀθλέω: gareggio dedussero l’aggettivo
verbale (athletòs) ἀθλετός: che ha gareggiato,donde: atleta e
da poiéo (creo) dedussero poeta. Pertanto, da identés furono
dedotti identico e identità. Quindi, la parola identità ha
il suo antecedente logico in colui o ciò che è uguale a ed esprime una
uguaglianza, che dette luogo al principio di uguaglianza, concetto
imprescindibile per far capire che cos’è l’identità di una persona, a che cosa
è uguale, a che cosa corrisponde: all’identificazione degli elementi
naturali e culturali che caratterizzano quella persona stessa. Allora,
parlare dell’identità di una persona, che come ben si sa è un unicum, significa
individuare tutti gli elementi che connotano ogni singola personalità.