Devo premettere che le 46 tempere
su carta e le tecniche miste che compongono Stagioni (1980 - 1998) e le
30 tempere di Sognando la Liguria (1994 - 1998), i due “quaderni”
pubblicati dalle edizioni de La Vita Felice rispettivamente nel 2021 il primo
(con un testo poetico di Antje Stehn) e nel 2019 il secondo con nota critica di
Paolo Rusconi, io non ho avuto modo di vederle “dal vero”. Le ho viste
riprodotte in questi due quaderni che insieme formano un discreto volume. Tutte
le opere pittoriche, viste dal vero, hanno un altro carattere e un’altra
dinamicità che fatalmente la pagina a stampa appiattisce e altera.
Assolutamente mai i colori di un’opera riprodotta corrispondono a quelli
originali, e assolutamente mai le dimensioni di un quadro e quanto vi è
raffigurato, sono in grado di restituirci le impressioni del dipinto se
ammirato solo su un catalogo. Il contesto fisico, la luce, l’occhio, lo stato
d’animo, la spazialità, sono tutti elementi indispensabili all’approccio.
Trattandosi di lavori in cui il colore gioca un ruolo fondamentale
nell’espressività pittorica di Giancarlo Consonni, si può facilmente immaginare
quanto il rapporto visivo diretto resti irrinunciabile. I titoli delle due
raccolte sono inequivocabili, così come i titoli delle singole opere: “Autunno”,
“Viaggio d’inverno”, “Farfalla”, “Libellule”, “Estate mediterranea”, “Nel
giardino segreto”. E poi “Sul mare”, “Città sul mare”, “Liguria”, “Case”,
“Laigueglia”, “Finale Ligure”, “Piovaschi”.
Titoli come si vede molto concreti, ma non dovete
assolutamente immaginarvi un paesaggio di mare, una libellula o uno scorcio di
Finale Ligure, nella sua più realistica oggettività. Nulla di tutto questo. Ci
troviamo invece davanti a striature di colori, a campiture, a impasti, a forme,
che evocano, suggeriscono, alludono, e che l’artista ha colto nel momento in
cui il suo occhio ha visto, la memoria ha ricordato, il suo stato d’animo ha
aderito a quelle visioni per fermarne con la materia a disposizione le forme.
Insisto su questo concetto di forme, perché come ho scritto in un pensiero di
un trentennio fa e riportato ne: Il lato estremo (2016), “L’artista è
prima di tutto un inventore di forme”.
Se così è, e in questi lavori di
Consonni tutte le sue visioni sono organizzate per forme, quella che i critici
hanno definito “pittura informale”, è una contraddizione logica che stride con
la stessa oggettività. Nemmeno i tagli di Fontana possiamo considerare
informali, dal momento che si rappresentano con una forma; nemmeno il “Quadrato
bianco su fondo bianco” di Malevič, che ha, infatti, la forma del quadrato”;
neppure la tela bianca di Robert Ryman e tanto meno le pennellate istintuali e casuali
di Pollock. E per una semplice evidentissima ragione: l’informale non esiste,
tutto si struttura per forme.
La tavolozza di Consonni è piacevole: a volte
suadente e a volte riposante. Il colore di per sé ha un effetto coinvolgente
sulla retina e da questa entra nei nostri circuiti emozionali e mentali. Il
colore non lascia mai indifferenti; se poi siamo chiamati a uno sforzo di
immaginazione, come sembra invitarci Consonni con le sue forme, e a godere
dell’afflato poetico che da esse si sprigiona, che sia un angolo di giardino,
una folata di vento, o un semplice piovasco, la nostra sensibilità vi aderisce
e non resta indifferente.