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lunedì 31 gennaio 2022

LA SCOMPARSA DI CRISTINA ANNINO
di Maurizio Cucchi


Cristina Annino

Un ricordo di Maurizio Cucchi sulla poetessa toscana scomparsa venerdì 28 gennaio a Roma all’età di 80 anni.


Avevo letto con interesse le poesie di Cristina Annino la prima volta in un quaderno collettivo di Einaudi del 1984 e tre anni dopo mi era piaciuto Madrid, uno dei suoi libri più importanti, pubblicato da “Corpo 10”, una collana ideata e diretta da Michele Coviello. Ma in quel tempo non avevo mai avuto occasione di incontrarla. Ci siamo infatti conosciuti parecchio anni dopo, a Roma, e da allora siamo diventati amici per un periodo arrivato fino a tempi molto recenti. Della sua poesia mi era da subito apparsa originale e autonoma l’energia espressiva, la forza di una lingua che assorbiva tracce tangibili del vissuto e dell’esperienza portandoli su un piano ulteriore, ma sempre nel segno di una concretezza densa della parola e del percorso interno a ogni componimento. Un elemento decisivo, nell’ispida vivacità della sua opera, è stata poi sempre la lontananza da ogni possibile riferimento ideologico, anche in campo letterario e questo nonostante la sua giovanile, dichiarata vicinanza a una certa avanguardia toscana anni Sessanta. Tutto questo è ravvisabile anche nella scrittura in prosa, nella narrativa, e posso dire che ho partecipato convinto a favore di una maggiore diffusione della sua opera in genere, promuovendo, per esempio, la ristampa, dopo tanti anni, di Madrid nelle edizioni di Stampa2009 e poi la pubblicazione di Anatomie in fuga, per Donzelli, nel 2016. 



Ma anche altri sono stati i miei interventi, che sarebbe immodesto e fuori luogo qui indicare, in suo favore. Sul piano personale, la nostra conoscenza si era fatta meno vaga al tempo del suo trasferimento a Milano, purtroppo durato troppo poco. Cristina era andata a stabilirsi in corso di Porta Ticinese, tra le Colonne di San Lorenzo, Sant’Eustorgio e la Darsena. Un posto dei più autenticamente e storicamente milanesi della città. Certo non le dispiaceva la vivacità multiforme del quartiere, che anch’io amo molto. Ogni tanto andavamo insieme per un aperitivo o un pranzetto proprio alle Colonne, cosa che ricordo con piacere. Ma purtroppo non si era mai del tutto sentita a suo pieno agio nella nostra città, lei che era toscana e a lungo era vissuta a Roma. Così decise di cambiare nuovamente aria dopo troppo pochi anni e così, da allora, ci siamo quasi persi di vista. E oggi che se ne è andata ancora di più me ne rincresce. Ciao Cristina, sempre con affetto.
 

L'opinione
VENTI DI GUERRA IN UCRAINA
di Vincenzo Brandi

 


Roma. I venti di guerra che si intensificano nella zona di frontiera tra Russia e Ucraina rischiano di degenerare in uno scontro globale tra grandi potenze militari con conseguenze nefaste per tutta l’umanità.
Questa crisi ha le sue radici profonde nella politica aggressiva attuata già da 30 anni dagli USA e della NATO consistente nel portare i confini della NATO a ridosso della Russia alle cui frontiere vengono ammassate truppe (tra cui anche truppe italiane, oltre che statunitensi) e impiantate nuove basi militari fornite di missili puntati sulla Russia.
L’ultimo e più grave episodio, gravido di pericolose conseguenze, è avvenuto nel 2014 quando il governo neutrale dell’Ucraina – regolarmente eletto in regolari elezioni – che si sforzava di avere relazioni amichevoli e corrette sia con la Russia che con l’Occidente, è stato abbattuto dal colpo di stato di Piazza Maidan. A questa operazione, sponsorizzata dai servizi segreti occidentali ed in particolare da quelli statunitensi, hanno partecipato attivamente bande armate appartenenti a due formazioni apertamente naziste, i cui militanti armati si distinguono per i simboli simili alle svastiche che portano sulle braccia e sulle loro bandiere.
Ne è nata una guerra civile che si è conclusa con gli Accordi di Minsk, che prevedevano un’ampia autonomia per le regioni orientali dell’Ucraina abitate da Russi, accordi che non sono mai stati rispettati.
Dopo un periodo turbolento ed incerto, ma in cui i pericoli di guerra globale sembravano lontani, improvvisamente il presidente “democratico” Biden ha dato una forte accelerata alle tensioni allo scopo di far entrare ufficialmente l’Ucraina nella NATO.



