Parigi,
febbraio 2020. Césars du cinéma. Il
premio, come miglior regista, viene assegnato a Roman Polanski per il film J’accuse (titolo italiano: L’ufficiale e la spia). A Polanski:
nonostante i suoi trascorsi giudiziari! Un’attrice e una regista, indignate (in
quanto donne, cittadine o semplicemente individui non è dato sapere),
abbandonano la sala. Seguono trascinanti manifestazioni di piazza, cartelli in
cui, con geniale ironia, si deplora che un riconoscimento prestigioso sia stato
conferito al miglior violentatore.
Contestazioni sacrosante, indignazione sacrosanta! Perché non si può separare
l’opera d’arte dall’autore e dai suoi comportamenti. Se proprio una critica si
deve muovere a tali proteste è di essere state troppo timide; di non essersi
spinte oltre quel caso particolare. Mi permetto quindi di fornire qualche
suggerimento volto a ovviare a tale lacuna. Michelangelo Merisi, detto il
Caravaggio: una vita turbolenta, aveva anche ammazzato uno. Nonostante questo,
i suoi dipinti sono esposti nelle più importanti gallerie. Scandaloso. Propongo
di rimuoverli al più presto. Per riempire i vuoti, si potrebbero sempre
acquistare, a prezzi modici, certi quadretti che si trovano su qualsiasi
bancarella; naturalmente, dopo aver accertato l’integrità morale dell’autore. Emblematico
poi il caso di Gian Lorenzo Bernini, che passa per un grande artista, mentre
mandò un sicario a sfregiare la sua amante: armiamoci dunque tutti di picconi e
dinamite e diamoci da fare contro le sue orribili (perché sue) opere. E che
dire della letteratura e della poesia. Solo per citare un esempio: Dante
Alighieri, a torto portato in palma di mano (tanto da essere spesso indicato
per antonomasia semplicemente come il
Poeta), a parte l’accusa, che gli fu rivolta, di peculato (mai provata;
però dovrebbe sempre valere il principio di colpevolezza, come per le
molestie), fu un sostenitore dell’origine divina dell’autorità imperiale. Al
rogo, dunque, la Commedia nonché le
altre opere minori, e via ogni suo scritto dalle antologie scolastiche. Dalle
quali suggerisco altresì di bandire, insieme con altri poeti maledetti, quel
trafficante d’armi di Rimbaud, di cui tutti ricorderemo almeno la poesia Vocali. A tal proposito, onde evitare
l’accusa di limitarmi alla facile pars
destruens senza proporre dal canto mio alcuna valida alternativa,
suggerisco di sostituire, nei testi antologici, il suddetto componimento con un
altro, di argomento consimile, uscito dalla mia penna e che propongo qui di
seguito ai lettori. Finisce con la a la gran stupidità e invece con la e il piccolo bebè che fa tanta pipì (a posto anche la i). Finisce poi con o e inizia anche con o la congiunzione o, cioè l’alternativa, del dubbio deprecabile compagna inseparabile. Davanti alla u, io penso alla virtù (e anche un po’ a Me too). Venendo ora alle tinte, la rosa può esser rosa ovver d’altro color, bianca o gialla, ma rossa esprime meglio amor. Il bruco striscia bruno non visto da alcuno; il prato è tutto verde, il cielo invece è blu ed il bigio cuculo sul ramo fa cucù. Mi
sembrano versi carini, molto orecchiabili; ma, soprattutto, ed è questo che
conta, il loro autore, cioè io, non ha mai ucciso nessuno, non ha mai
trafficato armi e, più in generale, ha la fedina penale immacolata. Sono simili
circostanze legate all’autore a rendere immortale un’opera d’arte, non certo il
nitore formale, la profondità di pensiero che ne emerge, la finezza del sentire
e consimili corbellerie!