Previsioni economiche: un rimbalzo jobless. Le dichiarazioni di ieri
mattina del commissario europeo Paolo Gentiloni sono state assunte come un
manifesto dell’ottimismo sulla ripresa economica del nostro paese. In realtà la
sua valutazione su un “rimbalzo” del Pil del 5% a fine anno non sono diverse da
quelle già fornite da Istat e Bankitalia. Si tratta di previsioni superiori a
quelle della media europea, ove si prevede una crescita del 4,8% a fine anno,
mentre sono uguali per il 2022 e peggiori per l’anno successivo. La stima di
Bankitalia per il triennio 2021-23 è fortemente legata al successo del Pnrr, i
cui effetti dovrebbero garantire almeno 2 punti percentuali, ovvero la metà
della crescita prevista. Ma tutto ciò – si avverte prudentemente da palazzo
Koch – se non ci saranno ritardi nell’implementazione dei progetti del Pnrr e
degli investimenti pubblici. E già qui l’ottimismo corre su un terreno assai
più sdrucciolevole viste le nostre debolezze strutturali. Nello stesso tempo è
bene sottolineare come le migliori previsioni si fondano sull’efficacia
dell’intervento pubblico e non tanto sulla sbandierata capacità imprenditoriale
privata, contraddetta dal calo degli investimenti in particolare tra il 2008 e
il 2019. Ma sempre nella giornata di ieri l’Ocse rendeva nota una fotografia
sull’occupazione nel nostro paese dai colori assai più bigi. Se il tasso di
disoccupazione è aumentato dal 9,5% della fine del 2019 al 10,5% nel maggio del
2021, quello giovanile è balzato dal 28,7% al 33,8% rilevato nel gennaio di
quest’anno ed è rimasto su questi valori fino alla primavera. Mentre a livello
Ocse il tasso di disoccupazione giovanile si è attestato nell’aprile 2021 al
15%. Il differenziale è enorme. Contemporaneamente è cresciuto nel nostro paese
il telelavoro, dal 5% al 40% degli occupati. L’Ocse afferma che ciò ha permesso
in parte di contrastare gli effetti negativi della pandemia, ma “ha anche
generato tensioni sul fronte dell’equilibrio fra vita privata e lavorativa” ed
ha aumentato “disparità tra i lavoratori” a detrimento delle qualifiche più
basse. E se le cose non sono andate
peggio, aggiunge l’Ocse, è dovuto all’intervento della Cassa integrazione, che
in futuro andrà usata in modo ancora più estensivo, specialmente “con la
progressiva riduzione del blocco dei licenziamenti a partire dal mese di luglio
2021”. In ogni caso i livelli occupazionali pre-pandemia non saranno raggiunti neppure
alla fine del 2022. Se mettiamo a confronto l’ottimismo sulla ripresa e il
realismo sui livelli occupazionali emerge un quadro temuto, anche se
prevedibile date le premesse, quello di una ripresa (o rimbalzo) jobless, nel quale la riduzione
consistente dell’occupazione viene data per scontata.
Furlan e Sbarra
A questa si aggiunge un
quadro retributivo miserabile. Se ci confrontiamo con altri paesi europei – ce
lo dice lo stesso studio Ambrosetti, quelli di Cernobbio per intenderci – i
salari medi in Germania sono cresciuti del 18,4% tra il 2000 e il 2019, in
Francia del 21,4%, in Italia non si sono quasi mossi (+3,1%). Non stupisce la
crescita delle famiglie in povertà assoluta anche di chi lavora. Del resto, rispondendo
a una domanda di un giornalista, ieri Gentiloni ha affermato di non avere
ancora quantificato nelle previsioni economiche gli effetti dell’avviso sui
licenziamenti, che comunque considera non come la continuazione di un blocco ma
come “parte delle politiche che incoraggiamo a livello europeo di un ritiro
selettivo graduale delle misure di sostegno”. Più o meno il contrario di quanto
sempre ieri ha raccomandato Mathias Cormann, segretario generale Ocse, per il
quale “un ritiro prematuro degli aiuti metterebbe in pericolo la ripresa
economica”. Da questo quadro emerge che le classi dirigenti europee - fra cui
la nostra a pieno titolo, vista anche la presenza di Draghi sulla plancia di
comando – si apprestano a sfruttare la crisi e l’utilizzo delle innovazioni
tecnologiche promosse attraverso il flusso dei finanziamenti europei per una
ristrutturazione organica del sistema produttivo a scapito della componente
lavoro. Più che difficile appare quindi impossibile rilanciare i fasti della
concertazione, che lo stesso Pierre Carniti, che ne era stato propugnatore,
sottopose poi a dura critica visti gli effetti. Ma il nuovo segretario della
Cisl, Luigi Sbarra, in un’intervista al Sole
24Ore si spinge ben oltre,
sostenendo che “capitalee lavoro devono
marciare insieme”; l’avviso sui licenziamenti sarebbe la premessa di un fronte
comune con Confindustria; vanno rimosse le rigidità della legge sulle causali
per le proroghe dei contratti a termine e in somministrazione perché la
contrattazione, particolarmente se decentrata, garantirebbe meglio le richieste
di flessibilità delle aziende, essendo più adattiva “rispetto a qualunque norma
di legge”. Ca va sans dire, con finanziamenti pubblici.