Ha lanciato appelli allarmistici e mandato armi e truppe nel paese.
Contemporaneamente, persino dall’altra parte del mondo sono state fatte provocatorie “esercitazioni” navali anche nei mari cinesi, per ammonire la Cina. I paesi europei della NATO, tra cui l’Italia, che non ha più un solo leader politico che si rispetti, seguono pedissequamente la politica USA.
Solo forse la Germania, che ha concluso importanti accordi con la Russia assicurandosi un approvvigionamento abbondante di gas combustibile attraverso il gasdotto North Stream, sembra premere per una politica meno aggressiva.
Anche la Turchia si offre come mediatrice avendo buoni rapporti con la Russia, e forse sottobanco anche la Grecia che ha avuto sempre un rapporto speciale con la Russia. Ѐ necessario premere sui nostri governanti perché frenino le provocazioni bellicose del grande fratello USA che ci espone a pericoli di guerra ed anche ad una grave crisi delle economie europee che hanno tutte (in particolare anche l’Italia) ottimi rapporti commerciali con la Russia, rapporti che sarebbero interrotti.



Si continuano a denunciare spostamenti di truppe russe (si badi bene: all’interno di un paese sovrano!), ma non ci si chiede cosa dovrebbe fare un paese che si sente minacciato ed accerchiato da una corona di basi militari e missili puntati su Mosca e San Pietroburgo, posti a pochi chilometri dai propri confini. Se basi e missili fossero posti anche all’interno dell’Ucraina (paese legato alla Russia da più di 1000 anni!) dopo una sua adesione alla NATO, la situazione diverrebbe gravissima.
 
 

 

SCELTE
di Fulvio Papi
 


Gabriele Scaramuzza ci ha regalato ancora una volta un bellissimo libro, il sentiero dominante della sua esperienza (Scelte, Mimesis edizioni, Milano-Udine, 2021) in uno stile critico/narrativo come si è selezionato nel suo lungo percorso di teorico di filosofia dell’arte: la coesistenza di tratti di estetica, di critica, di memorie il cui vissuto ritorna con il suo sentimento, la saggezza astratta che si incarna nella parola vivente, poiché, in verità, non vi è altro modo perché essa possa rendersi manifesta.
La vita del concetto è molto più complicata rispetto a chi in esso vuole vedere solo il tronco di faggio centenario. Questa descrizione è molto povera, ma forse riesce a farsi udire dal lettore nel suo pacato circuito.
Quanto a una interpretazione più complessiva, dico di due temi dominanti il libro. L’uno è la tragica opposizione tra la morte voluta da Primo Levi e la vita ritrovata di Liliana Segre. Nel loro tempo più giovanile vi è in comune lo sterminio nazista dei cittadini ebrei, la criminale passione antisemita che nasce da una o da più forme dell’antisemitismo, demone che è un senso di naturale dominio nella propria anima perversa.
Primo Levi percepisce negli anni della sua vita scampata alla strage il ritorno dello spirito distruttivo del nazismo con un linguaggio che oscuramente ma sicuramente ne riporta il senso: un occulto destino che segna il cammino della nostra vita. È un tempo circolare che ci coinvolge in ogni caso senza possibilità di scambio. Il suo rifiuto radicale è dunque la morte.
Al contrario il caso di Liliana Segre, che risponde agli incubi della memoria con una nuova invenzione della vita, la memoria tragica diviene il richiamo, per il superstite, alle pressioni dell’esistenza nel quale ritrovare i doni dell’esistenza. La testimonianza diviene ragione di un nuovo coraggio del sapere, della bellezza, del senso della vita.
Il secondo elemento centrale del libro di Scaramuzza affronta il tema dell’oggettività suprema dell’arte che può nascere dalla vergognosa e infame scelta dell’ideologizzazione del suo autore.
Semplificando un po’, l’esempio è Wagner. La sua musica apre un’epoca nuova dell’arte che informa gran parte della modernità, rende prossimo e sensibile il sublime (se così si può dire). Ma nel suo animo è servo di un antisemitismo sulla strada ideologica che conduce allo sterminio nazista. Come possono coabitare nella stessa figura una coesistenza che unisce una antinomia morale. Il problema pare poco solubile. Eppure penso che questa situazione possa accadere perché la persona, il grande artista soprattutto, può far vivere in se stesso identità opposte.
Il problema è rendersi conto, detto razionalmente, che le proprie prassi non sono affatto un tutto armonico. Le possibilità simboliche sono plurali e l’una può tacitare l’altra quando domina la scena.
Andassi a fondo dovrei parlare di linguaggi che sono una realtà complessa, che fa dell’unità identitaria di un uomo un musicista sublime e uno sporco antisemita. Se andassi a fondo, direi che questa antinomia appartiene all’accadere musicale, ma non (per quanto ne so) alla letteratura, dove un’opera può mostrare un uomo sul fronte di un proletariato povero e oppresso in un’opera, e in un’altra un infame persecutore di ebrei. In più, che il linguaggio si ricorda proprio l’unità dello scrittore, nel suo interiore colloquio etico. Ricordate Céline?
 

