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martedì 7 settembre 2021

L’INFINITA TRAGEDIA AFGANA
di Claudio Zanini

 
Tutto non è iniziato nel 2001, come si vorrebbe far credere bensì molto prima. Un bell’articolo di Giorgio Riolo di qualche anno fa, suTutti i colori del rosso”, mi ha riportato alla memoria, in questi drammatici giorni, la guerra russo-afgana e la pessima informazione (nel migliore dei casi assai carente e parziale), fornita dai media dell’epoca; che si soffermava soltanto sull’invasione sovietica. Ho cercato di approfondire gli accadimenti e ho scoperto un intricato complesso di vicende tragiche. Eventi esemplari che si sono tragicamente ripetuti e le cui conseguenze nefaste continuano ancora oggi a produrre distruzione e morte. La storia si ripete spesso come farsa ma, con altrettanta frequenza, come insensato e protervo accanimento. Al termine del conflitto anglo/afghano, nel 1919, il paese conquista l’indipendenza e promuove riforme e cambiamenti. Tuttavia, inglesi e americani mantengono la loro influenza economica, permettendo, nel ’29, l’insediamento della dinastia Nadir Barakzai che impone la monarchia. Nel 1973, al re Zahir Shah succede il governo autarchico e moderato del cugino Muhammad Daoud, - espressione della grande proprietà terriera, del clero e delle classi tradizionaliste e benestanti - che conquista il potere con un colpo di stato sostenuto dagli USA e con il consenso dell’Unione Sovietica di Breznev. Il governo promuove riforme e innovazioni, ma subisce gradualmente un’involuzione autoritaria. Si formano movimenti di protesta e dissenso che Daoud reprime violentemente; sono uccisi e incarcerati molti oppositori ed esponenti del Partito Democratico Popolare dell’Afganistan (PDPA). Finalmente, il regime viene rovesciato il 27 aprile 1978, in seguito alla Rivoluzione d’Aprile (Saur). Viene eletto il nuovo governo d’ispirazione socialista di Muhammad Taraki (segretario del PDPA) che promuove una serie di riforme sostanziali: quella agraria con la distribuzione della terra ai contadini, l’istruzione obbligatoria e l’assistenza sanitaria per tutti, introduce la libertà di religione e l'uguaglianza fra i sessi, alle donne dà il diritto di voto e promulga il divieto dei matrimoni combinati, promuove, infine, la laicizzazione della società civile. Naturalmente queste riforme radicali provocano l’opposizione del clero islamico e delle gerarchie tribali musulmane suscitando violente proteste che danno origine alla reazione armata dei mujaheddin (talebani integralisti islamici), immediatamente sostenuta dagli Stati Uniti. Secondo i quali la Rivoluzione di Primavera sarebbe stata “sponsorizzata dall’Unione Sovietica”. In un discorso del 9 aprile 1979 Taraki smentisce decisamente la tesi americana: “Nella Rivoluzione di Aprile non sono state coinvolte forze esterne. L’Afghanistan non importa né esporta la rivoluzione… Ha intrapreso un nuovo corso, quello di costruire una società libera dallo sfruttamento dell’uomo sull’uomo”. Ad avallare l’affermazione di Taraki è, tra gli altri, proprio il magazine Time, il 28 gennaio 1980: “Il colpo di stato marxista con cui Muhammad Taraki ha rovesciato Daoud nell’aprile 1978 ha sorpreso tanto i sovietici quanto gli americani. Lo spionaggio occidentale non è riuscito a trovare segni di un intervento russo sulla scena della ‘Rivoluzione di Aprile’.” A corollario di tale asserzione, il New York Times e il Washington Post, sono costretti ad ammettere che il nuovo governo è sostenuto dalla maggioranza degli afgani, e che "la lealtà degli afgani verso il governo è fuor di dubbio.” La lealtà e il gradimento evidenti nei confronti del governo (e delle sue riforme) da grandissima parte del popolo afgano preoccupa molto gli americani per le inevitabili ripercussioni sull’intero Medio Oriente. La CIA si mobilita e organizza una formidabile operazione contro la Rivoluzione Afgana, sotto il nome di “Jihad Islamica”. La guerra contro “gli infedeli” è promossa con entusiasmo da Zbigniew Brzezinski, consigliere del presidente Carter, nell’autunno del 1978. È l’ineffabile consigliere polacco a reclutare Osama Bin Laden per questa “guerra santa”; esultando, pare, assieme ai fondamentalisti al grido: “Allah-o-Akbar”. Ecco una testimonianza sul clima del momento, raccolta dal giornalista australiano John Pilger, nel suo libro “I nuovi padroni del mondo”, (Fandango Libri, Roma 2002, p. 143). “Ogni ragazza poteva andare alle scuole superiori e all'università. Potevamo andare dove volevamo e vestirci come ci pareva... Potevamo frequentare i caffè, e il venerdì andavamo al cinema a vedere gli ultimi film indiani e ascoltare gli ultimi successi della musica hindi... Tutto è cominciato ad andare storto quando i mujaheddin hanno iniziato a vincere... Uccidevano gli insegnanti e bruciavano le scuole... Eravamo terrorizzate. Era comico e nel contempo triste pensare che quelle erano le persone che erano state sostenute dall'Occidente.
 

