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sabato 30 ottobre 2021

BIRRA E BREXIT (E REFLUSSI)
di Paolo Vincenti
  


Un giorno di qualche anno fa, i miei figli guardavano “I Simpson” in tivù. Il lercio protagonista Homer al solito si ingolfava di birra e quando all’ennesimo rutto mio figlio Filippo prorompeva in una grassa risata, l’altro figlio, Giacomo, gli diceva: “ma lo sai che noi oggi conosciamo la birra grazie agli inglesi? L’hanno inventata fra Mesopotamia ed Egitto più di cinquemila anni fa, ma fu all’epoca dei Romani che venne importata in Italia dalla Britannia”. Mentre Giacomo faceva sfoggio di erudizione, a danno del fratello minore, io seguivo sull’altro televisore i commenti sulla “Brexit”, cioè l’uscita della Gran Bretagna dall’Europa decisa dal referendum popolare del 23 giugno 2016. In effetti, nell’83 d.C. la birra, conosciuta dai Celti e dai Germani, arrivò a Roma importata da Agricola, governatore della Britannia, il quale portò con sé tre mastri birrai da Glevum (l’odierna Gloucester) che insegnarono ai romani a produrre la bevanda e a venderla. Nell’antichità però la birra non era composta di luppolo. Il liquido veniva creato con diversi cereali come l’avena, l’orzo, il frumento, e fermentato con aromi vari. Fu solo a partire dal IX secolo d.C. che si iniziò ad usare il luppolo ma fu propriamente nel XIII secolo che la birra col luppolo venne perfezionata nei paesi della Germania e divenne una bibita amatissima ed esportata in tutto il mondo.



“L’ Inghilterra non ha nulla a che fare con l’Europa. Col suo naso appuntito verso il polo e le sue alture bianche sul mare mostra chiaramente di non voler appartenere al continente. L’Europa non è per lei che una di quelle parti del mondo dove le conviene trafficare, dominare e, se occorre, combattere. Tutte le terre per lei, pari sono. Non è in comunione con l’Europa e neppure con gli altri continenti. Non è solidale con nessuno… la menzogna non è soltanto, per il popolo inglese, un’arma da guerra ma la natura stessa, la sua essenza, la sua forza e insieme la sua debolezza. Si vanta, ad esempio, di essere il paladino del liberalismo mentre ognuno sa che è governato da una ristretta oligarchia formata dai relitti dell’antica nobiltà guerriera e terriera e dai campioni della recente aristocrazia banchiera e manifatturiera. Si vanta di essere un popolo pacifista mentre poi reprime ferocemente le rivolte dei sudditi… proclama di essere cristiano mentre la sua religione non è che un gelido fariseismo o un falotico ereticismo. Ritiene di essere idealista mentre è l’archetipo dei popoli mercatori e bottegai… si atteggia a moralista e puritano ma la sua pudicizia verbale e la sua schizzinosità filistea ricoprono una corruzione assai maggiore di quella dei più malfamati paesi… l’ipocrisia non è dunque una leggenda… L’Inghilterra, più degli altri popoli, è quasi immedesimata colla finzione. Il popolo inglese è talmente avvezzo alla simulazione che non si accorge più di mentire. E ben gli conviene essere alleato col dio Mercurio che era, ad un tempo, il protettore dei mercanti e il patrono dei bugiardi”. Chi scrive è Giovanni Papini (in La spia del mondo, Vallecchi, 1955). Questa tirata anti britannica da parte dello scrittore fiorentino fotografa bene quelli che sono gli stereotipi ai quali ancora oggi pensiamo quando guardiamo al popolo inglese. Varie erano le opinioni della politica inglese riguardo la Brexit, tanto che si giunse ad un referendum, fra il Remain, cioè restare in Europa, e il Leave, cioè lasciare l’Europa, e quest’ultima posizione ottenne il 51, 90% dei voti, vincendo. Del resto, la Gran Bretagna, a suo tempo, non aveva accolto con favore l’ingresso nella Ue e dal punto di vista monetario è sempre rimasta fedele alla sua divisa nazionale, ossia la sterlina. I malumori crescenti nei confronti delle politiche europee, un sano nazionalismo di cui il popolo britannico certo non difetta, i drammatici accadimenti di questi tempi, come le massicce ondate di immigrazione che hanno coinvolto tutta Europa, una agguerrita campagna stampa da parte del partito Ukip col suo leader Nigel Farage, tutto ciò ha portato al risultato del referendum del 2016 a favore della Brexit.  E così, la “perfida Albione” ha confermato quella vena di snobismo che da sempre le attribuiamo. “L’inglese è talmente superbo”, scrive ancora Papini, “che considera tutti gli altri popoli come armenti di esseri subalterni, semiselvaggi o semibarbari, coloured people, poco al di sopra degli animali... L’inglese manifesta il suo orgoglio connaturale e spontaneo col suo contegno stesso, col suo modo di trattare e di fare, con la tranquilla altezzosità verso tutti gli altri, con la fanciullesca compiacenza della sua grandezza e della sua perfezione”.