 

 

 

LA POESIA
In tempore clausurae


Claudio Zanini
"Fioritura" 2022
  
Notturna fioritura
di steli taglienti e acuminati
in occluse stanze di clausura,
infiorescenza oscura
che oltraggia ogni chiarore.
 
Buio intrico di racemi,
sta negletta fioritura
in cattività d’esilio stretta;
oltre sue inferriate sbarre
siamo noi, tuttavia, i reclusi
cui della luce negato è il lume.
  
Claudio Zanini

 

IL PENSIERO DEL GIORNO



“La delinquenza: quanto più se ne mostra
in video l’indecenza, tanto più ne aumenta
nella vita, la frequenza”.
Nicolino Longo

domenica 30 gennaio 2022

TRANSIZIONE ECOLOGICA
di Franco Astengo
 


Non è a costo zero.
 
Piano Ue «Fit for 55», che prevede lo stop nel 2035 alla produzione dei motori endotermici, transizione verso l’elettrico, crisi dei chip e prezzi alle stelle di materie prime ed energia cominciano a mietere vittime tra gli occupati. È il caso di Bosch e Marelli. Entrambi i gruppi hanno annunciato esuberi e a essere interessati sono 700 dei 1.700 lavoratori dell’impianto Bosch di Bari e 550, tra impiegati e quadri, su un totale di 7.900 occupati in Italia, per Marelli. La fabbrica Bosch, attiva dal 1999 a Modugno, produce componenti per i motori Diesel ed è la più grande tra quelle del gruppo in Italia”.



Questa notizia che abbiamo riassunto in poche righe sta a dimostrare come il discorso sulla “transizione ecologica” portata sul terreno della necessaria riconversione industriale rechi con sé problemi molto complessi sia dal punto di vista della programmazione, dello stare al passo dell’innovazione tecnologica, dell’aspetto occupazionale. Per l’economia italiana il settore automobilistico rappresenterà uno dei punti nevralgici della futura situazione industriale. C’è un virus che non abbandona il corpo cronicamente debilitato dell’economia italiana: l’Italia è un paese senza progetto e l’approccio al PNRR fornito dal governo e dal sistema industriale non può che confermare questo giudizio. La situazione italiana alla vigilia - appunto – dell’avvio di un processo che dovrà essere di doppia transizione (ecologica e digitale) può essere, ancora una volta schematizzata in relazione alla nostra storia industriale dal dopoguerra in avanti. Si tratta di argomentazioni già sostenute in varie sedi ma mai come in questo caso “repetita juvant”.
Il punto di partenza non può che essere quello degli anni ’70:la fase di avvio dello “scambio politico”, attraverso l’operazione “privatizzazioni” realizzate in funzione clientelare rispetto alla politica.
Negli anni ’80 le compensazioni delle perdite avvennero a spese dei contribuenti (ricordate i BOT a 3 mesi?) con la relativa esplosione del debito pubblico e all’inizio degli anni ’90, finiti i soldi dello Stato, dichiarati incostituzionali i prestiti, l’IRI trasformata in S.p.a.



