Tutto non è iniziato nel 2001, come si
vorrebbe far credere bensì molto prima. Un bell’articolo di Giorgio Riolo di
qualche anno fa, su “Tutti i colori del rosso”, mi ha
riportato alla memoria, in questi drammatici giorni, la guerra russo-afgana e
la pessima informazione (nel migliore dei casi assai carente e parziale),
fornita dai media dell’epoca; che si soffermava soltanto sull’invasione
sovietica. Ho cercato di approfondire gli accadimenti e ho scoperto un
intricato complesso di vicende tragiche. Eventi esemplari che si sono
tragicamente ripetuti e le cui conseguenze nefaste continuano ancora oggi a
produrre distruzione e morte. La storia si ripete spesso come farsa ma, con
altrettanta frequenza, come insensato e protervo accanimento. Al termine del conflitto anglo/afghano, nel 1919, il
paese conquista l’indipendenza e promuove riforme e cambiamenti. Tuttavia,
inglesi e americani mantengono la loro influenza economica, permettendo, nel
’29, l’insediamento della dinastia Nadir Barakzai che impone la monarchia.Nel 1973, al re Zahir Shah succede il governo
autarchico e moderato del cugino Muhammad Daoud, - espressione della grande
proprietà terriera, del clero e delle classi tradizionaliste e benestanti - che
conquista il potere con un colpo di stato sostenuto dagli USA e con il consenso
dell’Unione Sovietica di Breznev. Il governo promuove riforme e innovazioni, ma
subisce gradualmente un’involuzione autoritaria. Si formano movimenti di
protesta e dissenso che Daoud reprime violentemente; sono uccisi e incarcerati
molti oppositori ed esponenti del Partito Democratico Popolare dell’Afganistan
(PDPA). Finalmente, il regime viene rovesciato il 27 aprile 1978, in seguito
alla Rivoluzione d’Aprile (Saur).Viene
eletto il nuovo governo d’ispirazione socialista di Muhammad Taraki (segretario
del PDPA) che promuove una serie di riforme sostanziali: quella agraria con la
distribuzione della terra ai contadini, l’istruzione obbligatoria e
l’assistenza sanitaria per tutti, introduce la libertà di religione e
l'uguaglianza fra i sessi, alle donne dà il diritto di voto e promulga il
divieto dei matrimoni combinati, promuove, infine, la laicizzazione della
società civile. Naturalmente queste riforme radicali provocano l’opposizione
del clero islamico e delle gerarchie tribali musulmane suscitando violente
proteste che danno origine alla reazione armata dei mujaheddin (talebani
integralisti islamici), immediatamente sostenuta dagli Stati Uniti. Secondo i
quali la Rivoluzione di Primavera sarebbe stata “sponsorizzata dall’Unione
Sovietica”. In un discorso del 9 aprile 1979 Taraki smentisce decisamente la
tesi americana: “Nella Rivoluzione di
Aprile non sono state coinvolte forze esterne. L’Afghanistan non importa né
esporta la rivoluzione… Ha intrapreso un nuovo corso, quello di costruire una
società libera dallo sfruttamento dell’uomo sull’uomo”.Ad avallare l’affermazione di Taraki è, tra gli
altri, proprio il magazine Time, il
28 gennaio 1980:“Il colpo di stato marxista con cui Muhammad Taraki ha rovesciato Daoud
nell’aprile 1978 ha sorpreso tanto i sovietici quanto gli americani. Lo
spionaggio occidentale non è riuscito a trovare segni di un intervento russo
sulla scena della ‘Rivoluzione di Aprile’.”A
corollario di tale asserzione, ilNew York Timese ilWashington
Post, sono costretti ad ammettere che il nuovo governo è sostenuto
dalla maggioranza degli afgani, e che
"la lealtà degli afgani verso il governo è fuor di dubbio.”La lealtà e il gradimento evidenti nei confronti
del governo (e delle sue riforme) da grandissima parte del popolo afgano
preoccupa molto gli americani per le inevitabili ripercussioni sull’intero
Medio Oriente. La CIA si mobilita e organizza una formidabile operazione contro
la Rivoluzione Afgana, sotto il nome di “Jihad
Islamica”. La guerra contro “gli infedeli” è promossa con entusiasmo da
Zbigniew Brzezinski, consigliere del presidente Carter, nell’autunno del 1978.
