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domenica 18 luglio 2021

LIMITE ETICO E DARWINISMO POLITICO 
di Franco Astengo

 
Nel tumultuoso modificarsi del sistema di relazione tra agire politico e mutamenti sociali imposti dall’evoluzione tecnologica e dal modificarsi del sistema di relazioni sociali, verifichiamo il sorgersi di un interrogativo spesso trascurato: “Come conciliare una  forma di rappresentanza politica tale da rendere effettivamente visibili i cittadini, i loro bisogni con altre forme di democrazia fondate sulla strutturalità di una partecipazione politica non mediata dalla rappresentanza degli interessi sociali?”
Le difficoltà della democrazia liberale derivano per lo più dal ritardo nella capacità di affrontare il tema del conflitto nella particolarità di una inedita espansione dei comportamenti sociali. Da diverse parti, infatti, si è ritenuto che rivolta, ribellione e antagonismo non dovessero più contrapporsi a priori alla rappresentanza politica costruendo un'alternativa, ma lottare per un'altra forma e un'altra sostanza come espressione dei bisogni dei cittadini. In questo modo, nella definizione di una separatezza tra "democrazia rappresentativa" e "democrazia diretta" fin qui si è determinato soltanto l'avvio di un processo di semplice integrazione nei meccanismi del potere.
La crisi della democrazia che stiamo attraversando risulta, inoltre, gravata dal processo di globalizzazione e dalla crescita di un populismo autoritario figlio dell'emergenza sanitaria. Una fase nuova in cui la strumentalizzazione dell'emergenza sanitaria ha accentuato poteri e competenze di governi e regioni stravolgendo i capisaldi del costituzionalismo democratico intesi come la centralità del Parlamento e la riserva di legge ha finito con l'evocare lo spettro di una torsione autoritaria del diritto pubblico. La nostra ricerca deve allora partire dalle classiche categorie delle istituzioni in crisi, rappresentanza parlamentare e partiti politici, ponendo attenzione ai "fatti" di un dato storico di un sistema "europeizzato" e "globalizzato". L'evoluzione e la crisi dei fondamenti ideologici e dei caratteri originari della rappresentanza politica sembrano ormai irreversibilmente egemonizzati dal pensiero "unico" delle teorie (e conseguenti pratiche) ordoliberali e neoliberiste. Questi processi hanno svelato quel senso di alienazione e isolamento del cittadino globalizzato, un fenomeno all'interno del quale spicca quello che è stata definita "proletarizzazione del ceto medio", dal quale deriva la ricerca sulla disintermediazione politica, che si situa all'origine dei movimenti populisti.
È necessario contrastare questa deriva che ha aperto la strada ad un mutamento profondo della forma di governo nel senso di un passaggio verso la subalternità della politica alla tecnica (la cosiddetta “tecnocrazia) con le scelte ristrette ad unica possibilità di acquiescenza ad una sorta di “darwinismo politico”.
Per rendere effettivo questo contrasto occorre porre mano alla costruzione di una rappresentanza possibile per le nuove insorgenze sociali. E’ già stata ricordata la crescita dei livelli di disuguaglianza, in particolare a partire dal tempo intercorso dall’inizio dell’emergenza sanitaria. I punti da analizzare possono essere così riassunti: crescita delle disuguaglianze/ neocolonialismo/ aumento dei punti di confronto bellico/ segnali di vera e propria “lotta di poveri” tra popoli e all’interno dei popoli.
Il punto di partenza potrebbe essere rappresentato da una riflessione attorno al “limite etico” da tracciare rispetto al procedere dell’evoluzione tecnologica. Giustamente, infatti, si comincia a discutere di necessità di “conversione” e non di “transizione” rispetto ai grandi temi dell’ecologia e della digitalizzazione.  Una “conversione” richiede una assunzione di responsabilità “radicale” nell’indicare una adeguata prospettiva politica. Mentre si stanno estendendo i livelli di sfruttamento all’interno di un processo generale di esponenziale crescita delle diseguaglianze, si presenta una “complessità di contraddizioni” altre rispetto a quelle classicamente identificate dallo schema di Rokkan. Nel periodo della prima rivoluzione industriale fu ravvisato qualcosa di simile nell’estensione della democrazia da parte dei nascenti partiti socialisti (diritti sindacali, di organizzazione politica, libertà di stampa, suffragio universale, sistema elettorale proporzionale): nell’immediato futuro prossimo in questo XXI secolo rinvenire la possibilità di tracciare proprio un “limite etico” all’idea di una trasformazione tecnologica verso la quale il genere umano si pone “a servizio” potrebbe rappresentare la stessa “molla teorica” che l’estensione del richiamo sociale della contraddizione capitale/lavoro ebbe nella fase storica appena richiamata. Nel frattempo la difesa dei principi fondamentali di quella che abbiamo definito democrazia liberale con al primo posto il principio della libertà d’espressione può essere individuata come la frontiera della nostra resistenza.
 
 
*(Stralcio della relazione svolta al convegno
“Cultura Politica e Crisi della Democrazia,
organizzato dal gruppo “QDR - “Il rosso non è il nero”,
Savona 16 luglio 2021).