L’esito più grave della fase dello “scambio politico” infatti, si realizzò in una condizione di totale dismissione del sistema delle partecipazioni statali (IRI messa in liquidazione il 27 giugno 2000), mentre stavano verificandosi almeno quattro fenomeni concomitanti:
1). L’imporsi di uno squilibrio nel rapporto tra finanza ed economia verificatosi al di fuori di qualsiasi regola e sfuggendo a qualsiasi ipotesi di programmazione;
2). La perdita da parte dell’Italia dei settori nevralgici dal punto di vista della produzione industriale: siderurgia, chimica, elettromeccanica, elettronica. Quei settori dei quali a Genova si diceva con orgoglio “produciamo cose che l’indomani non si trovano al supermercato”;
3). A fianco della crescita esponenziale del debito pubblico si collocava nel tempo il mancato aggancio dell’industria italiana ai processi più avanzati d’innovazione tecnologica. Anzi si sono persi settori nevralgici in quella dimensione dove pure, si pensi all’elettronica, ci si era collocati all’avanguardia. Determinante sotto quest’aspetto la defaillance progressiva dell’Università con la conseguente “fuga dei cervelli” a livello strategico. Un fattore questo della progressiva incapacità dell’Università italiana di fornire un contributo all’evoluzione tecnologica del Paese assolutamente decisivo per leggere correttamente la crisi;
4). Si segnalano infine due elementi tra loro intrecciati: la progressiva obsolescenza delle principali infrastrutture, ferrovie, autostrade e porti e un utilizzo del suolo avvenuto soltanto in funzione speculativa, in molti casi scambiando la deindustrializzazione con la speculazione edilizia e incidendo moltissimo sulla fragilità strutturale del territorio.



Sono scomparsi principi fondamentali di programmazione e di intervento pubblico in economia che sono stati affrontati in un’ottica che tempo addietro l’ex-segretario della FIM-CISL Bentivogli definì felicemente come keynesismo a fumetti.
Nel quadro di una resa ai meccanismi perversi di quella che è stata definita “globalizzazione” e dei processi dirompenti di finanziarizzazione dell’economia, “scambio politico”, assenza di una visione industriale, incapacità di tenere il ritmo dell’innovazione tecnologica hanno rappresentato fattori che evidentemente continuano a pesare in maniera esiziale sulle prospettive dell’economia italiana.

TUROLDO
PER IL TRENTESINO DELLA MORTE



Domenica 6 febbraio 2022 alle ore 11 per ricordare il 30° anniversario della morte di padre David Maria Turoldo, il “Comitato Amici di Turoldo”, i frati della Basilica di San Carlo al Corso e il “Fogolâr Furlan” di Milano hanno deciso di dedicargli la Sala ovale della Basilica dove verrà collocata una targa. Avranno luogo proiezioni, eseguiti canti,  espresse testimonianze, e sarà celebrata una messa con la presenza del vicario episcopale come da locandina qui riprodotta. Con le dovute cautele e nella più assoluta sicurezza collettiva, cercheremo di svolgere al meglio questa giornata in onore di un religioso, poeta e uomo da noi tanto amato. [A. G.]


La targa della Sala Turoldo


Il programma del 6 febbraio


La lettera dell'Arcivescovo

CODERNO DI SEDEGLIANO


La locandina del ricordo


LA FRASE DEL GIORNO



“Noi anziani, ormai, non siamo
che carbone e cenere, di una giovinezza
che bruciammo senza accenderla”.
Nicolino Longo

 

sabato 29 gennaio 2022

QUIRINALE
di Massimo Pamio


Qualche considerazione sull’elezione del Presidente della Repubblica     
 
L’indecoroso spettacolo a cui stiamo assistendo in questi giorni in cui i grandi elettori non riescono a eleggere il Presidente della Repubblica è stato sanzionato da molti come esemplare immagine dello stato di crisi in cui verserebbe l’attuale sistema democratico rappresentativo italiano. A mio avviso invece si sta appalesando sempre di più la crisi del leaderismo, ovvero dell’attuale inopinata delega che i partiti hanno affidato ai loro capi, responsabili unici delle scelte e della gestione politica.  
La restrizione del modulo del partitismo al leaderismo è la questione irrisolta del nostro Paese, che ormai affida le sue sorti agli umori personali. Evoca lo stantio ricordo di monarchie e dittature.
A che cosa è dovuto il passaggio dal partitismo al leaderismo? Alla superficialità che proviene dalle esigenze dei tempi che l’attuale società turbocapitalista impone, a tutto detrimento della vita riflessiva e molto più consapevole che la vita sociale e il bene comune richiedono. Il leaderismo porta inevitabilmente al prevalere degli interessi egoistici e privati e alla formazione di ristretti centri di potere che vanno a occupare tutti i centri e a dirigere l’intera dinamica sociale, creando squilibri, privilegi intoccabili, differenze insormontabili, il consenso organizzato attorno a una gestione sempre più ristretta.
Il leaderismo è pericolosissimo, e il cosiddetto populismo di cui si è parlato a proposito del consenso che questi leader riescono a conseguire nelle piazze e presso le folle, sta a sancire proprio la mancanza di un dialogo democratico che veniva organizzato fino agli anni Settanta in Italia dai partiti. I partiti non esistono più, non esistono più i circoli dei partiti, le sedi dove la gente – il popolo, la base – si riuniva per discutere i problemi della cittadinanza. Tutto questo è scomparso per motivi legati ai tempi e ai tagli delle spese: gli affitti delle sedi sono esosi, è meglio dibattere tra pochi leader, tanto il risultato non cambia. A quanto pare, non è stato così. Ormai c’è un distacco completo tra il leaderismo e la democrazia. I nodi vengono al pettine: i leader non convincono più, non riempiono più le piazze, anzi, al contrario, la gente li contesta, diffidando di loro che non riescono neanche a formulare un nome apprezzabile per il Quirinale. Come se in Italia non ci fossero migliaia di Donne e Uomini di alta cultura, dotati di elevate capacità diplomatiche. E di provata fede antifascista, perché la Repubblica Italiana è nata dalla reazione al fascismo e la continuità va mantenuta.

