Segnalare la conclusione di questo 2020 non può semplicemente
significare un atto dovuto, di consuetudinaria “routine”. Questa volta registrare “l’inedito”
si è rivelata un’espressione concreta e definire il futuro “incerto” la sola
possibilità che ci rimane. Nell’improvvisa emergenzialità di questi giorni si
stenta a trovare il bandolo della matassa di una riflessione che consenta di
interpretare al meglio i comportamenti politici e quelli sociali. Si sta rischiando
di smarrire il senso delle proporzioni sul piano dell’assunzione di
responsabilità in pubblico e nel privato. Soprattutto è emersa con grande
chiarezza la strutturalità di un peso sproporzionato della comunicazione di
massa sugli orientamenti sociali: un frutto immediato questo del fenomeno
dell’analfabetismo di ritorno e della chiusura soggettiva nel recinto della
“paura”. “Paura” tanto solleticata e accarezzata al fine di mortificare la
democrazia. Si sta presentando il conto dell’avere delegato alla comunicazione
la tessitura necessariamente faticosa della trama di relazione tra istituzioni
e società. In questo modo si sono sovrapposte le esigenze di esprimere sottovalutazione
o allarmismo e, ancora una volta, le volontà di propaganda del mercato (finanziario,
della “reclame” politica, della vendita di illusione mediatica, del
mantenimento dei livelli dettati dal consumismo in tutti i suoi aspetti) ha
finito con il prevalere sull’analisi possibile della ricerca di una
“razionalità dell’essere”. Ci troviamo davanti a una vera e propria “distorsione
della conoscenza” collegata all’imposizione di mantenere un modello di società
profondamente ingiusto e sbagliato. La necessità più urgente è allora quella di
riaprire il conflitto per una “riapertura della storia”. Oggi
viviamo in una società sfibrata dall’individualismo. Una società in confusione
nella conoscenza e anche nella morale, che non riconosce più i soggetti capaci
di costruire il senso di comunità nell’insieme dei rapporti sociali. A questo
modo si determina una debolezza congenita nei livelli di decisionalità politica
laddove il “popolo” tanto invocato non comprende più la differenza reale tra i
diritti e i bisogni e si trasforma esso stesso nell’agente del caos: non è
questione di decisionismo ma di diffusione culturale e di visione del futuro.