È l’ineffabile consigliere polacco a reclutare Osama Bin Laden per questa “guerra
santa”; esultando, pare, assieme ai fondamentalisti al grido: “Allah-o-Akbar”.Ecco una
testimonianza sul clima del momento, raccolta dal giornalista australiano John
Pilger, nel suo libro “I nuovi padroni del mondo”, (Fandango
Libri, Roma 2002, p. 143).“Ogni ragazza
poteva andare alle scuole superiori e all'università. Potevamo andare dove
volevamo e vestirci come ci pareva... Potevamo frequentare i caffè, e il
venerdì andavamo al cinema a vedere gli ultimi film indiani e ascoltare gli
ultimi successi della musica hindi... Tutto è cominciato ad andare storto
quando i mujaheddin hanno iniziato a vincere... Uccidevano gli insegnanti e
bruciavano le scuole... Eravamo terrorizzate. Era comico e nel contempo triste
pensare che quelle erano le persone che erano state sostenute dall'Occidente.”
Nel settembre del 1979 Taraki
viene assassinato. L’acuirsi di contrasti nel PDPA tra le numerose fazioni
interne, da un lato; la guerriglia dei mujaheddin, l’opposizione sempre più dura da parte del clero islamico e dalle
classi sociali penalizzate dalle riforme, dall’altro, producono incertezza e
instabilità. Il 24 dicembre 1979, il governo di Kabul richiede il sostegno
dell’Unione Sovietica. Quest’aiuto, limitato all’inizio all’invio di
addestratori, servizi e consulenti militari, si trasforma in breve, con un
tragico errore di valutazione geopolitica, in una brutale occupazione
militare. Qui inizia l’arruolamento dei mujaheddin, fondato su manuali operativi
forniti dalla CIA. Molti giovani vengono convinti, da abili reclutatori,che Allah li chiami personalmente a combattere
contro l’infedele "invasore" russo, pagandoli con pochi soldi ma
premiandoli con il paradiso. In tal modo, con vaghe promesse e illusioni, sono
addestrati e arruolati migliaia di combattenti per la “jihad americana”. A tal proposito, è illuminante quello che scrive
il Washington Post del 23 marzo 2002: “Questi manuali zeppi di
riferimenti alla Jihad e di immagini di fucili, proiettili, soldati e mine sono
alla base del programma scolastico nazionale. Anche i talebani hanno usato i
libri pubblicati con i soldi americani (...). (libri che) hanno fomentato la
violenza in un'intera generazione.” Interessante, nel contesto, è
questa intervista di Zbigniew Brzezinsky a Le Nouvel Observateur, 15
gennaio 1998: “Secondo la versione
ufficiale della faccenda, gli aiuti ai mujaheddin da parte della Cia sono
cominciati durante il 1980, ovvero, dopo che l'armata rossa aveva cominciato
l'invasione dell'Afghanistan (…) La realtà, rimasta fino ad oggi strettamente
celata, è completamente diversa: è stato il 3 luglio 1979 che il presidente
Carter ha firmato la prima direttiva per aiutare segretamente gli oppositori
del regime filo sovietico di Kabul.Quello
stesso giorno ho scritto una nota al presidente nella quale si spiegava che a
mio parere quell'aiuto avrebbe determinato un intervento armato dell'unione
sovietica in Afghanistan.(...) Non
abbiamo spinto i russi ad intervenire, ma abbiamo consapevolmente aumentato le
probabilità di un loro intervento (...) La guerra contro la Russia non viene
presentata al popolo afgano e ai volontari stranieri (che d'ora in poi
chiameremo arabi-afgani) come una guerra pro-America, ma come una jihad
islamica contro gli infedeli comunisti. I pochi ufficiali, che in realtà erano
a conoscenza del vero ruolo americano, lo hanno silenziosamente accettato, pur
di abbattere l'allora principale nemico russo.”Nel 1986 viene nominato presidente Najidbullah che si ripromette una
sorta di riconciliazione nazionale
tra i Talebani e il governo, tale da permettere una transizione pacifica a un
regime di stampo democratico. Dopo la
ritirata dell’esercito sovietico, nel 1989, le ambasciate occidentali
abbandonano (inspiegabilmente?) Kabul, lasciando campo libero ai mujaheddin che, spalleggiati dai Pasthun dell’Isi (Inter-Services Intelligence)
pakistano, con accordo Usa e finanziamento saudita, continuano la lotta. Nel
1992, i Talebani conquistano Kabul, giustiziano
Najidbullah, soffocano il paese in un collettivo bagno di sangue.
