VITALE E LA SUA BRESCIA
di
Angelo Gaccione
Veduta di Piazza della Loggia
Mandandomi il suo libro Città
di Brescia culla d’intrapresa, Marco Vitale mi aveva suggerito solo dei
blocchi di lettura. Le pagine relative alla concessione di Olderico I, al
monaco Petronace, ad Albertano da Brescia, a quelle in cui Vitale racconta
della sua giovinezza, i ricordi dei suoi venerati maestri, e a quelle di un
intervento previsto per un ciclo di conversazioni nella sua città di nascita,
ma che poi era saltato. L’economista si era visto costretto a declinare
l’invito, a causa di una serie di “limiti” (una vera e propria censura, in
realtà), posti dagli organizzatori. Il titolo di quegli incontri era molto
ambizioso e non avrebbe dovuto concedere nulla alla reticenza e alle ambiguità:
“I cristiani e la città: testimoni di Gesù risorto, speranza del mondo”. A
Vitale non piacciono le ambiguità e tanto meno le reticenze; la sua è una
storia di uomo libero (e l’ha sempre apertamente rivendicata). Poteva dunque
questo tenace bresciano non fare parola dello Ior, della disinvoltura delle
alte gerarchie ecclesiastiche, di certi cardinali che vivono come prìncipi
rinascimentali? Certo che no. Come non poteva sottacere di una serie di scelte
sconsiderate delle forze imprenditoriali, dell’ubriacatura per la finanza
speculativa, della inadeguatezza di alcune amministrazioni comunali che per un
lungo periodo si sono alternate, e che avevano reso marginale la tradizione
della città. Tradizione fatta di serietà, di centralità del lavoro, di buone
pratiche, di cura e amore per il bene comune, di credito messo al servizio
dell’intrapresa, di civismo, di solidarietà, di sguardo aperto al mondo. E come
dargli torto? Brescia è stata (e resta) una città bellissima, ricca di storia e
di cultura, di manufatti artistici e architettonici preziosi; con un territorio
vario e per molti versi unici (Franciacorta, zone lacustri, valli, montagne,
borghi…). E che dire del cibo, dei vini, delle tradizioni?
L'ingresso del Castello |