LA GIUNGLA DEI SUBAPPALTI E ALTRO di Alfonso Gianni
Piccola ma significativa storia di un decreto-legge Il Consiglio dei Ministri ha varato il decreto-legge
in 68 articoli che assembla la questione delle semplificazioni e il tema della governance
del Piano di Ripresa e Resilienza. Lo ha fatto non senza qualche sofferenza
all’interno della maggioranza e nel rapporto con le parti sociali. Il che
merita più di una riflessione. Possiamo pure cominciare dall’esito finale, del
quale tutti si dicono soddisfatti. Il che, vista la turbolenza in atto fino
all’ultimo momento, ingenera qualche sospetto. Mario Draghi aveva convocato in
fretta e furia i sindacati confederali giovedì 27 maggio per un confronto sui punti
controversi. Si è discusso dei subappalti, ma non della scottante questione dei
licenziamenti, che Draghi ha considerato formalmente chiusa. Le modifiche hanno riguardato quindi il tema dei subappalti, visto
che l’argomento del criterio del massimo ribasso nelle gare d’appalto è stato
stralciato dal provvedimento legislativo. La soluzione trovata è stata quella
di mantenere un tetto per i subappalti pari al 50% innalzandolo dall’attuale
40%. Dal 1° novembre il tetto dovrebbe sparire in ossequio alle sentenze della
Corte di giustizia della Ue, come quella del 26 settembre 2019 che aveva
considerato illegittima l’apposizione del limite indipendentemente dalla sua
entità. Al suo posto dovrebbe comparire un criterio alquanto indeterminato,
basato sul fatto che l’affidamento dei lavori non potrà avvenire “in misura
prevalente” e con il rafforzamento del “controllo delle condizioni di lavoro e
di salute e di sicurezza dei lavoratori”. Una soluzione piuttosto scivolosa e
rischiosa, poiché, come sappiamo, le capacità di controllo effettive sulle
condizioni di lavoro nel nostro paese sono assai ridotte, anche per l’eseguità
del numero degli ispettori del lavoro, come denunciato anche dall’ultimo
Rapporto annuale dell’Ispettorato. Gli altri aspetti del decreto governativo che
riguardano il sistema di governance nella implementazione del Piano si sono
risolti come era facilmente prevedibile, ovvero con un accentramento senza
precedenti dei poteri in mano al Presidente del Consiglio. Inutile stupirsene.
Draghi è lì esattamente per questo. Rappresenta direttamente l’attuale
dirigenza della Ue. Come ha scritto con grande efficacia Lucio Caracciolo su Limes
“Il Draghi-sistema è il vincolo esterno cogestito dall’interno”. Conviene ora fare un passo indietro ai giorni che precedono
l’ultimo Cdm per farsi un quadro più completo della vicenda. L’inconsueta
asprezza del titolo del Sole24Ore di domenica 23 maggio - “L’inganno di
Orlando”- avrebbe già dovuto fare capire chi era che si apprestava a dare le
carte nella partita sulla proroga dei licenziamenti. Il giornale
confindustriale non è solito sparare a vuoto. Qualche affidamento da parte di
chi conta nel governo era probabilmente già stato dato alla Confindustria. E il
dubbio su chi fosse in realtà l’ingannatore e chi l’ingannato avrebbe dovuto
già sorgere in più d’uno. Quanto è accaduto poi, con il correlato di
dichiarazioni e commenti, lo dimostra. Pare che il ministro Orlando abbia dovuto agitare la minaccia
delle dimissioni. Poi non attuata non solo perché intrinsecamente debole, ma
soprattutto perché non sarebbe stata sostenuta dal suo partito di cui è
capodelegazione nel governo. Del resto il Pd era già pronto ad assorbire il
colpo - a proposito di “resilienza” - e a dichiarare che la soluzione prevalsa
dopo lo scontro in Consiglio dei ministri si configurava come un ragionevole
compromesso. Basta stare al merito per capire che non è così.
Dal 1° luglio le imprese manifatturiere ed edilizie
avranno la possibilità di scegliere tra due opzioni: utilizzare la cassa
integrazione ordinaria in modo gratuito, in questo caso - e mancherebbe altro -
non potendo licenziare durante l’uso della medesima; oppure licenziare senza
chiedere l’intervento della Cig. Gli anglosassoni la chiamano una soluzione win
win, solo che in questo caso a vincere è uno solo, il padrone (desueto quanto
appropriato termine), qualunque delle due alternative scelga. Nel primo caso
risparmia sulla Cig, ovvero tra il 9% e il 15% della retribuzione, che palazzo
Chigi chiama “un forte incentivo” a non interrompere il rapporto di lavoro. Nel
secondo potrebbe procedere subito ai licenziamenti. Dove stia il compromesso,
prima ancora della sua ragionevolezza, resta davvero oscuro. Già la proroga limitata al 28 agosto era indigesta ai
lavoratori e al sindacato che su questa questione si gioca un bel pezzo di
credibilità, già non fortissima dopo l’endorsement incautamente fornito al buio
all’atto della nascita del governo Draghi. Ma così la situazione precipita
verso un disastro sociale. Il binomio con il decreto semplificazioni, pur con
le modifiche di cui sopra, non è casuale. Era già chiaro dal discorso di Draghi
sulla fiducia che su quel versante non ci si poteva aspettare che il peggio. In
un paese che l’anno scorso ha accumulato la tragica cifra di 1270 “morti
bianche”, oltre tre al giorno se si lavorasse tutti i giorni dell’anno, solo
una logica disumana condita da lacrime di coccodrillo può pensare a cuor
leggero alla liberalizzazione di appalti e subappalti e di accelerazione del
lavoro nei cantieri. Insomma il padronato è all’offensiva sul fronte del lavoro,
come su quello della proprietà, con particolare riguardo a quella intellettuale
oggi sempre più chiave del sistema. Basti guardare alla questione brevetti sul
vaccino e sui farmaci anti-Covid. Capitale contro lavoro. Si chiama lotta di
classe. Senza pudore Carlo Bonomi dichiara che l’Italia è in piedi grazie alle
aziende, tace sul fatto che il 74% dei flussi di denaro governativi sono andati
alle imprese e che esse hanno operato grazie a lavoratori costretti a prestare
la loro opera malgrado lo scoppio della pandemia. E se questo non è proseguito
durante tutta la fase pandemica lo si deve alle azioni di sciopero, non certo
alla benevolenza padronale.
La Confindustria non vuole “sprecare la crisi”; si prepara ad
una riorganizzazione della produzione che comporta una massa di licenziamenti e
una riduzione stabile della forza lavoro occupata. E il Pnrr glielo consente.
Industria 4.0 non è solo una sigla numerico linguistica, ma una sfida e una
minaccia alla già debole occupazione. Questo piano confindustriale che non si
ferma all’emergenza non sopporta neppure i più timidi ostacoli. Il vice di
Bonomi, Maurizio Stirpe, ha detto esplicitamente che questa vicenda “è
destinata a segnare in modo profondo anche i rapporti tra Confindustria e il
ministero (del lavoro)”. Non sono più i tempi in cui “noi siamo governativi per
definizione”, come diceva Gianni Agnelli. Quindi l’associazione padronale punta
ad articolare la sua tattica, dosandola ministero per ministero, cercando così
di disarticolare la maggioranza e costruendosi la propria ideale interfaccia
governativa. Spetta soprattutto al sindacato impedirglielo. Ed è bene che
Maurizio Landini abbia dichiarato che la vicenda della proroga dei
licenziamenti non è da considerarsi chiusa.