MEMORIA
di Giuseppe O. Pozzi
 


Non solo per la memoria ma per interrogarci sul mistero della vita.
 
Trovo importante celebrare il Giorno della Memoria ma per ragioni differenti da quelli storici consueti. Da clinico, so che la memoria è uno strumento delicato dal momento che serve anche per dimenticare, non per cancellare. La questione è tutta nel come si dimentica sapendo che l’essere parlante non fa che rimuovere ciò che non riesce a tollerare. La realtà rimane nella traccia mnestica ma la verità che sta dentro questa realtà storica, funziona in modo differente e riguarda il soggetto, uno per uno, con la sua volontà di non volerne sapere nulla. La verità può essere detta solo a metà, ci ricorda Jacques Lacan, mentre la realtà è descritta e narrata da qualcuno. È questa narrazione che fa il bagno costantemente nella verità che il soggetto narra a sé stesso, prima ancora di narrarlo o testimoniarlo ai suoi simili. Certe verità, tuttavia, viaggiano più facilmente, sulle ali dell’arte e della poesia più che su quelli della narrazione storica. Per questo occorre investire nella cultura e nella formazione di base di un popolo ma attraverso la responsabilità con l’uno per uno dei soggetti. Non una formazione al sapere ma una formazione al conoscere. C’è una bella differenza tra conoscere e sapere. La conoscenza rimanda a Socrate ed al suo/nostro “Conosci te stesso”. La domanda è sempre e solo quella: Chi sono io? e ancor di più: Chi sono io per l’Altro? Il Das Ding che abbiamo perso e che vogliamo ritrovare sta in quelle domande a cui nessun essere parlante è mai veramente pronto a rispondere ma sono anche le uniche per le quali vale la pena prepararsi. Il sempre negletto “Estote parati” è a queste domande che si riferisce. Il sapere è diventato un prodotto prêt-à-porter, un gadget della modernità per cui si sa tutto di tutti e di tutto. Si tratta di un sapere che vale ormai sul piano dell’uno per uno ma nel senso mortifero e dispersivo. Non esiste più la parola del maestro. La mia parola vale quanto quella dello scienziato premio Nobel dove però, il valore della parola ha perso il suo legame con ciò che significa. La parola per la parola che, ormai, non conta più. Amara consolazione che, purtroppo, offre alla parola/gadget il potere di illudere che si possa fare a meno di varcare la porta della conoscenza. Porta che, per varcarla, occorre dimostrare a sé stessi di non avere paura dell’angoscia che ne presidia il passaggio. Un passaggio che spalanca il buco sull’Ade, come ben riconosce Dante. Senza Virgilio, però, a nulla può il potere salvifico di Beatrice e, poi, è comunque attraverso di lei che si arriva a riveder le stelle della conoscenza, le stelle del chi sono io? e del chi sono io per l’Altro? Mi è sempre apparsa palpitante e trasparente la frase misteriosa di un’anonima signora morta nei Gulag sovietici che lascia una testimonianza vitale sul muro che la seppelliva: Non puoi dire di avere amato fino in fondo, / se non hai scritto fino in fondo (vedi C. Pieralli, La lirica nella ‘zona’: poesia femminile nei Gulag staliniani e nelle carceri in https://fupress.com/archivio/pdf/2713_6338.pdfE ancora, a pag. 233 dello stesso testo: “Conservare i versi nella memoria era una necessità poiché era la via più sicura per non incappare in ulteriori vessazioni. Non solo, ci si doveva salvaguardare anche dalla possibilità che estranei vedessero o carpissero parole. Una poesia di Platon Nabokov rende bene questa atmosfera, ribadisce la necessità di non verbalizzare la propria verità che è definita sacra, di non affidarla alla carta: Con l’anima erra solitario, / che gorgheggi e sbuffi fino al limite, / ma un sorso di verità sacra / non affidarlo alla carta (Veselaja 2009:22-23). L’insegnamento è sempre orale ed ha valore perché sollecita alla ricerca del non detto. Per questo ogni lettore, ogni ascoltatore sa di poter imparare a partire da ciò che non sa. In analogia alla psicoanalisi, l’analizzante riesce a leggere/ascoltare/incontrare sé stesso e cioè il proprio inconscio a partire dal suo non sapere chi è. La burocrazia dei protocolli, anche quelli che riguardano la scuola e la produzione del sapere non possono nulla di fronte al mistero della vita dell’essere parlante. Occorre lasciare lo spazio al lettore che vuole leggere ed ascoltare a partire da ciò che non sa, dal mistero dell’esistenza umana che è il solo, paradossalmente, a poterlo sostenere. 
 

