Si dice che le parole sono pietre:
possono essere pesanti come macigni e anche ferire a morte. Occorre dunque
farne buon uso e usarle con la dovuta attenzione. Questo non significa che
dobbiamo autocensurarci nei confronti di criminali, stupratori, mafiosi,
inquinatori, ladri, corrotti e altra genia: tutt’altro. Dire sempre pane al
pane è un obbligo morale per chi scrive, e serve a ribadire una linea di
demarcazione chiara fra costoro e quanti ne avversano i comportamenti nocivi e
le pratiche nefande. Il silenzio o la reticenza, in questi casi, possono
apparire ambigui o conniventi. Sappiamo che i fautori di ideologie totalitarie,
disumane e razziste, non si fanno scrupolo alcuno nell’usare le parole come
strumento di esclusione, di emarginazione, di scarto. Tutto questo fa parte
della loro visione di mondo che si innerva in una cultura basata sul principio
di disuguaglianza fra gli esseri umani, l’inferiorità di classi, gruppi o
etnie, l’insopportabilità dell’esistenza di soggetti che il loro credo
religioso ritiene di dover cancellare o sottomettere perché la tradizione ha
finito per farne una regola diffusamente accettata. Dall’impiego di parole
svalutative fortemente discriminanti alla pratica della persecuzione e alla
soppressione vera e propria, il passo è breve. Si tratti di omosessuali o di
donne, poco importa. Il nazismo, il comunismo, l’islamismo, il cristianesimo,
ecc. ne hanno dato prove incontrovertibili in passato, e ne danno prova anche
in questo secolo così ultra-scientifico, supertecnologico, interconnesso e da
villaggio globale, come si diceva una volta. Questo avviene nelle stesse comunità
dell’Occidente influenzate dai dettami della Rivoluzione francese e dai Diritti
dell’uomo. In qualsiasi capitale europea può capitare che un omosessuale venga
apostrofato con parole ingiuriose, o aggredito perché tale, da giovani che
dovrebbero aver maturato una concezione più tollerante e meno conformista dei
loro nonni e genitori. Stiamo parlando di luoghi dove la democrazia ha messo da
tempo solide radici, non di regimi autoritari e di teocrazie. Tuttavia, fa
impressione che episodi inqualificabili di tale natura possano verificarsi ed
essere tollerati in paesi come la Russia, che pure ha avuto la sua egualitaria
Rivoluzione del 1917 e una chiesa ortodossa di una certa fraternità. E fa
ancora più impressione vederli in nazioni fervidamente religiose e che hanno
continuamente il nome di Allah sulla bocca. Che al peso delle parole si presti
pochissima o nessuna attenzione, lo si può facilmente verificare negli Stadi
con gli adulti, o su qualsiasi campetto dove si disputano semplici partitelle
fra adolescenti. “Ti cavo gli occhi!” ho sentito urlare dalla bocca di un
ragazzino che non avrà avuto dieci anni, ad un altrettanto giovane avversario
sul campetto di un oratorio. Il mio pensiero è volato subito ai tanti anziani
che ho incontrato nella sala d’attesa di un oculista, per farseli proteggere i
loro occhi. Magari proprio per poter continuare a riempirseli con le immagini
amate dei loro amati nipotini, divenuti, come questo nostro tempo, sempre più
spietati.