Nel settembre del 1979 Taraki viene assassinato. L’acuirsi di contrasti nel PDPA tra le numerose fazioni interne, da un lato; la guerriglia dei mujaheddin, l’opposizione sempre più dura da parte del clero islamico e dalle classi sociali penalizzate dalle riforme, dall’altro, producono incertezza e instabilità. Il 24 dicembre 1979, il governo di Kabul richiede il sostegno dell’Unione Sovietica. Quest’aiuto, limitato all’inizio all’invio di addestratori, servizi e consulenti militari, si trasforma in breve, con un tragico errore di valutazione geopolitica, in una brutale occupazione militare. 
Qui inizia l’arruolamento dei mujaheddin, fondato su manuali operativi forniti dalla CIA. Molti giovani vengono convinti, da abili reclutatori, che Allah li chiami personalmente a combattere contro l’infedele "invasore" russo, pagandoli con pochi soldi ma premiandoli con il paradiso. In tal modo, con vaghe promesse e illusioni, sono addestrati e arruolati migliaia di combattenti per la “jihad americana”. A tal proposito, è illuminante quello che scrive il Washington Post del 23 marzo 2002: “Questi manuali zeppi di riferimenti alla Jihad e di immagini di fucili, proiettili, soldati e mine sono alla base del programma scolastico nazionale. Anche i talebani hanno usato i libri pubblicati con i soldi americani (...). (libri che) hanno fomentato la violenza in un'intera generazione.”
Interessante, nel contesto, è questa intervista di Zbigniew Brzezinsky a Le Nouvel Observateur, 15 gennaio 1998:Secondo la versione ufficiale della faccenda, gli aiuti ai mujaheddin da parte della Cia sono cominciati durante il 1980, ovvero, dopo che l'armata rossa aveva cominciato l'invasione dell'Afghanistan (…) La realtà, rimasta fino ad oggi strettamente celata, è completamente diversa: è stato il 3 luglio 1979 che il presidente Carter ha firmato la prima direttiva per aiutare segretamente gli oppositori del regime filo sovietico di Kabul. Quello stesso giorno ho scritto una nota al presidente nella quale si spiegava che a mio parere quell'aiuto avrebbe determinato un intervento armato dell'unione sovietica in Afghanistan. (...) Non abbiamo spinto i russi ad intervenire, ma abbiamo consapevolmente aumentato le probabilità di un loro intervento (...) La guerra contro la Russia non viene presentata al popolo afgano e ai volontari stranieri (che d'ora in poi chiameremo arabi-afgani) come una guerra pro-America, ma come una jihad islamica contro gli infedeli comunisti. I pochi ufficiali, che in realtà erano a conoscenza del vero ruolo americano, lo hanno silenziosamente accettato, pur di abbattere l'allora principale nemico russo.” Nel 1986 viene nominato presidente Najidbullah che si ripromette una sorta di riconciliazione nazionale tra i Talebani e il governo, tale da permettere una transizione pacifica a un regime di stampo democratico. Dopo la ritirata dell’esercito sovietico, nel 1989, le ambasciate occidentali abbandonano (inspiegabilmente?) Kabul, lasciando campo libero ai mujaheddin che, spalleggiati dai Pasthun dell’Isi (Inter-Services Intelligence) pakistano, con accordo Usa e finanziamento saudita, continuano la lotta. Nel 1992, i Talebani conquistano Kabul, giustiziano Najidbullah, soffocano il paese in un collettivo bagno di sangue.
 
