Come
ho sempre sostenuto, la parola è metafora del grembo e il significato al
simbolo verbale viene assegnato da chi conia le parole. I greci, elaborando (lego)
λέγω: dico, annuncio, significo, scelgo,
dissero alla lettera: dallo sciogliere il generare è ciò che faccio.
Alcuni pensarono che il grembo pronunciato significasse, annunciasse,
dicesse, altri pensarono, molto probabilmente, che l’allevatore sceglie
la coppia per la riproduzione. Inoltre, i greci, per indicare annunciare,
che rimanda allo stesso contesto, coniarono anche (anghéllo)ἀγγέλλω, quindi: (ànghelos) ἄγγελος: messaggero, angelo, annuncio, da cui, trattandosi
di quel particolare annuncio, divenne: (euànghelos) εὐ-άγγελος: annunciatore di buone notizie, quindi: vangelo. Si
ricorda che nella cultura popolare si usa dire: chepassil’Angelo
e dica: amen! ad indicare che quell’annuncio sia foriero di nascita
felice. Tornando a λέγω, con il
significato di: scelgo, bisogna dire che fu conosciuto dai latini, se
coniarono e-ligoeligis, elexi, electum, elegere:
eleggo, scelgo, di-ligo: apprezzo, ho caro (figlio
diletto) e, poi, seligo seligis, selexi, selectum, seligere:
scelgo, mentre da selectus: scelto si ebbe selezione.
Inoltre, da λέγω: dico, fu dedotta (lexis lexeos) λέξιςλέξεως: parola, che è ciò che
genera il dire, ma è, soprattutto, ciò che si conferma il giorno della
nascita. In altri termini, se la gestante dice quando, a seguito della
crescita del flusso gravidico, lega a sé la creatura (iniziando con quel
legare il computo del tempo stabilito per nascere), la parola,
che è il simbolo per esprimere il dire, si verifica, si
conferma il giorno della nascita, che è il mancare per eccellenza.
Infatti, la traduzione letterale di (lexis lexeos) λέξιςλέξεωςè la seguente: dal generare lo sciogliere il
crescere, che indica la crescita eccessiva e caotica del flusso, avviene
il legame tra madre e creatura, anche come punto di partenza del computo
del tempo necessario, da cui si deduce quando mancherà (nascerà) la creatura.
Pertanto, nella civiltà agro-pastorale, quella sviluppatasi nei paesi del
Mediterraneo, il rispetto della parola aveva del sacro, proprio perché
sacro è il principiare della vita, di cui è metafora ed è immodificabile il
giorno stabilito. Il rispetto, la stima, l’onore di una persona dipendeva, per
tanta parte, dal mantenimento della parola data, al punto di dire: “parola
mia d’onore”.
Da lexis furono dedotti lessico, che è
ciò che è della parola, per poi acquisire il significato: insieme di
parole (contenuto nel vocabolario) e lessicale. Da ricordare che da lego
e lexis furono anche mutuati: dialetto, dialettico, dialettica,
prolessi e prolettico. Come espansione logica di λέγω, i greci coniarono anche λόγος, con molti significati: parola, ragione,
raziocinio, pensiero, causa, intelletto, intelligenza,
promessa divina, rivelazione, vaticinio, conseguenti a questa
perifrasi molto generica: genera lo sciogliere del flusso il mancare (tutto
quello che necessita e che necessariamente deve avvenire), per cui si possono
riscontrare tutti gli elementi concettuali e verbali del prologo di
Giovanni. Infatti, nel Λόγοςc’è la Causa, c’è il Pensiero, c’è l’Intelletto, c’è
la divina Rivelazione (il grembo rivela e promette), c’è ciò che nasce e, nel
nascere, si conferma il dire (λέγω)come parola. Comunque, da λόγος furono
estrapolati, in italiano, molti simboli verbali: logico, logica,
prologo (se c’è il flusso gravidico, c’è stato un antefatto), epilogo,
dialogo, dialogico, filologo. Inoltre, con logo,
nel senso di studioso, sono state coniate parole composte di origine greca:
entomologo, psicologo, etologo, archeologo,
epistemologo, demologo, etnologo ecc., da cui entomologia,
psicologia ecc. Inoltre, da logo fu dedotto l’aggettivo analogo
(conseguentemente: analogia e analogico), con il significato: che
è in rapporto, proporzionale, proporzionato, a voler
significare che quel dire determina una proporzione tra la
creatura in formazione e lo sviluppo del sema/segno.
