IL CARTEGGIO SERENI-GIUDICI di
Federico Migliorati
“Ti
scrivo solo per ringraziamento e gratitudine: ti
scrivo perché fra i tanti morti ti sento dei pochissimi vivi” (Da una lettera di Giovanni
Giudici a Vittorio Sereni) In
tempi di screditamento dei premi letterari (ma non sarà poi, più banalmente e
al netto di certe consorterie da abbattere, che i primi a rivendicarne
l’inutilità sono soprattutto coloro che non riescono a scalarne le classifiche?),
in cui la ricerca del “Grande Romanzo Contemporaneo” latita da sempre e in un
Paese, l’Italia, dove tale genere ha faticato ad attecchire come bene scrive il
critico Matteo Marchesini in “Casa di carte”, ecco che gli epistolari riescono
a ritagliarsi una nicchia di mercato nelle vendite librarie finendo per
costituire degli ‘strumenti’ di discussione anche e soprattutto per gli aspetti
inediti che sovente portano allo scoperto. Non c’è che dire: il carteggio tra
Vittorio Sereni e Giovanni Giudici che la casa editrice Archinto ha licenziato
qualche mese fa per la curatela di Laura Massari e con una postfazione di Edoardo
Esposito si fa apprezzare per la vivacità del confronto intellettuale che
emerge tra due dei calibri da novanta della letteratura del Secondo Novecento. L’opera
comprende 48 missive (25 sono quelle sereniane, 23 a firma di Giudici), un
numero relativamente ridotto rispetto ad altre, ma non per questo meno densa di
contenuti, riflessioni e note a margine, una congerie variegata insomma che dà
modo di tratteggiare con una certa nitidezza il fluire culturale del tempo. Su
Sereni ormai da una decina d’anni stanno uscendo a getto continuo diversi
epistolari (uno, quello curato dal sottoscritto e con interlocutore Roberto
Pazzi, lo vede anche nel ruolo di scopritore di talenti), i quali rendono
giustizia di un poeta schivo e riservato, di notevole intensità seppur poco
prolifico soprattutto per la mole di lavoro che dovette gestire da direttore
editoriale della Mondadori per quasi 5 lustri, come più volte egli ricorda in
svariate occasioni. Il lasso di tempo ricompreso nel lavoro di Massari è piuttosto
ampio ed è quello che va dal 1955 al 1982: siamo, dunque, tra gli estremi
temporali che partono con l’ascesa di Sereni, dal 1952 direttore dell’ufficio
propaganda della Pirelli dopo l’abbandono del ruolo di docente nelle scuole
superiori a cui, in un’intervista rilasciata in quegli anni, credeva di
attendere per tutta la vita e mentre si profila all’orizzonte (1958) il
prestigioso incarico mondadoriano, e le prime importanti esperienze nel mondo
dei versi per quello che Ferroni ebbe a definire in un saggio apparso qualche
tempo fa, “l’ultimo poeta” assieme a Zanzotto, quel Giudici che operò inizialmente
quale impiegato presso la Olivetti a Ivrea. La fase conclusiva della
corrispondenza risale ai mesi immediatamente precedenti l’improvvisa morte di
Sereni quando ormai il ligure ha acquisito una stabile notorietà e presenza
anche come fine traduttore. L’amicizia che vieppiù lega i due a mano a mano che
le missive si infittiscono li porta a passare dal più deferente “lei” al “tu”
colloquiale che non fa però velo a una stima e a una cortesia che si
manterranno sempre anche quando, sul finire del loro rapporto, i legami tendono
inevitabilmente a farsi meno intensi. Più anziano del collega di 11 anni, Sereni
ha modo di assistere all’ardimentosa crescita non nascondendo riserve e dubbi che
si rinvengono qua e là su scelte di versi, idee editoriali, approfondimenti di
autori.
Sereni alla Fondazione Corrente
Prodigo di suggerimenti e consigli, anche ad onta di un lavoro
‘ingombrante’ come quello che rivestiva e che gli toglieva tempo prezioso anche
per produrre poesia, il luinese si mostra interessato ai progressi di questo
giovane, ma arrembante autore. L’urgenza di emergere in Giudici riceve un
accoglimento che si nutra anche di una speculare attenzione del più giovane poeta
verso i testi del maggiore in un vicendevole lavoro di scavo sulle rispettive
opere. Il carteggio consente anche di inquadrare con una certa precisione
l’ideologia culturale dei due intellettuali con riferimento precipuamente al
ruolo da essi attribuito alla poesia nella società del tempo: se per Sereni essa
non ha, non può avere una funzione storico-politica né vi si può ricorrere come
strumento di cambiamento, ma semmai per produrre esclusivamente un qualche
sommovimento nella vita emotiva del lettore in Giudici è l’esatto contrario
poiché il poeta è anche un promotore di novità e, pertanto, in grado con la sua scrittura di modificare le
cose, di incistare la storia. In diverse lettere questa divergenza di vedute
ch’è anche uno speculare contrasto di fini è bene evidenziato e corredato dalle
note della curatrice che focalizzano ulteriormente con rimandi, incisi,
richiami il vasto complesso di rapporti che i due intessono con gli altri
letterati dando così modo di disporre di uno spettro ampio di relazioni e di
movimenti culturali. Hanno invece una comune opinione Sereni e Giudici circa
quel fenomeno costituito dalla Neoavanguardia, nato al principiare degli anni
Sessanta, verso la quale le critiche non mancano come appare più che evidente
nell’epistolario. Se Milano è il centro fecondo dell’agire di entrambi, come
risulta anche dalle intestazioni delle lettere, fa capolino qua e là anche la
piccola, rinomata Bocca di Magra, il “posto di vacanza” per citare il titolo di
un ampio poema sereniano confluito nella quarta e ultima sua raccolta, ove il
luinese fin dal 1951 si ritirava per riposare o per attendere, con un poco più
di tranquillità, agli altri e numerosi impegni che lo pressavano. Ma le
curiosità che aggettano sull’opera sono numerose e forniscono la cifra di un
tempo particolarmente effervescente nell’ambito culturale nel quale pure già si
intravedono certe dinamiche economiche che finivano sovente per prevalere
rispetto alle scelte più squisitamente editoriali e culturali. L’epistolario
rappresenta, in ultima analisi, uno spaccato sincero tra due gentiluomini della
letteratura, appassionati, colti e sensibili interpreti di “versi che restano
sempre in noi”.