Con questi nomi né equità, né ambiente. Pochi giorni fa il governo ha
nominato cinque consulenti per fare parte del Nucleo tecnico per il
coordinamento della politica economica presso il Dipartimento di Programmazione
Economica. Ciò che colpisce immediatamente è il contrasto fra la missione del
Pnrr che prevede il più ampio intervento di investimenti pubblici da molti anni
a questa parte e la biografia intellettuale dei nuovi nominati. Tutti quanti
portatori delle più estremistiche tesi in campo neoliberista. Vediamo di chi si tratta. Carlo Stagnaro dirige il think tank di punta del neoliberismo
italiano, ovvero l’Istituto Bruno Leoni, distintosi, per rimanere alle
questioni più recenti per caldeggiare la non applicazione del referendum di
dieci anni fa sull’acqua pubblica; per avere contrastato ogni proposta, anche
la più timida, di adeguare la tassa di successione almeno al livello dei più
avanzati paesi europei; per avere criticato la proposta emersa nel G7 sulla
tassazione delle multinazionali. Riccardo Puglisi non gli è da meno, persino il
calmieramento dei prezzi delle mascherine anti Covid gli è andato di traverso. Francesco
Filippucci nel think tankTortuga riprende e rilancia tutti i mantra del neoliberismo. Infine Carlo
Cambini del Politecnico di Torino e Marco Percoco, un bocconiano sostenitore della
liberalizzazione dei trasporti. Ovviamente siamo di fronte ad una piena
omogeneità di genere e tutti sono operanti al Nord. Non solo, ma alcuni di
questi sottovalutano apertamente i pericoli derivanti dal cambiamento climatico
e l’urgenza di porvi rimedio. Come si può vedere non si tratta solo di sostenitori del
neoliberismo, ma degli aspetti più deteriori del medesimo, di proposte che sono
già state sconfitte dalla realtà dei fatti. Qualcuno potrebbe osservare - come
puntualmente è stato fatto da alcuni commentatori - che Draghi deve pur tenere
conto del parere delle forze che compongono il suo governo, compreso le più
retrive. Ma questa non è una scusante, quanto semmai la conferma che con una simile
composizione il governo è perennemente ricattato sul suo lato destro. Né il
presidente del Consiglio pare volere opporre molta resistenza alle pretese dei
Salvini di turno. Nello stesso tempo altri sottolineano che negli ultimi
provvedimenti assunti per la gestione del Pnrr è evidente la forte
concentrazione di poteri decisionali nelle
mani del Presidente del Consiglio. In una misura inconsueta che spinge alcuni
editorialisti – si pensi a Marco Damilano direttore dell’Espresso – a trovare
conferma di una tendenza strisciante a una modifica di fatto del nostro sistema
istituzionale in una sorta di neo-presidenzialismo di cui l’eventuale elezione
di Draghi a Capo dello Stato sarebbe la ciliegina sulla torta. Da questo punto
di vista il significato di quelle nomine perderebbe di peso ed esse potrebbero
essere considerate solo una tattica di punzecchiamento nei confronti dell’ala
sinistra del governo, quindi al massimo una caduta di stile rispetto al
tradizionale aplomb di Draghi, dal
momento che in ultima analisi le decisioni sarebbero in mano alla sua persona.
Ma anche in questo caso saremmo di fronte ad un’aggravante della questione, non
certo il contrario. Qualche voce autorevole comincia a levarsi contro questa
scelta. 65 economisti italiani che insegnano nelle varie Università del nostro
paese e non solo, diventati in queste ore più di 150, hanno inviato una lettera
aperta a Draghi per contestare le cinque nomine effettuate. Dal Pd la protesta
che si è subito fatta sentire, quella di Beppe Provenzano, è stata invece subito
zittita dal segretario Letta e tutto sembra risolversi nella lagnanza della
mancanza di collegialità su decisioni di questo genere.