L’omologo latino di λέγωè dico,
che contestualizza lo stesso momento del processo. Infatti, la perifrasi si
traduce: genera il legare il passare. Quando inizia il processo di
formazione della creatura, determinando l’abbozzo del grembo, la madre dice,
comunica agli altri il suo stato. Il participio passato detto indica
che l’annuncio della gravidanza incipiente è diventato atto, in
quanto ha trovato conferma nella nascita. Detto, inoltre, diventò il
detto (in dialetto a dittat’), dal latino dictum: parola,
motto, asserzione, che è ciò che tutti ritengono vero o portano
come esempio. Da dire furono dedotti: indire, nel senso di annuncio
solenne, ma anche stabilisco per (quel giorno), editto che è
una disposizione di legge forte, perché efficace, conforme a natura e,
soprattutto, prescrittiva, predetto e predizione, predico,
nel senso di: vado dicendo pubblicamente che una creatura arriverà, predica,
come pubblico sermone, che ha la funzione di correggere i costumi (fare il
sermoncino), disdire, disdetta, sia come ricusa di quanto
precedentemente detto, sia come sfortuna o iattura. Dal participio passato dictus fu dedotto dicto
dictas, dictavi, dictatum, dictare: io detto come
ordine, impongo, comando, prescrivo; poi, da dittato/dettato
(è stato stabilito così) fu estrapolato: dittatore, che per i latini
acquisì valenza positiva, in quanto quel dire divenne ottimo comando, al fine
della realizzazione della creatura, così come, in situazione analoga, era stato
coniato: statuire.
Il verbo dire dette luogo a benedire e
a maledire, a benedizione e maledizione, perché l’evento
in atto fosse propizio o infausto. La benedizione veniva, talvolta, accompagnata
da scongiuri, anche per prevenire il malocchio, così come quando si diceva: Benedica!
Benedica! che era, sicuramente, una forma di superstizione, cui, però,
si prestava fede. La maledizione, invece, era espressa con la bestemmia,
che poteva essere un’espressione empia nei riguardi degli dèi, ma, perlopiù, si
trattava di espressioni di malaugurio nei riguardi di chi aveva causato un
danno o, comunque, verso una persona cattiva. I greci coniarono: (blasfemia) βλασφημία: parola empia, blasfema, oltraggio
(verbale), ingiuria. Alla lettera blasfemia è formata da (femì) φημί: dico e (blabe) βλάβη: danno, rovina, per cui è molto
simile a maledizione. I latini si avvalsero di perifrasi: impia verba
in deos (parole empie contro gli dèi) e nefas est dictu (nefando a
dirsi). Gli italici, per indicare la maledizione, si avvalsero di bestemmia,
che, nel processo di riproduzione, indica un anatema: che l’evento
sia infausto! Tornando a dire, bisogna considerare che, per
i latini, il vero deverbale non è tanto dictum (il detto)quanto:
verbum: parola. Verbo consegue alla seguente perifrasi: è
ciò che si genera dallo scorrere (che è il periodo dell’incubazione), andando
a nascere (um è da rendere: è ciò che rimane). Quindi, verbo
è metafora del grembo: ciò che è stato preannunciato nasce e, quindi, rimane
immodificabile, per cui le parole sono pietre. Allora, il verbo (parola)
va rispettato e mantenuto. Inoltre, se questo è il processo logico che porta a verbo,
Giovanni, nel suo Vangelo, ne fece il Verbo, Colui che si lega al
Padre e nasce fisicamente come figlio.
I greci per indicare: io parlo, che è la
facoltà che oggi si acquisisce entro i due anni di età, coniarono il verbo
(fthengomai) φθέγγομαι, che racchiude la seguente perifrasi: è ciò che
per me nasceda dentro il crescere del grembo: il fluire, che
diventa metafora dei suoni che scorrono dalla bocca. Da fthengomai fu
dedotta (fthegma) φθέγμαφθέγματος: parola, che è ciò, che, dopo la crescita, rimane
a legare. Per cui fthegma: rimanelegando, indica che la
parola non si cambia e, pertanto, vincola. I latini si avvalsero del deponente loquor
loqueris, locutus sum, loqui per esprimere il fluire di
chi ha l’eloquio, immagine del flusso gravidico, per cui le parole
dedotte furono: loquela, eloquente, eloquenza ecc.,
attinenti all’arte del dire. Inoltre, i greci da εἴρω(dal generare lo
scorrere: quando inizia la gravidanza), con il significato di dire,
coniarono ῥῆσις: parola, discorso, anche l’aggettivo ῥητός: divulgabile, detto, stabilito,
da cui retore e retorica e dal concetto di: stabilito fu desunto:
decreto. Gli italici coniarono parlare, da cui dedussero
parola. Infatti, così come i greci avevano escogitato λέγωe i latini dico,
gli italici dissero che l’abbozzo del grembo parla, comunicando l’evento
per una data certa mediante la parola.
La parola è
sicuramente quella che uso per parlare/comunicare, ma è anche ciò che concepisco
e genero, per cui, solo negli insensati la parola è a vanvera, diversamente
è qualcosa che attentamente valuto e soppeso prima di pronunciarla, anzi è
necessario che sia ponderata diligentemente proprio per le conseguenze che
determina. Poi, per una persona precisa e seria, è anche quella che fa fede,
sciogliendosi e verificandosi al momento opportuno: il giorno della nascita. Dare
la parola significa impegnarsi a rispettare la parola e il mancato rispetto
genera disonore e porta a litigi, a fare parole (in dialetto: paruuià),
che, quando vengono pronunciate, volano, ma restano anche come macigni.