Dal
2000, ma, soprattutto, dopo l’attentato dell’11 settembre 2001 alle torri
gemelle, i talebani diventano “terroristi” e principali nemici degli USA; -
strano pretesto per l’invasione di Afganistan e Iraq, visto che i colpevoli
sono sauditi e Bin Laden sarà rintracciato e ucciso in Pakistan -. In realtà,
già da tempo l’occupazione dell’Afghanistan figurava ai primi posti nei disegni
di strategia geopolitica statunitense in vista di un riavvicinamento tra Russia
e Cina. Inoltre, un altro motivo dell’intervento e dell’occupazione militare
americana nel 2001, stava nella volontà di realizzare il gasdotto trans-afgano
battendo sul tempo il concorrente Turkish Stream che avrebbe dovuto
portare il gas russo in Europa. Tuttavia, nonostante questo nuovo nemico
iscritto all’“asse del male” (i mujaheddin e
Bin Laden, che li finanziava mentre la
famiglia trafficava con i petrolieri Bush),grosse
multinazionali americane (e non solo) hanno continuato a far affari con loro.
Secondo lo storico americano Alfred Mc Coy (1), la CIA, durante l’intervento
sovietico, stabilisce vari contatti con i narcotrafficanti afgani fornendo armi
(i famosi missili Stinger) finanziamenti e protezione politica a sostegno della
lotta dei talebani contro i russi, in cambio del controllo occulto del traffico
di droga nel Sud Est asiatico.
Oggi,
dopo vent’anni di governi
caratterizzati da corruzione e dipendenza dagli
aiuti occidentali, dominati dai Signori
della guerra sempre più ricchi, sostenuti militarmente dalla coalizione dei
paesi Nato (con Europa e Italia accodate supinamente agli USA), assistiamo al
fallimento di una gestione che ha prodotto un paese sempre sull’orlo del caos e
in un continuo stato di belligeranza. In
questi vent’anni l’assistenza occidentale - attraverso vari e lodevoli
tentativi di modernizzazione e di progresso sul piano dei diritti umani e
civili (soprattutto per merito di ONG, e altre organizzazioni) -, è stata
realizzata in modo frammentario e incoerente, ignorando spesso la cultura, i
costumi e le tradizioni del paese, tanto da ottenere risultati insignificanti. Tra questi
spicca il fallimento di un’operazione antidroga il cui risultato è che, oggi,
la superficie coltivata a oppio è quadruplicata. Inoltre, questi faticosi benefici hanno riguardato una
minoranza del Paese (in particolare nei centri urbani), senza ottenere il
consenso delle classi escluse dal circuito degli affari e della corruzione; né
ha coinvolto la popolazione rurale, da sempre arretrata e succube d’una
tradizione islamico-integralista. In conclusione, la
“democrazia” afgana e il suo “potente esercito” (così, fino a ieri sostenevano
Biden in TV e i suoi informatori) si sono squagliati di fronte alla prima seria
offensiva talebana. Mentre è recentissima nuova che gli USA non hanno mai “avuto come scopo la costruzione di una nazione… di una democrazia
unificata e centralizzata” (Biden, 16 agosto 2021) invadendo l’Afghanistan e Iraq: si trattava solo di una loro
privata caccia al terrorista (trovato in Pakistan!). Come non ricordare anche
Tony Blair che, nel 2015, chiese pubblicamente scusa, ammettendo candidamente
che “la guerra in Iraq non aveva alcuna
giustificazione”. Una divertente frase del musicista Frank Zappa forse
spiega molte cose: “la politica in Usa è la sezione di intrattenimento dell'apparato
militare-industriale”. Grottesco ed
esilarante, se non fosse tragico! Sarebbe opportuno, a
questo punto, ricordare le parole di Gino Strada, quando sosteneva che la cosiddetta
“democrazia” non si esporta con le cannonate e i bombardamenti - con cui si
fanno affari - e che, in 18
anni di presenza militare in Afghanistan, gli USA hanno sborsato 2500 miliardi
di dollari (New York Times): «Le grandi industrie di armi ringraziano
(...) Se quel fiume di denaro fosse andato all’Afghanistan, adesso il Paese
sarebbe una grande Svizzera».
Note
1)Alfred McCoy, “Cascate
di droga. I quarant’anni di complicità della CIA con il narcotraffico”, The progressive, 1° agosto 1997. Gran parte di questo testo e
le citazioni sono state tratte da: “La distruzione dell’Afganistan” di Antonella Randazzo per
www.disinformazione.it, 19 marzo 2007. Intervista a Enrico Calamai (Roma, 1945), diplomatico italiano nominato
ambasciatore a Kabul nel 1987 – Il Manifesto. E articoli di:
Alberto Negri, “Da tempo l’Occidente è amico dei peggiori talebani al
mondo”, Il Manifesto. Manlio Dinucci, “Nessuna lezione dalla catastrofe
afgana”, Il Manifesto.