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domenica 3 gennaio 2021

UNA LINGUA SENZA FUTURO
di Angelo Gaccione


Una veduta del borgo di Padìa (Acri)


È un puro caso o c’è una logica nascosta e sottile che sfugge alla nostra comprensione, la constatazione di fatto, che la nostra lingua dialettale non preveda, nella sua espressione parlata, cioè nella sua più immediata comunicabilità, nessuna forma verbale che contempli il tempo futuro? Mi riferisco in particolare alla mia di lingua dialettale, ma credo che il discorso valga per l’intera area linguistica cosentina, se non per l’intero Meridione d’Italia. E difatti noi non diciamo: domani partirò, domani farò, studierò, mangerò; noi mettiamo tutto alla forma presente: domani parto, faccio, studio, mangio. Tutto si svolge nel presente, anche ciò che dovrà avvenire in un tempo molto, molto lontano.


Una veduta della Sila

Fra vint’anni tuornu in Calabria”: non c’è bisogno di traduzione, ma al lettore non sfuggirà che il verbo tornare è chiaramente usato al presente. Mi sono spesso chiesto se questa rimozione del futuro non sia dovuta ad una sorta di esorcizzazione, o ad un modo scaramantico di intendere l’esistenza. In fondo non c’è niente di più incerto del futuro. Il futuro è qualcosa di vago, di nebuloso; un azzardo dalle mille variabili. Il futuro è, per molti, il tempo del desiderio, ma non è detto che ciò che noi auspichiamo si realizzi. È una scommessa con un alto grado di improbabilità. La sfiducia verso il futuro è divenuta così radicale, che se ne è perso il fascino e l’aspettativa. Tanto è vero che su un muro di Milano è comparsa la celebre frase del poeta Paul Valéry: Il guaio del nostro tempo è che il futuro non è più quello di una volta”. Il presente possiede un margine di certezza che rassicura, mentre sul futuro pesa la sua incognita e può generare paura. Per il destino individuale il futuro può mostrarsi col volto della benigna fortuna, o con quello bieco della mala sorte. Comunque sia, al suo fondo c’è l’assoluta certezza della morte. È quanto il futuro riserva a tutti ed a ciascuno. Se di futuro non se ne trova traccia nella nostra lingua dialettale, può darsi che questa ragione non le sia estranea. Una lingua senza futuro, la nostra. Contrariamente alla lingua milanese che il futuro ce l’ha, eccome! Ma, ironia della sorte, di futuro questa lingua non ne ha nessuno; sempre più dimenticata e marginalizzata, si avvia inesorabilmente (per me dolorosamente) verso la sua cancellazione, la sua scomparsa. Mentre la nostra continua ad essere usata nel presente, a dispetto di ogni assenza di futuro.