Oggi con mia madre ho sistemato quadri alla parete. Volti limpidi nei sorrisi
appena accennati in feste lontane nel tempo. Ariose immagini soffocate
nell'assenza. Ci sono anch'io, inserito in
una cornice semplice, faccino paffuto, mente curiosa e ingenua, bramosa di
chissà quale oggetto fuori dall'obiettivo, sopra un tavolo dalla coperta
bianca. Nelle mani di Fabrizio, mio
fratello, un mazzo di chiavi, tintinnante (mi par ancora d'udirlo ora
nel silenzio di casa), poco prima, forse, che gli venga sottratto dal papà
Luigi, per celia, com'era uso fare. Ai tempi si possedeva una Lancia Fulvia:
una delle chiavi metteva in moto la gagliarda auto. I due sposi, mamma e babbo,
hanno il candore magnetico delle fotografie di un tempo, non corrose dalle pose
esibite al giorno d'oggi. Pochi gli scatti (l'epoca non
consentiva dispendio d'economie), da salvare come ori preziosi. Nella mente non
sarebbero mai tramontati nonostante lo iato della morte. Sullo sfondo si scorge
il lago di casa, in un'estate che proprio in quei giorni si apprestava a cedere
il testimone all'autunno; le rose in primo piano non nascondono le spine che la
vita avrebbe riservato, compresa una bimba che mai poté volare nel vento
dell'esistenza. Abbiamo concluso il lavoro:
alle pareti ora fanno bella mostra di sé nuovi ordini d'immagini. S'è smarrita quella che non si
potrà più esibire: la cerco nelle stanze, inutilmente, la trovo nel cuore,
l'unico muro che ha chiodi resistenti per sempre.