 
Dal 2000, ma, soprattutto, dopo l’attentato dell’11 settembre 2001 alle torri gemelle, i talebani diventano “terroristi” e principali nemici degli USA; - strano pretesto per l’invasione di Afganistan e Iraq, visto che i colpevoli sono sauditi e Bin Laden sarà rintracciato e ucciso in Pakistan -. In realtà, già da tempo l’occupazione dell’Afghanistan figurava ai primi posti nei disegni di strategia geopolitica statunitense in vista di un riavvicinamento tra Russia e Cina. Inoltre, un altro motivo dell’intervento e dell’occupazione militare americana nel 2001, stava nella volontà di realizzare il gasdotto trans-afgano battendo sul tempo il concorrente Turkish Stream che avrebbe dovuto portare il gas russo in Europa. Tuttavia, nonostante questo nuovo nemico iscritto all’“asse del male” (i mujaheddin e Bin Laden, che li finanziava mentre la famiglia trafficava con i petrolieri Bush), grosse multinazionali americane (e non solo) hanno continuato a far affari con loro. Secondo lo storico americano Alfred Mc Coy (1), la CIA, durante l’intervento sovietico, stabilisce vari contatti con i narcotrafficanti afgani fornendo armi (i famosi missili Stinger) finanziamenti e protezione politica a sostegno della lotta dei talebani contro i russi, in cambio del controllo occulto del traffico di droga nel Sud Est asiatico.
 

Oggi, dopo vent’anni di governi caratterizzati da corruzione e dipendenza dagli aiuti occidentali, dominati dai Signori della guerra sempre più ricchi, sostenuti militarmente dalla coalizione dei paesi Nato (con Europa e Italia accodate supinamente agli USA), assistiamo al fallimento di una gestione che ha prodotto un paese sempre sull’orlo del caos e in un continuo stato di belligeranza. In questi vent’anni l’assistenza occidentale - attraverso vari e lodevoli tentativi di modernizzazione e di progresso sul piano dei diritti umani e civili (soprattutto per merito di ONG, e altre organizzazioni) -, è stata realizzata in modo frammentario e incoerente, ignorando spesso la cultura, i costumi e le tradizioni del paese, tanto da ottenere risultati insignificanti. Tra questi spicca il fallimento di un’operazione antidroga il cui risultato è che, oggi, la superficie coltivata a oppio è quadruplicata.
Inoltre, questi faticosi benefici hanno riguardato una minoranza del Paese (in particolare nei centri urbani), senza ottenere il consenso delle classi escluse dal circuito degli affari e della corruzione; né ha coinvolto la popolazione rurale, da sempre arretrata e succube d’una tradizione islamico-integralista. In conclusione, la “democrazia” afgana e il suo “potente esercito” (così, fino a ieri sostenevano Biden in TV e i suoi informatori) si sono squagliati di fronte alla prima seria offensiva talebana. Mentre è recentissima nuova che gli USA non hanno maiavuto come scopo la costruzione di una nazione… di una democrazia unificata e centralizzata” (Biden, 16 agosto 2021) invadendo l’Afghanistan e Iraq: si trattava solo di una loro privata caccia al terrorista (trovato in Pakistan!). Come non ricordare anche Tony Blair che, nel 2015, chiese pubblicamente scusa, ammettendo candidamente che “la guerra in Iraq non aveva alcuna giustificazione”. Una divertente frase del musicista Frank Zappa forse spiega molte cose: “la politica in Usa è la sezione di intrattenimento dell'apparato militare-industriale”. Grottesco ed esilarante, se non fosse tragico! Sarebbe opportuno, a questo punto, ricordare le parole di Gino Strada, quando sosteneva che la cosiddetta “democrazia” non si esporta con le cannonate e i bombardamenti - con cui si fanno affari - e che, in 18 anni di presenza militare in Afghanistan, gli USA hanno sborsato 2500 miliardi di dollari (New York Times): «Le grandi industrie di armi ringraziano (...) Se quel fiume di denaro fosse andato all’Afghanistan, adesso il Paese sarebbe una grande Svizzera».

 

Note                                                                                 

1) Alfred McCoy, “Cascate di droga. I quarant’anni di complicità della CIA con il narcotraffico”, The progressive, 1° agosto 1997.
Gran parte di questo testo e le citazioni sono state tratte da:
La distruzione dell’Afganistan” di Antonella Randazzo per www.disinformazione.it, 19 marzo 2007. Intervista a Enrico Calamai (Roma, 1945), diplomatico italiano nominato ambasciatore a Kabul nel 1987 – Il Manifesto. 
E articoli di: Alberto Negri, “Da tempo l’Occidente è amico dei peggiori talebani al mondo”, Il Manifesto. Manlio Dinucci, “Nessuna lezione dalla catastrofe afgana”, Il Manifesto.