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martedì 9 febbraio 2021

O LA VIOLENZA O LA PAROLA
di Giuseppe O. Pozzi
 

Alexander Langer

Un contributo dello psicanalista Giuseppe O. Pozzi sul tema della violenza e della guerra
 
Caro Angelo, 
ho letto con molto interesse e riprendo le tue note sul libro di Pino Arlacchi “Contro la paura. La violenza diminuisce. Il vero pericolo contro la pace mondiale” a partire da: “Deciso avversario di militarismo e guerre, su questo la penso come il compianto pacifista Alexander Langer: “Meglio un anno di negoziati che un giorno di guerra”. La gente di buon senso sa che le guerre non risolvono i problemi, li aggravano. Non sono le armi che creano sicurezza, ma la loro abolizione”. Mi è molto caro Alexander Langer, anche perché conosco il fratello che fa il medico di professione. Come tradurre, allora, questa ovvietà mai applicata alla vita degli umani, in una politica sociale e nazionale condivisa? Che cosa impedisce questo passo? Forse la stessa natura umana, la stessa cultura umana? Tengo distinte natura e cultura perché questa divisione credo sia perdente per la società umana. Lo si può cogliere con molta evidenza nel testo di Nicolas Bourriaud, Inclusione. Estetica del capitalocene, (Postmedia books 2020). Abbiamo però un altro problema enorme, perché, come sostiene Lacan: “Ciò che si può produrre in una interazione umana è o la violenza o la parola” (in “Le formazioni dell’inconscio”). Come cavarsela allora se sappiamo anche che “La violenza non è il sintomo della pulsione, è la pulsione. Non è il sostituto di una soddisfazione pulsionale. La violenza è la soddisfazione pulsionale” (Jacques-Alain Miller in “Bambini violenti”). 



Il lavoro dello psicoanalista, infatti, con un soggetto violento che arriva ad ammetterlo è proprio quello di aiutarlo a spostare la violenza su una soddisfazione di tipo sintomatico. Si tratta di aiutare il soggetto. In altre parole a produrre dei sintomi per non lasciarlo annegare nella pulsione di morte. Come aiutare la società a produrre dei sintomi affinché non anneghi nella pulsione di morte sociale? Una questione impossibile da porsi? Se lo era posta Franco Fornari, come ricorderai, quando, anche dopo il fallimento del gruppo Omega e avendo individuato come fossero le Idee primarie della vita ad orientare il processo decisione dei soggetti e delle comunità umane nelle istituzioni ha deciso di voler insegnare la psicoanalisi nelle istituzioni, a partire dalla istituzione universitaria. Non abbiamo visto grandi risultati. Forse i suoi allievi non hanno voluto insistere ed hanno mollato la presa? Nel libro “Guerre senza limite” curato dalla psicoanalista Marie-Helene Brousse sono raccolte le testimonianze di altri, numerosi psicoanalisti che danno una testimonianza di come loro, uno per uno, sono riusciti ad elaborare l’esperienza devastante della guerra che hanno vissuto, che hanno attraversato con le loro famiglie. Una possibilità di attraversare il fantasma ed elaborare il trauma incontrato è possibile, quindi. Una speranza, allora c’è? Sì, ma in quanto rinviata al lavoro ed all’atto scelto dell’uno per uno. Pino Arlacchi, tuttavia, sembra venirci incontro dimostrando, nel suo libro, che la violenza diminuisce. Un bel respiro per tutti, allora, nonostante le percezioni personali di ciascuno di noi. Combattere o meglio impegnarsi collettivamente per la pace rimarrebbe, allora, una strada percorribile e necessaria visto che qualche risultato in più, anno dopo anno, si riuscirebbe a condividere anche se un disequilibrio mondiale sarebbe sempre in agguato per distruggere quanto si riesce, con fatica, a costruire.
Un caro abbraccio e grazie.
G.O.P.