Gli inglesi festeggiarono in piazza il risultato del referendum, ingozzandosi di birra. Torme di giornalisti sguinzagliati per le strade intervistavano a manetta il fruttivendolo e il macellaio, il professore e l’analista di borsa, la casalinga e il politico, insomma una buona rappresentanza del popolo inglese. Ognuno diceva la propria, ma prevaleva nettamente il sentimento di gioia, quasi di liberazione. E tutti ci bevevano su, allegramente. Ora, a distanza di qualche anno, mi ritorna in mente questo importante evento di politica estera perché si apprende dai mezzi di informazione che l’Inghilterra versi in un grave disagio, a causa del rincaro dei combustibili e della penuria di approvvigionamenti, cosa che ha costretto milioni di automobilisti a lunghissime code davanti alle stazioni di servizio, con non poco imbarazzo del governo e in particolare del Premier Boris Johnson, il cui indice di popolarità è dato in netto calo nei sondaggi. La domanda sorge spontanea, allora: è stata davvero una liberazione quella della Gran Bretagna dal giogo della cosiddetta Troika? Dalle presunte vessazioni della Comunità Europea? La paura e la rabbia di fronte alle ondate di immigrati che si sono registrate negli ultimi anni hanno annebbiato la vista dei britannici? Certo, l’inglese medio pensa che gli extracomunitari, soprattutto romeni e polacchi, rubino il lavoro agli isolani e accettando paghe più basse facciano concorrenza sleale agli inglesi stessi, per questo chiedono che si chiudano le frontiere agli stranieri. Né più né meno di quello che sta avvenendo in tutti i paesi europei, compresa l’Italia. E tuttavia nessun paese europeo chiede l’uscita dalla Ue. Evidentemente, a pesare nella scelta degli inglesi a favore della Brexit - una scelta trasversale, che ha coinvolto il popolo minuto e l’establishment, gli operai e i grandi finanziari e imprenditori, l’artigiano e l’analista di borsa, la stampa e i media -, è stato qualcosa di più, ossia la delusione e la protesta nei confronti delle deludenti politiche interne attuate dagli ultimi governi conservatori.
L’Inghilterra comunque, nel 1400, dalla birra di malto si convertì alla birra di luppolo perché il maggiore tasso alcolico procurava alla bevanda una maggiore attrattiva, conferendole un gusto più forte, deciso. Nelle immagini dei tg, al momento dell’uscita, i baldanzosi britannici sbevazzavano, scalmanando come satiri e folli menadi fra le strade di Londra, Manchester, Liverpool, Nottingham. Tuttavia, si ha l’impressione che quella sia stata una sbandata collettiva, come un brutto sogno. Oggi, dopo aver smaltito la sbornia, e completata ormai la lunga fase di negoziazione con la Ue e a transizione avvenuta, i britannici si stanno accorgendo che non basta una bevuta per dimenticare i guai.