 

STERMINIO



“Hitler non morì suicida.
Ma d'infarto.
Quando gli fu recapitata
la bolletta del gas”.
Nicolino Longo

POESIA
Il girotondo della memoria
 


Non dimenticare uomo
il tempo dei mostri...
e non fu la favola di 
Pollicino e dell'orco...
"Se questo è un uomo"
Non può dirsi tale per
tanto orrore e crudeltà.
Non potrà dirsi mai o
urlarsi nella valle...
anche l'eco è ammutolito.
Come può un uomo
inventarsi la ragione del diverso 
per uccidere
fino allo sterminio...
Non lo fa un'ape e non lo fa 
un fiore accanto ad un altro fiore...
I fiori sono diversi nel 
mazzo colorato
per amore
e per i prati della libertà.
L'arcobaleno ha i colori
della pace e
vola
aquilone del bambino
per farne un uomo
giusto:
un uomo che
dipinge l'aria di pensieri 
buoni 
si toglie il suo
mantello per coprire chi 
ha freddo 
offre la sua borraccia a chi 
ha sete 
dà il suo pane a chi
ha fame.
I bambini prendono
l'arcobaleno per farne 
intorno
un girotondo di memoria
per non dimenticare...
Mai!
 
[Laura Margherita Volante] 

venerdì 28 gennaio 2022

SENZA MEMORIA NON C’È FUTURO



Verona. Subito dopo la Seconda guerra mondiale c’era voglia di dimenticare, voltare pagina, chiudere con il passato, guardare avanti. I nazisti, fuggendo, avevano cercato di cancellare, bruciare le prove dei campi di sterminio, far sparire le tracce. Era meglio, per tutti, fare finta di non sapere.
Se oggi abbiamo memoria di ciò che fu, è solo grazie ai testimoni, ai sopravvissuti, agli ex deportati, che hanno conservato indelebili ricordi, che hanno raccontato, che hanno mantenuto la coscienza vigile. Grazie ad Associazioni come Aned (associazione nazionale ex deportati nei campi nazisti), Anpi, gli Istituti storici della Resistenza, oggi conosciamo perfettamente come il nazifascismo pianificò lo sterminio, come fu possibile che ciò avvenisse nel cuore dell’Europa.
È questa “memoria” che ci spiega come l’Olocausto non fu opera di un piccolo gruppo di pazzi gerarchi nazisti, ma fu una immensa operazione politica e bellica preparata, finanziata, sostenuta, attuata con il consenso di milioni di persone. La tragica Seconda guerra mondiale che mise in ginocchio l’intera Europa, fu la conseguenza di quella pianificazione. I treni, i forni crematori, furono il necessario corollario di quella politica militarista. Questa è la verità che ci tramanda la Memoria.
L’immane massacro di milioni di ebrei, rom, omosessuali, disabili, malati psichiatrici, oppositori politici, obiettori di coscienza, disertori, renitenti, e di altri “diversi”, non sarebbe stato possibile se la furia nazista non avesse trovato terreno fertile nella collaborazione delle Istituzioni e in buona parte delle popolazioni dei Paesi occupati. Furono italianissimi funzionari obbedienti alle leggi razziali del 1938 a predisporre gli elenchi di cui poi si sarebbero avvalse con facilità le SS per arrestare e deportare. Non sarebbe bastato l'esercito nazista a sterminare gli ebrei ucraini, ungheresi, rumeni, francesi, greci, e molti altri ancora, se in ciascuno di quei Paesi il razzismo, l’antisemitismo, il collaborazionismo, la delazione non avessero spianato la strada agli assassini in divisa.
Solo con la resistenza nonviolenta, con l'obiezione di coscienza, con la disobbedienza civile alla barbarie che vuole tornare, solo con la promozione dei Diritti umani e il rispetto della Costituzione, sarà possibile fermare lo sterminio oggi ancora in atto. Dobbiamo recuperare la memoria del passato, per trovare la forza di agire nel presente.
Ciascuno di noi è chiamato oggi a costruire l'antibarbarie.
Dunque, dobbiamo essere infinitamente grati a quelle donne e quegli uomini, a chi con la nonviolenza resistente si oppose alla violenza nazista, a chi non ha taciuto, a chi ha saputo dire no, se oggi celebriamo la Giornata della Memoria.
Le parole di speranza scritte da Anna Frank nel suo Diario sono rivolte a noi:
Vedo il mondo mutarsi lentamente in un deserto, odo sempre più forte l'avvicinarsi del rombo che ucciderà noi pure, partecipo al dolore di milioni di uomini, eppure, quando guardo il cielo, penso che tutto si volgerà nuovamente al bene, che anche questa spietata durezza cesserà, che ritorneranno l'ordine, la pace e la serenità.
Tocca a noi, qui ed ora, alzare la testa per guardare il cielo.


