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martedì 25 maggio 2021

SPIGOLATURE   
di Angelo Gaccione

Lev Tolstoj
 
La nobiltà di un mestiere
 
Se scrivo male di un luogo, o di ciò che in un luogo accade di negativo, non è mai per partito preso e ci sono sempre delle buone ragioni. Anzi, delle pessime ragioni. Un po’ di anni fa un “giornalista” della mia terra di Calabria si era risentito perché avevo osato scrivere su un indegno sterminio di tre splendidi viali di platani, costituiti da alberi possenti e bellissimi, per ragioni idiote ed inutili: fare delle piste ciclabili in una zona di città dove non si era mai vista transitare una sola bicicletta. Secondo costui, non vivendo da tempo in quel luogo, non avevo “titolo” per pronunciarmi su questa speculazione. Un modo molto singolare di intendere il giornalismo. Poiché non sono né turco né palestinese, secondo questa logica (si fa per dire), non dovrei dire una parola sul massacro dei curdi e tanto meno su un popolo senza patria e diviso da un muro. Per quel che mi riguarda rivendico il diritto-dovere di dire bene e male della mia terra d’origine, così come di qualsiasi altro luogo. C’è un celebre canto internazionalista che esordisce con questi versi: “Nostra patria è il mondo intero/ nostra legge è la libertà”; dovrebbero sempre tenerli a mente quanti esercitano il nobile e delicato mestiere dello scrivere. La lingua che si parla ti lega alla tua terra, il sentimento della libertà e della giustizia ti lega al mondo intero. Quando scrivo male di ciò che di negativo avviene in un luogo, non lo faccio mai a cuor leggero. Alla base c’è sempre un profondo atto d’amore: perché lo vorremmo tutelato, difeso, custodito, e se non accade ne soffriamo. Quando vedo certi scempi urbanistici perpetrati con disinvoltura ai danni delle nostre splendide città, non posso fare a meno di equipararli ai bombardamenti di guerra del 1943. A livello visivo l’effetto è lo stesso. Questi massacratori del tempo di pace, mi risultano ancora più spregevoli di quelli del tempo di guerra. Non avevano alcuna giustificazione i primi, a bombardare un museo, un teatro, una chiesa; non hanno alcuna giustificazione i secondi a sfregiare, a manomettere, a cancellare memoria. Quanto al mio sentimento per Milano, credo che i versi di “Città mia”, che ho scritto e pubblicati nel 2006, possano bastare: giudicate voi. “Ci fosse un’altra vita dopo questa/ io tornerei da te/ a mescolare la mia terra con la tua/ a impastare vita con la vita/ a farti caldo il cuore./ Ti abbraccerei per implorarti e dirti:/ madre, madre grassa di pianura,/ lascia che il tuo porto sia ospitale/ accoglili e piegati al dolore;/ fraterna sia pietà, pietoso il dono,/ sopporta come madre/ le ferite”.