Èun puro caso o c’è una logica
nascosta e sottile che sfugge alla nostra comprensione, la constatazione di
fatto, che la nostra lingua dialettale non preveda, nella sua espressione
parlata, cioè nella sua più immediata comunicabilità, nessuna forma verbale che
contempli il tempo futuro? Mi riferisco in particolare alla mia di lingua
dialettale, ma credo che il discorso valga per l’intera area linguistica cosentina,
se non per l’intero Meridione d’Italia. E difatti noi non diciamo: domani
partirò, domani farò, studierò, mangerò; noi mettiamo tutto alla forma
presente: domani parto, faccio,studio, mangio. Tutto si
svolge nel presente, anche ciò che dovrà avvenire in un tempo molto, molto
lontano.
Una veduta della Sila
“Fra vint’anni tuornu in Calabria”: non c’è bisogno di
traduzione, ma al lettore non sfuggirà che il verbo tornare è chiaramente usato
al presente. Mi sono spesso chiesto se questa rimozione del futuro non sia dovuta
ad una sorta di esorcizzazione, o ad un modo scaramantico di intendere
l’esistenza. In fondo non c’è niente di più incerto del futuro. Il futuro è
qualcosa di vago, di nebuloso; un azzardo dalle mille variabili. Il futuro è,
per molti, il tempo del desiderio, ma non è detto che ciò che noi auspichiamo si
realizzi. È una scommessa con un alto grado di improbabilità. La sfiducia verso
il futuro è divenuta così radicale, che se ne è perso il fascino e l’aspettativa.
Tanto è vero che su un muro di Milano è comparsa la celebre frase del poeta
Paul Valéry:“Il guaio del nostro tempo è cheil futuro non è più quello di una volta”.Il presente possiede un margine di
certezza che rassicura, mentre sul futuro pesa la sua incognita e può generare
paura. Per il destino individuale il futuro può mostrarsi col volto della
benigna fortuna, o con quello bieco della mala sorte. Comunque sia, al suo
fondo c’è l’assoluta certezza della morte. È quanto il futuro riserva a tutti ed
a ciascuno. Se di futuro non se ne trova traccia nella nostra lingua dialettale,
può darsi che questa ragione non le sia estranea. Una lingua senza futuro, la
nostra. Contrariamente alla lingua milanese che il futuro ce l’ha, eccome! Ma,
ironia della sorte, di futuro questa lingua non ne ha nessuno; sempre più dimenticata
e marginalizzata, si avvia inesorabilmente (per me dolorosamente) verso la sua
cancellazione, la sua scomparsa. Mentre la nostra continua ad essere usata nel
presente, a dispetto di ogni assenza di futuro.