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domenica 31 ottobre 2021

LA NORMALITÀ
di Pierpaolo Calonaci

Opera di Vinicio Verzieri 2021

“Chiarire le nozioni, screditare le parole intrinsecamente vuote,
definire l'uso delle altre attraverso analisi precise.
Ecco un lavoro che, per quanto strano possa sembrare,
potrebbe preservare delle vite umane”.
Simone Weil
 
Questo contributo vorrebbe essere una riflessione utile a comprendere l’uso e il significato della locuzione normalità alla luce dell’uso che l’opinione comune ne fa per rappresentare una data realtà, un determinato ordine delle cose - come normalità del costituito - e quindi da accettare in modo irreversibile. Data la complessità di quella locuzione, divido questa riflessione in due parti.


Eden e normalità


La parola “normalità” viene comunemente e con disinvoltura invocata oggi - forse da sempre - come richiamo a quella condizione edenica verso cui sperare di tornare. L’analisi di questa locuzione parte quindi da questo sentimento interiorizzato che rimanda ad un bisogno di “sicurezza” perduta. Poiché l’Eden, come narrazione, racchiude in una sorta di maternage continuo il bisogno dell’uomo di essere accudito dai suoi antropomorfismi divinizzati. È un uomo incapace di qualsiasi responsabilità e autonomia poiché vive sotto l’imperativo rassicurante in cui trasgressione è immediatamente morte. È l’interiorizzazione più possente del comando e del potere. Fortunatamente, direi, per la specie umana irrompe l’irrazionale, la dionisiaca decisione della femminilità che sceglie la mela; simbolo e metafora di chi ha compreso che se le leggi e i limiti possono contenere un certo livello di realismo, ce l’hanno in virtù della loro trasgressione e della successiva ricomposizione. La conseguenza della narrazione la sappiamo. L’atto della responsabilità è essenzialmente un’azione che trasgredisce ed emancipa colui o colei che la compie in quanto permette la rielaborazione autonoma dell’essere umano e del suo agire. È un atto che rifiuta il moralismo del significato della norma, della normalità e delle regole. È grazie ad Eva (non un mero nome ma il simbolo stesso del femmineo in ogni uomo) che ci siamo responsabilizzati, abbandonando (solo provvisoriamente, purtroppo, considerando lo stato di prostrazione in cui siamo) lo stato di minorità in cui un dato processo di istituzionalizzazione delle norme (il peccato) e della loro naturalizzazione in cui invece prevede che rimaniamo. Non posso per evidenti ragioni richiamare l’enorme millenaria incisività deformante dell’educazione cattolica in questo doppio processo.


Opera di Vinicio Verzieri

Equivoco nel significato di norma

Analizzo come questo stato di minorità sia ancora pienamente operativo nel modo di pensare la relazione tra normalità e patologia, non dal punto di vista medico ma dalla prospettiva politica che struttura un ordine sociale e i comportamenti prodotti per appartenervi (o meno). Inizio col cercare di chiarire il significato di norma. Nel Devoto-Oli essa viene concettualizzata come “singolo precetto morale, giuridico, tecnico riferibile a una formulazione imperativa determinata […] per sottolineare l’assoluta obbligatorietà di un comportamento”. È una definizione che richiama simultaneamente qualcosa che non deve avere nessuna oscillazione poiché si deve mantenere uno stato di equilibrio, o meglio una situazione dove ogni oscillazione sia bandita. È una definizione della cui univocità semplicistica occorre ampliarne il portato etico-politico. Infatti, il cuore dell’obbligatorietà è fare sì che tanto i comportamenti sociali e individuali quanto il corpo fisico e politico non oscillino. Ma entro cosa questo stato di equilibrio coercitivo si mantiene e quali sono le condizioni dalle quali nasce? Quali sono i poli? Chi stabilisce le condizioni di questa oscillazione e i suoi limiti? Chi stabilisce cosa sia la norma e le regola per accedervi? Uno stato di equilibrio (coartante) è costituito contemporaneamente dal fatto designato da esso (descrittivo) e dal valore correlato (valutativo). Fatto e valore sono due poli che vengono stabiliti da colui che “parla”. Il parlare e l’interpretare, sia da parte di un singolo oppure di un’istituzione, riguardano i giudizi di valore intrinseci a quelle azioni. Tutto questo sistema di significanti, di simboli, di valori viene costruito appunto attraverso un sistema sociale che si pone come autorità normativa. Sottolineo che, già fin da questo primo approccio alla norma, essa non abbia niente di naturale e pacifico. L’equivoco qui segnalato tra fatto, valore e chi li fa interagire per un fine, fa risaltare la mancanza dell’elemento centrale in questo processo: l’individuo e la sua capacità di esprimere bisogni e norme interiori. L’individuo è, in questo processo, trasformato in soggetto, “il soggetto delle norme” suggerisce l’acuta analisi filosofica e di critica letteraria di Pierre Macherey. Egli è del tutto assoggettato alla norma. Bisognerebbe essere consapevoli lucidamente di questa arbitrarietà poiché essa contiene non una attività normativa generata da norme rispondenti ai bisogni reali dell’individuo nella sua totalità umana e sociale, ma la sua ideologizzazione, rappresentando la normalità come prodotto di naturalizzazione di bisogni e valori esterni, cioè imposti, all’individuo. Attività, quindi, che istituzionalizza la normalità, che le conferisce quell’aspetto incontestabile, dato e rassicurante sicuro che la legittima.