Un contributo dello psicanalista Giuseppe O. Pozzi sul tema della violenza
e della guerra Caro Angelo, ho letto con molto interesse e riprendo le tue note sul libro di Pino
Arlacchi “Contro la paura. La violenza diminuisce. Il vero pericolo contro
la pace mondiale” a partire da: “Deciso avversario di militarismo e guerre,
su questo la penso come il compianto pacifista Alexander Langer: “Meglio un
anno di negoziati che un giorno di guerra”. La gente di buon senso sa che
le guerre non risolvono i problemi, li aggravano. Non sono le armi che creano
sicurezza, ma la loro abolizione”. Mi è molto caro Alexander Langer, anche
perché conosco il fratello che fa il medico di professione. Come tradurre,
allora, questa ovvietà mai applicata alla vita degli umani, in una politica
sociale e nazionale condivisa? Che cosa impedisce questo passo? Forse la stessa
natura umana, la stessa cultura umana? Tengo distinte natura e cultura perché
questa divisione credo sia perdente per la società umana. Lo si può cogliere
con molta evidenza nel testo di Nicolas Bourriaud, Inclusione. Estetica
del capitalocene, (Postmedia books 2020). Abbiamo però un altro problema
enorme, perché, come sostiene Lacan: “Ciò che si può produrre in una
interazione umana è o la violenza o la parola” (in “Le formazioni
dell’inconscio”). Come cavarsela allora se sappiamo anche che “La
violenza non è il sintomo della pulsione, è la pulsione. Non è il sostituto di
una soddisfazione pulsionale. La violenza è la soddisfazione pulsionale”
(Jacques-Alain Miller in “Bambini violenti”).
Il lavoro dello
psicoanalista, infatti, con un soggetto violento che arriva ad ammetterlo è
proprio quello di aiutarlo a spostare la violenza su una soddisfazione di tipo
sintomatico. Si tratta di aiutare il soggetto. In altre parole a produrre dei
sintomi per non lasciarlo annegare nella pulsione di morte. Come aiutare la
società a produrre dei sintomi affinché non anneghi nella pulsione di morte
sociale? Una questione impossibile da porsi? Se lo era posta Franco Fornari,
come ricorderai, quando, anche dopo il fallimento del gruppo Omega e avendo
individuato come fossero le Idee primarie della vita ad orientare il processo
decisione dei soggetti e delle comunità umane nelle istituzioni ha deciso di
voler insegnare la psicoanalisi nelle istituzioni, a partire dalla istituzione
universitaria. Non abbiamo visto grandi risultati. Forse i suoi
allievi non hanno voluto insistere ed hanno mollato la presa? Nel libro “Guerre
senzalimite” curato dalla psicoanalista Marie-Helene Brousse sono
raccolte le testimonianze di altri, numerosi psicoanalisti che danno una
testimonianza di come loro, uno per uno, sono riusciti ad elaborare
l’esperienza devastante della guerra che hanno vissuto, che hanno attraversato
con le loro famiglie. Una possibilità di attraversare il fantasma ed elaborare
il trauma incontrato è possibile, quindi. Una speranza, allora c’è? Sì, ma in
quanto rinviata al lavoro ed all’atto scelto dell’uno per uno. Pino Arlacchi,
tuttavia, sembra venirci incontro dimostrando, nel suo libro, che la violenza
diminuisce. Un bel respiro per tutti, allora, nonostante le percezioni
personali di ciascuno di noi. Combattere o meglio impegnarsi collettivamente
per la pace rimarrebbe, allora, una strada percorribile e necessaria visto che
qualche risultato in più, anno dopo anno, si riuscirebbe a condividere anche se
un disequilibrio mondiale sarebbe sempre in agguato per distruggere quanto si
riesce, con fatica, a costruire. Un caro abbraccio e grazie. G.O.P.