L’USO PROPAGANDISTICO DELLA STORIA di
Franco Astengo
Sandro Pertini
Opportunismo
e utilità Nello
spazio di 48 ore proprio in Liguria abbiamo registrato due esempi di uso
propagandistico della storia. A Savona la signora Sindaco intervenendo ad una cerimonia
dedicata a Pertini ha ritenuto di doverne omettere le vicende legate all’antifascismo
e alla Resistenza descrivendo l’ex- Presidente della Repubblica come un
tranquillo avvocato di provincia prestato alla politica; a Varazze un
consigliere regionale (ex-Sindaco) parlando del libro scritto da un esponente
socialista su Matteotti ha pensato bene di dimenticare come la fine della vita
di Matteotti fu dovuta ad un assassinio perpetrato dalle squadracce fasciste. C’è
da riflettere perché sicuramente non siamo davanti a distorsioni dovute da
ignoranza dei fatti. In
realtà stiamo assistendo ad una evoluzione di quel revisionismo storico sorto
fin dagli anni’80 (pensiamo a Nolte) in reazione ad un “uso politico della
Storia” che sicuramente, nel caso delle vicende dell’antifascismo e della
Resistenza in Italia, ha attraversato un lungo periodo del dopoguerra: un “uso
politico della Storia” dovuto e giustificato dalle particolari condizioni di
“bipartitismo imperfetto” che ha contraddistinto il nostro sistema politico,
coinvolgendo anche (e fortemente) l’intero impianto della riflessione
dell’intellettualità italiana, all’epoca per la gran parte impregnata di
storicismo . Anche
lo stesso fondamentale saggio di Claudio Pavone sulla “moralità” della
Resistenza non è stato poi utilizzato nel senso del recupero di un equilibrio
storico-politico nel giudizio complessivo ma usato, al momento del mutamento
del quadro internazionale e del relativo smottamento della “Repubblica dei
partiti” come punto di giustificazione dell’affermarsi di un revisionismo “a
maglie larghe” attraverso le quali non sono passati soltanto i romanzi di Pansa
ma anche - e soprattutto - la logica dei “ragazzi di Salò”. Ci
troviamo ormai ben oltre quella fase storica e stiamo approdando ad un particolare
uso propagandistico della memoria storica: il metodo utilizzato in Liguria nel
corso delle due occasioni citate da parte di esponenti istituzionali
rappresenta un fenomeno che arriva da più lontano e
interessa ormai l’insieme del “modello politico”.
Giacomo Matteotti
Più
o meno da trent’anni, infatti, il “modello politico” italiano ha mutato segno,
da luogo di forte partecipazione politica e sociale a terreno di “esclusione”
per larghe fette di popolazione lasciata, in particolare dalle diverse forme di
comunicazione che avevano accettato la filosofia della "fine della
storia", in balia di una forma continua di propaganda basata sulla paura e
sulla miseria culturale. Questi
fattori hanno fatto cadere la realtà di una cultura politica “forte” che
sbarrava la strada a certi modelli e a determinati meccanismi comportamentali
anche usando, perché no, l’ideologia ma soprattutto proponendo un sistema di
valori non destinato, nella loro espressione, semplicemente alla raccolta
indiscriminata del consenso. L’analisi
dei fatti di cui si sta discutendo deve servire a far riflettere su quando e
come sia stata abbandonata la strada della ricerca storica intesa come elemento
fondativo dell’analisi politica. Le
possibilità di riprendere questo metodo passano attraverso un progetto di vera
e propria riorganizzazione culturale dell’agire politico. La
cultura, anche quella classica degli “studi solidi” di definizione gramsciana
non può essere usata per costruire fittizie “élite” ma come fattore di
pedagogia di massa. Il rapporto tra cultura e politica da realizzarsi
attraverso il passaggio dell’analisi storica deve essere ancora considerato
come il vero e proprio punto di discrimine di fondo nella diversa qualità che
si rinviene nel proporre l’intervento pubblico come risultato del nesso tra
teoria e prassi in luogo dell’improvvisazione retorica destinata all’immediatezza
dell’intreccio perverso tra opportunismo e utilità.