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sabato 27 novembre 2021

FINESTRA ERETICA
di Gabriella Galzio


 
 

Autostima e pari dignità per uscire dal patriarcato.
 
 
Ho passato la giornata di ieri a cercare di recepire segnali di cambiamento. Forse quello più significativo è stato, a partire dal linguaggio, che alcuni uomini intervistati cominciano a distinguere "uomo" e "maschio", segno che iniziano a guardarsi dentro e dall'esterno, e a recepire che siamo sì un'unica specie, ma articolata in due sessi, con buona pace della retorica universalistica della parola "uomo". Quanto a retorica poi, le somme istituzioni hanno dato il loro rinforzo allo status quo: il papa che s'indigna sulla violenza contro le donne dimentica il papa che dà delle assassine con tanto di sicario alle donne che abortiscono (a casa mia si chiama violenza morale); e il presidente della repubblica dimentica che gli alti vertici delle istituzioni (compresa la presidenza della repubblica) sono maschi, con qualche eccezione riservata a femmine di fatto "cooptate", e questo banalmente perché le attuali istituzioni sono state concepite da maschi sulla base di valori maschili spacciati per universali. Rare sono state le analisi del fenomeno della violenza contro le donne che avessero la profondità di campo dell'analisi di una intera civiltà, quella patriarcale. Non è mai stato fatto cenno, ad esempio, all'obbligo della patrilinearità (riconoscibile anche dal cognome, quello del padre è "obbligatorio", mentre quello della madre è solo "opzionale") che affonda le sue radici storiche nella destituzione della legittima matrilinearità, dorsale naturale di ogni ulteriore aggregazione in clan; quale migliore ricatto per soggiogare le donne, se non togliere loro i figli (assetto riproduttivo) e sottrarre loro i beni (assetto produttivo)?! Quello che avviene ancora oggi a tante donne vittima di violenza, che subiscono per timore che venga fatto del male ai figli o non hanno la forza di andarsene perché non dispongono dell'indipendenza economica, è la ricapitolazione filogenetica della storia patriarcale, dal "rape" delle origini (in inglese la parola "rape" porta l'ambivalenza di significare "ratto" e "stupro") all'odierno stupro di guerra. E sì, perché c'è un nesso tutto patriarcale che salda insieme stupro, come "dominio" del maschio sulla femmina, e guerra, come "dominio" del maschio sul maschio. E allora varrebbe la pena che i maschi si interrogassero seriamente sulla loro aggressività (vedi per esempio il tentativo dello psicanalista Luigi Zoja nel suo nuovo libro Centauri, l'origine della violenza maschile), ma anche che le donne stanassero il "basista interno" che le consegna al loro carnefice là fuori. Perché è indubbio che in 4000 anni di patriarcato uomini e donne hanno introiettato questa violenza - chi come vittima, chi come carnefice - rafforzata in taluni casi anche dai vissuti familiari, dalle forme più "blande" della misoginia a quelle più violente del femminicidio. E allora quello che mi sento di dire è di incoraggiare le donne a coltivare l'autostima, la propria e quelle delle altre donne, in un progressivo rinforzo personale e collettivo che estrometta dalla loro psiche quel pericoloso "basista interno" e le sottragga al "dominio", per edificare insieme una civiltà fondata sull'amore che non può prescindere dalla "pari dignità".