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lunedì 26 luglio 2021

L’OPERA È L’AUTORE
di Luca Marchesini

Gian Lorenzo Bernini
 
Parigi, febbraio 2020. Césars du cinéma. Il premio, come miglior regista, viene assegnato a Roman Polanski per il film J’accuse (titolo italiano: L’ufficiale e la spia). A Polanski: nonostante i suoi trascorsi giudiziari! Un’attrice e una regista, indignate (in quanto donne, cittadine o semplicemente individui non è dato sapere), abbandonano la sala. Seguono trascinanti manifestazioni di piazza, cartelli in cui, con geniale ironia, si deplora che un riconoscimento prestigioso sia stato conferito al miglior violentatore. Contestazioni sacrosante, indignazione sacrosanta! Perché non si può separare l’opera d’arte dall’autore e dai suoi comportamenti. Se proprio una critica si deve muovere a tali proteste è di essere state troppo timide; di non essersi spinte oltre quel caso particolare. Mi permetto quindi di fornire qualche suggerimento volto a ovviare a tale lacuna. Michelangelo Merisi, detto il Caravaggio: una vita turbolenta, aveva anche ammazzato uno. Nonostante questo, i suoi dipinti sono esposti nelle più importanti gallerie. Scandaloso. Propongo di rimuoverli al più presto. Per riempire i vuoti, si potrebbero sempre acquistare, a prezzi modici, certi quadretti che si trovano su qualsiasi bancarella; naturalmente, dopo aver accertato l’integrità morale dell’autore. Emblematico poi il caso di Gian Lorenzo Bernini, che passa per un grande artista, mentre mandò un sicario a sfregiare la sua amante: armiamoci dunque tutti di picconi e dinamite e diamoci da fare contro le sue orribili (perché sue) opere. E che dire della letteratura e della poesia. Solo per citare un esempio: Dante Alighieri, a torto portato in palma di mano (tanto da essere spesso indicato per antonomasia semplicemente come il Poeta), a parte l’accusa, che gli fu rivolta, di peculato (mai provata; però dovrebbe sempre valere il principio di colpevolezza, come per le molestie), fu un sostenitore dell’origine divina dell’autorità imperiale. Al rogo, dunque, la Commedia nonché le altre opere minori, e via ogni suo scritto dalle antologie scolastiche. Dalle quali suggerisco altresì di bandire, insieme con altri poeti maledetti, quel trafficante d’armi di Rimbaud, di cui tutti ricorderemo almeno la poesia Vocali. A tal proposito, onde evitare l’accusa di limitarmi alla facile pars destruens senza proporre dal canto mio alcuna valida alternativa, suggerisco di sostituire, nei testi antologici, il suddetto componimento con un altro, di argomento consimile, uscito dalla mia penna e che propongo qui di seguito ai lettori.
 
Finisce con la a
la gran stupidità
e invece con la e
il piccolo bebè
che fa tanta pipì
(a posto anche la i).
Finisce poi con o
e inizia anche con o
la congiunzione o,
cioè l’alternativa,
del dubbio deprecabile
compagna inseparabile.
Davanti alla u,
io penso alla virtù
(e anche un po’ a Me too).
Venendo ora alle tinte,
la rosa può esser rosa
ovver d’altro color,
bianca o gialla, ma rossa
esprime meglio amor.
Il bruco striscia bruno
non visto da alcuno;
il prato è tutto verde,
il cielo invece è blu
ed il bigio cuculo
sul ramo fa cucù.
 
Mi sembrano versi carini, molto orecchiabili; ma, soprattutto, ed è questo che conta, il loro autore, cioè io, non ha mai ucciso nessuno, non ha mai trafficato armi e, più in generale, ha la fedina penale immacolata. Sono simili circostanze legate all’autore a rendere immortale un’opera d’arte, non certo il nitore formale, la profondità di pensiero che ne emerge, la finezza del sentire e consimili corbellerie!