Lo
sciopero in Amazon ha suscitato un forte livello di discussione. Un
dibattito che non potrà essere tralasciato o ridotto come episodico. Serve
un confronto intellettuale e politico continuo attorno ad alcuni temi decisivi
come quello dell’estendersi dei termini di sfruttamento sulle nuove
contraddizioni sociali. Le nuove contraddizioni sociali portate avanti da un
combinato disposto come quello formato dall’innovazione tecnologica e dalle
nuove forme di disponibilità lavorative determinate dall’arretramento nelle
condizioni materiali di cittadinanza. Si è formata una inedita articolazione
sociale che un tempo avremmo potuto considerare come “esercito di riserva”. Nella
giornata di ieri, 23 marzo, mi è capitato di sperimentare un livello possibile
di questo dibattito: dopo aver scritto una brevissima nota nel merito ho
ricevuto una mail da parte del compagno Michele Mezza e sulla base di quel
confronto si è offerta l'occasione per proseguire. Al
proposito dell’alimentarsi del dibattito mi permetto così di mettere a
confronto due posizioni come quella personalmente espressa e che facilmente può
essere interpretata come una visione di tipo “classico” riconducibile comunque
alla lotta di classe e quella espressaappunto dal compagno Michele Mezza nella quale si pone l’accento sul
modificarsi degli strumenti analitici in materia puntando sul tema della
“riunificazione proprietaria” che Amazon esprimeattraverso l’innovazione tecnologica su “calcolanti”
e “calcolati”. Si
tratterebbe, cioè, di una sorta di “assemblaggio di bisogni” che finisce con il
riunificare, in una sorta di blocco storico alla rovescia, operatori e utenti
all’interno di una comune logica di subalternità al dominio. Il
punto, quindi (se ho capito bene) sarebbe quello del proporre una “sottrazione
sociale” a questo forma di dominio introducendo - appunto - il tema di una
nuova capacità di distinzione tra operatori e utenti oggi accomunati dalla
sudditanza all’algoritmo che induce bisogni e loro soddisfazione. Debbo confermare
che si tratta proprio di quel terreno di rilettura della teoria delle
fratture che è indispensabile riprendere al più presto. Ne scrive, (mi
auguro di averlo interpretato correttamente) anche Vincenzo Vita sul “il Manifesto”
di oggi allorquando, in chiusura del suo intervento, propone il boicottaggio di
Amazon almeno fino a quando non interverranno elementi di sufficiente
regolamentazione del servizio. Il
tema sembra essere quello della regolazione di un modello indotto di
“individualismo del consumo” da affrontare attraverso una “visione socialmente
regolata” nell’uso delle nuove tecnologie (in particolare nel rapporto con i
progressi dell’intelligenza artificiale) posta versus l’idea di un recupero di
forme nuove della concezione di classe. Una
concezione di classe attraverso la quale far leva per la costruzione di un
adeguato blocco di riferimento capace di riprendere antiche istanze di lotta
(insomma una ripresa di temi da “rivoluzione industriale”). Francamente
non credo che questa contrapposizione esista. Infatti
non si ravvede, nel concreto, una contrapposizione tra un'idea di sfruttamento
del lavoro distinto dallo sfruttamento del consumo. È
necessario invece cercare di produrre un discorso di visione e di proposta per
un orizzonte sociale alternativo nel quale si principi una forma di
“regolazione del consumo” e di ripresa della richiesta di diritti. Regolazione
del consumo e diritti sociali come endiadi all’interno di una proposta di
battaglia ideale e propriamente politica di trasformazione sociale. Le
forme di sfruttamento innestate dalla modernità potranno essere contenute e
limitate (come si vede una sorta di “programma minimo”) se si riuscirà ad
impostare, sul piano più specificatamente politico, un’idea di “società
sobria”, di “senso del limite”, di quello che, da qualche tempo, mi sono
permesso di definire “socialismo della finitudine”. Forse
sarebbe il caso di discuterne quando si parla di una nuova soggettività
politica della sinistra che - appunto - per costruirsi ha sicuramente bisogno
di rianalizzare il quadro delle fratture sociali e delle contraddizioni che
esse stanno producendo. Scusandomi
delle ingenuità sicuramente contenute in questo testo, unisco di seguito i
contenuti delle due note di riferimento dai cui testi sono partito per cercare
di sviluppare (per quanto possibile) un ragionamento.
La
nota pubblicata da “il Manifesto” “Lo sciopero (riuscito) dei supersfruttati
di Amazon porta due punti alla nostra riflessione: 1)lo sciopero è stato mondiale: lo sfruttamento
porta naturalmente all'idea dell'internazionalismo; 2)si discute molto della "diversità"
nell'evidenziarsi delle "fratture" chiedendo un aggiornamento della
teoria che le ha, a suo tempo, individuate (Rokkan). Ma anche in questo caso il
substrato teorico rimane quello - appunto - dello sfruttamento dell'uomo
sull'uomo, elemento base per qualsivoglia ragionamento teorico. Franco Astengo"
La e-mail inviata ieri da Michele Mezza “Lo
sciopero di ieri, che anch’io ho celebrato e declamato, segna l’ennesima
evidenza di una radicale inadeguatezza degli strumenti analitici e delle
categorie sociali con cui continuiamo a pensare di immettere il dentifricio in
un tubetto da cui è clamorosamente è irrimediabilmente fuoriuscito (…) Tu
parli dello sfruttamento, che è una costante del lavoro salariato, ma il nodo
del conflitto in Amazon riguarda più che la gestione la programmazione e la
pianificazione del processo produttivo. Ossia la fase in cui dalla riproduzione
in vitro del flusso produttivo, determinato dalla domanda di tipologia di
prodotti che Amazon condiziona abbondantemente rendendo largamente prevedibile
cosa vendere e cosa dovrà consegnare, si passa all’esecuzione nei capannoni e
sui camioncini del ciclo di produzione. In questo passaggio il comando di
Amazon si realizza mediante l’estrazione di dati psicomotricità dagli
acquirenti e dai lavoratori. Ad ognuno per l’obbiettivo che si pone Amazon :
automatizzare sia le motivazione d’acquisto che le mansioni del ciclo
logistico. È questo il momento in cui si afferma e si riproduce il potere di
Amazon: pianificare il passaggio da lavoro vivo a lavoro morto, e potremmo dire
da consumo vivo a consumo morto. Questo è lo stadio del capitalismo della
sorveglianza, come scrive Shoshanna Zuboff, dove la proprietà esclusiva di dati
e algoritmo determina il dominio dei calcolanti sui calcolati, di cui, fra i
molti indotti, per altro momentaneo in attesa di una prossima robotizzazione, c’è
anche l’effetto Tempi Moderni di Charlot. Ora, a mio parere, diventa essenziale
piuttosto che cercare di riprodurre le vecchie partite sul cottimo di capire
come afferrare e ribaltare questo modello di convergenza fra lavoro e su ciò
che Amazon governa attraverso la sua proprietà degli algoritmi e la sua
capacità di ricavare dall’altra delle sue attività, che non dimentichino è la
principale fonte di profitto, ossia il monopolio dei servizi di memoria e cloud,
la materia prima per prefabbricare desideri e lavoro. Michele
Mezza”