Èun detto molto in uso nella lingua inglese (two wrongs don’t make a right) ma
troppo poco usato nella lingua italiana, al contrario di tante altre
espressioni inglesi spesso malamente citate, quando non a totale sproposito.
Qui si tende addirittura a giustificare le cattive azioni già fatte in altre occasioni,
secondo la teoria del “precedente”! In
questo caso mi riferisco alle considerazioni addotte dal premier indiano Narendra
Modi e dagli emissari del leader cinese Xi Jinping, per ritardare alle calende
greche l’adozione del protocollo d’intesa sul taglio delle emissioni di inquinanti
e gas serra discusso ed approvato dai rappresentanti di tutti i paesi
industrializzati al COP26 di Glasgow esattamente un mese fa. In
pratica, queste due nazioni, che producono una discreta proporzione delle
emissioni nocive per l’ambiente nei loro Paesi e che contribuiscono in maniera
significativa al riscaldamento globale in corso, hanno preteso di sottoscrivere
un accordo sul taglio delle emissioni entro un termine di tempo di parecchi
anni superiore al tempo massimo individuato per contenere, secondo le ultime
proiezioni, il riscaldamento globale entro 1.5°C. Un incremento di temperatura ritenuto
tollerabile anche se foriero di disastri ambientali ben peggiori di quelli che si
sono già affacciati in molte parti del mondo negli ultimi tempi. Il
Patto sul Clima di Glasgow è dunque uscito da quella riunione con un accordo
poco o per nulla vincolante per due grandi Paesi che hanno adottato una linea,
seppur apparentemente legittima, perlomeno sconcertante. In pratica,
l’allungamento dei tempi di adozione delle limitazioni alle emissioni nocive
che hanno ottenuto, è basato su un ragionamento semplice ma diabolico. Questi
paesi, essendo in ritardo nello sviluppo socio-economico rispetto ai paesi che
hanno trainato la rivoluzione industriale dal tempo della macchina a vapore (a
carbone), reclamano il diritto di percorrere la stessa strada, anche se a
velocità un po’ più sostenuta, per raggiungere un grado di industrializzazione
che consenta loro di arrivare a far parte del gruppo di testa dei “paesi
ricchi”, continuando ad utilizzare il carbone come fonte insostituibile di
energia per questo “sviluppo” finché lo riterranno opportuno.
È
chiaro che qui si potrebbe aprire una lunga discussione su molti degli aspetti
toccati in questa brevissima descrizione della situazione. A partire dal
termine “sviluppo”, volutamente messo tra virgolette, così come “paesi ricchi”,
andando a guardare la qualità della vita di grandi strati della popolazione nei
paesi sviluppati e ricchi. A chiunque possono venire seri dubbi sull’effettivo
raggiungimento di un ideale di vita felice e sostenibile raggiunta da queste
popolazioni. Ma tant’è, limitiamoci qui a considerare pragmaticamente l’aspetto
logico della premessa. Se
tutti i Paesi che maggiormente hanno contribuito in passato a immettere
nell’atmosfera inquinanti e gas serra si sono finalmente accorti del grave
errore fatto e del rischio posto all’umanità intera, quale mai logica può
essere invocata dagli altri paesi per ripercorrere la stessa strada e fare gli
stessi errori, magari su una scala anche più vasta, in nome di un “benessere” futuro
per le loro popolazioni? Volendo
poi andare a vedere in dettaglio la questione del carbone come fonte di energia,
già dalla fine del 1800, proiezioni scientifiche basate sui dati di allora,
ipotizzavano l’asfissia del pianeta, dovuta alla combustione del carbone, in
capo a 200 anni. Difficilmente, dunque, la mia generazione potrà sentirsi
responsabile per l’attuale situazione, quando già il padre di mio nonno avrebbe
dovuto sentire questa responsabilità. Bene fa Greta Thunberg* a sgridare noi e
la nostra generazione, ma coloro che avrebbero dovuto cominciare a preoccuparsi
sono ormai morti e sepolti da un pezzo. Ciò non toglie, naturalmente (due torti
non fanno una ragione) che non si debba cominciare da subito (e non da qui a 15
o 30 anni, come contemplato nel patto di Glasgow) a ridurre drasticamente le
emissioni dovute tuttora al carbone.
Siamo
di fronte a un paradosso. I due Paesi più popolosi della Terra, produttori di
enormi quantità di beni di largo consumo e di quasi tutti i dispositivi ad
elevato contenuto tecnologico, vogliono mantenere o aumentare la produzione di
questi beni sfruttando la fonte energetica più antiquata e inquinante che si
conosca. Sappiamo
ormai da tempo che ci sono tante altre fonti alternative di energia e su quelle
tutti stanno puntando per uno sviluppo sostenibile sia per l’ambiente sia per il
clima. Se facciamo mente al mondo della comunicazione come semplice paragone,
in Europa abbiamo visto il susseguirsi di tutti i passaggi, a partire da Meucci
e Marconi, nell’uso dei mezzi a filo e ad onde radio per la trasmissione e la
comunicazione. Siamo passati dal telefono fisso con chiamate attraverso centralino
meccanico e operatore, al telefono cellulare; una radio trasmittente e
ricevente collegata direttamente a tutto il mondo in tasca a tutti. È
altrettanto chiaro che molta della popolazione attuale del pianeta è arrivata
direttamente alla telefonia mobile senza aver mai conosciuto reti di cavi e
cornette varie. Non sarebbe dunque economicamente più sostenibile nel complesso
un passaggio diretto a forme di produzione di energia più “pulite” adottando
tecnologie di ultima generazione che portino all’eliminazione del carbone entro
le date indicate da tutti gli altri paesi che già possono cominciare a farne a
meno? È possibile che questo richieda uno sforzo economico notevole, ma sono
gli sforzi economici che migliorano l’economia di un paese. Senza contare le proposte
di cospicui aiuti che pure sono state fatte al COP26. Forse si tratta di
trovare accordi sugli aiuti economici da predisporre ma questo mi sembra un
problema di poco conto rispetto alla posta in gioco. Per
dettagli sui risultati ottenuti al COP26 di Glasgow: https://ukcop26.org/wp-content/uploads/2021/11/COP26-Presidency-Outcomes-The-Climate-Pact.pdf *
https://libertariam.blogspot.com/2021/10/