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venerdì 1 gennaio 2021

RIAPRIRE LA STORIA
di Franco Astengo


Segnalare la conclusione di questo 2020 non può semplicemente significare un atto dovuto, di consuetudinaria “routine”. Questa volta registrare “l’inedito” si è rivelata un’espressione concreta e definire il futuro “incerto” la sola possibilità che ci rimane. Nell’improvvisa emergenzialità di questi giorni si stenta a trovare il bandolo della matassa di una riflessione che consenta di interpretare al meglio i comportamenti politici e quelli sociali. Si sta rischiando di smarrire il senso delle proporzioni sul piano dell’assunzione di responsabilità in pubblico e nel privato. Soprattutto è emersa con grande chiarezza la strutturalità di un peso sproporzionato della comunicazione di massa sugli orientamenti sociali: un frutto immediato questo del fenomeno dell’analfabetismo di ritorno e della chiusura soggettiva nel recinto della “paura”. “Paura” tanto solleticata e accarezzata al fine di mortificare la democrazia. Si sta presentando il conto dell’avere delegato alla comunicazione la tessitura necessariamente faticosa della trama di relazione tra istituzioni e società. In questo modo si sono sovrapposte le esigenze di esprimere sottovalutazione o allarmismo e, ancora una volta, le volontà di propaganda del mercato (finanziario, della “reclame” politica, della vendita di illusione mediatica, del mantenimento dei livelli dettati dal consumismo in tutti i suoi aspetti) ha finito con il prevalere sull’analisi possibile della ricerca di una “razionalità dell’essere”. Ci troviamo davanti a una vera e propria “distorsione della conoscenza” collegata all’imposizione di mantenere un modello di società profondamente ingiusto e sbagliato. La necessità più urgente è allora quella di riaprire il conflitto per una “riapertura della storia”.
Oggi viviamo in una società sfibrata dall’individualismo. Una società in confusione nella conoscenza e anche nella morale, che non riconosce più i soggetti capaci di costruire il senso di comunità nell’insieme dei rapporti sociali. A questo modo si determina una debolezza congenita nei livelli di decisionalità politica laddove il “popolo” tanto invocato non comprende più la differenza reale tra i diritti e i bisogni e si trasforma esso stesso nell’agente del caos: non è questione di decisionismo ma di diffusione culturale e di visione del futuro.