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sabato 14 agosto 2021

IL CARTEGGIO SERENI-GIUDICI   
di Federico Migliorati


 

“Ti scrivo solo per ringraziamento e gratitudine:
ti scrivo perché fra i tanti morti ti sento dei pochissimi vivi”
(Da una lettera di Giovanni Giudici a Vittorio Sereni)
 
In tempi di screditamento dei premi letterari (ma non sarà poi, più banalmente e al netto di certe consorterie da abbattere, che i primi a rivendicarne l’inutilità sono soprattutto coloro che non riescono a scalarne le classifiche?), in cui la ricerca del “Grande Romanzo Contemporaneo” latita da sempre e in un Paese, l’Italia, dove tale genere ha faticato ad attecchire come bene scrive il critico Matteo Marchesini in “Casa di carte”, ecco che gli epistolari riescono a ritagliarsi una nicchia di mercato nelle vendite librarie finendo per costituire degli ‘strumenti’ di discussione anche e soprattutto per gli aspetti inediti che sovente portano allo scoperto. Non c’è che dire: il carteggio tra Vittorio Sereni e Giovanni Giudici che la casa editrice Archinto ha licenziato qualche mese fa per la curatela di Laura Massari e con una postfazione di Edoardo Esposito si fa apprezzare per la vivacità del confronto intellettuale che emerge tra due dei calibri da novanta della letteratura del Secondo Novecento. L’opera comprende 48 missive (25 sono quelle sereniane, 23 a firma di Giudici), un numero relativamente ridotto rispetto ad altre, ma non per questo meno densa di contenuti, riflessioni e note a margine, una congerie variegata insomma che dà modo di tratteggiare con una certa nitidezza il fluire culturale del tempo. Su Sereni ormai da una decina d’anni stanno uscendo a getto continuo diversi epistolari (uno, quello curato dal sottoscritto e con interlocutore Roberto Pazzi, lo vede anche nel ruolo di scopritore di talenti), i quali rendono giustizia di un poeta schivo e riservato, di notevole intensità seppur poco prolifico soprattutto per la mole di lavoro che dovette gestire da direttore editoriale della Mondadori per quasi 5 lustri, come più volte egli ricorda in svariate occasioni. Il lasso di tempo ricompreso nel lavoro di Massari è piuttosto ampio ed è quello che va dal 1955 al 1982: siamo, dunque, tra gli estremi temporali che partono con l’ascesa di Sereni, dal 1952 direttore dell’ufficio propaganda della Pirelli dopo l’abbandono del ruolo di docente nelle scuole superiori a cui, in un’intervista rilasciata in quegli anni, credeva di attendere per tutta la vita e mentre si profila all’orizzonte (1958) il prestigioso incarico mondadoriano, e le prime importanti esperienze nel mondo dei versi per quello che Ferroni ebbe a definire in un saggio apparso qualche tempo fa, “l’ultimo poeta” assieme a Zanzotto, quel Giudici che operò inizialmente quale impiegato presso la Olivetti a Ivrea. La fase conclusiva della corrispondenza risale ai mesi immediatamente precedenti l’improvvisa morte di Sereni quando ormai il ligure ha acquisito una stabile notorietà e presenza anche come fine traduttore. L’amicizia che vieppiù lega i due a mano a mano che le missive si infittiscono li porta a passare dal più deferente “lei” al “tu” colloquiale che non fa però velo a una stima e a una cortesia che si manterranno sempre anche quando, sul finire del loro rapporto, i legami tendono inevitabilmente a farsi meno intensi. Più anziano del collega di 11 anni, Sereni ha modo di assistere all’ardimentosa crescita non nascondendo riserve e dubbi che si rinvengono qua e là su scelte di versi, idee editoriali, approfondimenti di autori. 


Sereni alla Fondazione Corrente

Prodigo di suggerimenti e consigli, anche ad onta di un lavoro ‘ingombrante’ come quello che rivestiva e che gli toglieva tempo prezioso anche per produrre poesia, il luinese si mostra interessato ai progressi di questo giovane, ma arrembante autore. L’urgenza di emergere in Giudici riceve un accoglimento che si nutra anche di una speculare attenzione del più giovane poeta verso i testi del maggiore in un vicendevole lavoro di scavo sulle rispettive opere. Il carteggio consente anche di inquadrare con una certa precisione l’ideologia culturale dei due intellettuali con riferimento precipuamente al ruolo da essi attribuito alla poesia nella società del tempo: se per Sereni essa non ha, non può avere una funzione storico-politica né vi si può ricorrere come strumento di cambiamento, ma semmai per produrre esclusivamente un qualche sommovimento nella vita emotiva del lettore in Giudici è l’esatto contrario poiché il poeta è anche un promotore di novità e, pertanto, in grado con la sua scrittura di modificare le cose, di incistare la storia. In diverse lettere questa divergenza di vedute ch’è anche uno speculare contrasto di fini è bene evidenziato e corredato dalle note della curatrice che focalizzano ulteriormente con rimandi, incisi, richiami il vasto complesso di rapporti che i due intessono con gli altri letterati dando così modo di disporre di uno spettro ampio di relazioni e di movimenti culturali. Hanno invece una comune opinione Sereni e Giudici circa quel fenomeno costituito dalla Neoavanguardia, nato al principiare degli anni Sessanta, verso la quale le critiche non mancano come appare più che evidente nell’epistolario. Se Milano è il centro fecondo dell’agire di entrambi, come risulta anche dalle intestazioni delle lettere, fa capolino qua e là anche la piccola, rinomata Bocca di Magra, il “posto di vacanza” per citare il titolo di un ampio poema sereniano confluito nella quarta e ultima sua raccolta, ove il luinese fin dal 1951 si ritirava per riposare o per attendere, con un poco più di tranquillità, agli altri e numerosi impegni che lo pressavano. Ma le curiosità che aggettano sull’opera sono numerose e forniscono la cifra di un tempo particolarmente effervescente nell’ambito culturale nel quale pure già si intravedono certe dinamiche economiche che finivano sovente per prevalere rispetto alle scelte più squisitamente editoriali e culturali. L’epistolario rappresenta, in ultima analisi, uno spaccato sincero tra due gentiluomini della letteratura, appassionati, colti e sensibili interpreti di “versi che restano sempre in noi”.