[Movimento Nonviolento]

CONVIVERE CON IL COVID
O ABITUARCI ALLE MORTI?

 
Sono 145.159 vittime da febbraio 2020 ad ieri 27 gennaio.
 
Continua lo scandalo della gestione della pandemia della Giunta Regionale lombarda. Incurante del caos totale in cui versa la sanità lombarda, Moratti persegue un’abile strategia: pur se ogni giorno i dati sulle morti sono pesanti, punta solo ad accreditare la ipotesi che ci parla del plateau del picco e del lento sfumare dei contagi. Anche se si verificherà, gli esperti mettono in guardia dall’allentamento della vigilanza e ci parlano di possibili nuove ondate anche con altre varianti, (vedi la 5° ondata in Israele) la Giunta invece si prepara a farci convivere con il virus, rassegnandosi alla sua endemicità. Ci dicano Fontana e Moratti se convivere con il virus significa:
1) considerare normale, scontata, inevitabile l’impennata ancora in atto delle morti per Covid (ieri 352 morti in Italia, 87 in Lombardia);
2) continuare a lasciarlo correre indisturbato, puntando solo sulla vaccinazione, quando si sa che i responsabili dei contagi non sono i non vaccinati, ma le migliaia di asintomatici che lo trasmettono senza saperlo e che continueranno a farlo ancor di più se verranno attenuate le precauzioni;
3) Continuare a non fare il necessario nei trasporti locali, nelle scuole, nella sanità programmando un immediato piano di assunzioni pubbliche. Per queste inadempienze ad ogni ondata si ripete il fallimento di questa Giunta. È difficile farsi curare, persino avere una ricetta in tempi accettabili dal Medico di Medicina Generale, quando c’è;
4) occultare e una strage nascosta: il numero delle morti avvenute di chi non è stato curato a causa del Covid. Eppure sarebbe facile scoprirlo: la mortalità del 2020-2021  a confronto di quella del 2019, ci fornirebbe la dimensione dei risultati drammatici di questa gestione regionale e nazionale subalterna alle multinazionali del Farmaco (non si toccano i diritti di proprietà dei brevetti), alla Confindustria e alla Confesercenti (prima la produzione e il profitto, le compere delle feste, etc), che mina alle fondamenta il nostro Servizio Sanitario Nazionale, lascia in completa solitudine i cittadini malati e i loro famigliari  e li spinge verso la medicina privata.        
Non si deve convivere con il Covid, bisogna fermarlo a livello mondiale vaccinando al più presto tutta la popolazione, sospendendo i brevetti sui vaccini e ripristinando in Italia un servizio sanitario nazionale pubblico in grado di prevenire e curare tutte e tutti. I soldi ci sono, usiamoli per realizzare veramente l’art 32 della Costituzione.
   
