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lunedì 6 dicembre 2021

SPIGOLATURE
di Angelo Gaccione


Garzanti, editore imprevedibile.


Recentemente ho letto una serie di libri quasi tutti legati al tema dell’editoria, doni dell’amico Gian Carlo Ferretti. La sua Storia dell’editoria letteraria in Italia 1945-2003 (Einaudi) la conoscevo già come tutti, divenuta un classico ineludibile per chi si interessa di libri e editoria. Ma ho gustato anche il suo saggio su Bianciardi: La morte irridente pubblicata da Manni, e soprattutto Il marchio dell’editore, Un imprenditore imprevedibile. Livio Garzanti. Su Garzanti editore anche Una vita con i libri, tutti e tre, questi ultimi, pubblicati da Interlinea di Novara. Anche su questo c’è una nota di Ferretti messa a chiusura del volume. Tale rinnovato interesse per Livio Garzanti (uno degli ultimi editori puri, come sappiamo), verso il suo mestiere e la sua complessa personalità, mi ha fatto tornare alla mente un ricordo che risale alla mia costruzione del volume La città narrata pubblicato in prima edizione nel 2021 dalla Viennepierre di Milano. Non conoscevo personalmente Garzanti, ma alla sua presenza in quel volume ci tenevo, e che potesse raccontare qualcosa di interessante della sua Milano era per me stimolante. Sapevo che gli era piaciuto il mio precedente volume, quello delle interviste dal titolo Milano la città e la memoria, dove c’era una bella conversazione anche con sua moglie, la cara Gina Lagorio; lo sapevo perché me lo aveva riferito Vanna Massarotti, ma quando annunciai a Vanna che volevo contattare anche Garzanti per il libro, mi rispose che non avrebbe scritto nulla, che diceva a tutti di no, e che non era un carattere facile. 


Ferretti fotografato
da Gaccione nella sua casa
di Milano (18 sett. 2021)

Dalla lettura di tutti questi recenti materiali ho avuto la prova che di carattere facile Garzanti non lo fosse per niente e gli aggettivi con cui lo descrivono compongono un vero e proprio florilegio. Alcuni di questi aggettivi – che siano espressi da amici o nemici poco importa – sono anche piuttosto pesanti. A me, dunque, quella volta deve essere andata bene. Al telefono prese un vago impegno e mi disse chiaro che se gli fosse venuta fuori una cosa decente me l’avrebbe mandata, altrimenti no. A parte il modo spiccio, a me sembrò una risposta ovvia e anch’io avrei detto così. Ora non ricordo più se andai a ritirare lo scritto in via Del Carmine o alla sede della sua Casa Editrice in via Senato; sono passati più di vent’anni e quello che posso dire è che il suo ottimo scritto di tre pagine dal titolo “Un quartiere, una chiesa, una via”, si trova alla pagina 139 e seguenti di quel fortunato volume (tre edizioni e se non fosse morta Vanna lo avremmo rieditato), subito dopo il mio di scritto, per via della sequenza rigidamente a lettere alfabetiche dei cognomi. La sua amata Gina compare invece dopo lo scritto del poeta Tomaso Kemeny, appena due pagine lo separano da lei.