Fabrizio Baggi, segretario regionale  
Giovanna Capelliresponsabile regionale Sanità
Partito della Rifondazione Comunista
Sinistra Europea Lombardia

Memoria
NON È MAI TROPPA

 
L’ascolto della canzone “Aushwitz” - Canzone del bambino nel vento - di Francesco Guccini mi ha trasportato la mente verso le immagini di film e documentari con ambientamento sui campi di sterminio, nonché all’incontro ravvicinato con Primo Levi, sopravvissuto a quella terribile e disumana prigionia insieme a pochi innocenti compagni di sventura.
Immaginavo l’odore acre del fumo che saliva lento dai camini dei forni crematori, portando con sé il dolore lancinante di tanti innocenti bruciati per non lasciare tracce del loro passaggio terreno. Il vento disperdeva nell’aria in tanti rivoli quel fumo intenso e cancellava ogni traccia dei misfatti dei carcerieri, mentre intorno un silenzio surreale sapeva di solitudine, di freddo, di omertà e di morte.
Quel fumo concentrava al suo interno il pianto di tanti innocenti col solo torto di essere vissuti in quel periodo storico e di essere stati dalla parte sbagliata. Se il fumo e il vento avessero potuto parlare avrebbero detto che il sentimento di pietà non abitava in quei luoghi di tortura. Tutte quelle povere vittime erano materia prima da bruciare e alimentare il fuoco di quei forni assassini.
Il vento ha fatto il suo dovere di disperdere nell’aria l’appello che qualunque uomo non ha il diritto di sopprimere la vita di un altro uomo”!
Quell’odore acre di morte, a distanza di anni, continua a vivere nelle coscienze umane per evitare che casi simili a quelli citati si possano ripresentare. Non a caso, è stata istituita la Giornata Mondiale della Memoria per non dimenticare quei misfatti, che tanto male hanno fatto all’umanità, affinché le nuove generazioni siano sempre vigili sulla difesa della libertà e che prendano coscienza che la storia potrebbe ripetersi, se girassero la testa dall’altra parte e lasciassero fare senza intervenire nell’indifferenza generale.
Quel vento, che non si è mai calmato, continua a far girare nell’aria mulinelli intrisi di odore di morte di quei forni crematori: è un monito per ricordarci che perdere il passato equivale a perdere il futuro. Quei morti innocenti chiedono che la loro morte non sia stata vana e che sia da ammonimento alle nuove generazioni per evitare tanti altri morti.
Il male continua a vivere nelle menti malate e ce ne sono più di quanto uno si immagini; i nostalgici di quei tempi brutti continuano a soggiornare in mezzo alle persone sane. L’intelligenza al servizio del male è più efficiente di quella al servizio del bene. Chi ha avuto la fortuna di ritornare sano e vivo da quei campi di sterminio ammonisce di tenere sempre acceso il lume della speranza sulla Giornata Mondiale della Memoria, perché quei fatti potrebbero ripetersi. In qualche parte del mondo le mamme potrebbero partorire esseri umani come quelle belve assassine.
Poiché la storia si ripete, bisogna dire al vento di non cancellare mai quel fumo che sapeva di morte e di dire ai recalcitranti che al posto di quelle vittime innocenti avrebbero potuto esserci loro, se fossero nati in quel periodo storico e se fossero appartenuti a quelle categorie di persone sacrificate. Per non fare di ogni erba un fascio, tanti esecutori erano obbligati a ubbidire ai comandi dei superiori e non alla loro coscienza, per evitare insubordinazioni punite severamente.
 
[Carmine Scavello] 

Memoria
LA RESISTENZA CONTINUA OGNI GIORNO
 


Contro lo sfruttamento dell’uomo sull’uomo.
 
Centinaia di lavoratori delle fabbriche di Sesto San Giovanni Breda, Falck, Marelli, Pirelli e di Milano, per essersi opposti al nazifascismo con gli scioperi contro la guerra chiedendo pane, pace e libertà, furono deportati nei campi nazifascisti e non ritornarono. Noi come sempre saremo presenti per onorare tutti gli operai deportati, resistenti e i partigiani di montagna e città. Anche se quest’anno non ci sarà il corteo, parteciperemo al presidio sabato pomeriggio al Parco Nord in onore dei lavoratori deportati dai nazifascisti per aver scioperato contro la guerra e di tutti i partigiani con il nostro striscione, ricordando anche i nostri compagni deportati e partigiani scomparsi alcuni anni fa come Ettore Zilli, operaio della Pirelli e deportato nei campi di sterminio nazista di Rakenau e Dachau, e compagno di lotta del nostro Comitato e del Centro di Iniziativa Proletaria “G. Tagarelli” ed Enzo Galasi, partigiano in città, che fino all’ultimo istante della loro vita hanno combattuto per un mondo migliore.
La Resistenza continua contro lo sfruttamento capitalista.     
Invitiamo gli associati, amici e compagni a partecipare dietro il nostro striscione.
 
Centro di Iniziativa Proletaria “G. Tagarelli
Comitato per la Difesa della Salute
nei Luoghi di Lavoro e nel Territorio