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martedì 18 gennaio 2022

FILOSOFI
di Fulvio Papi


Rembrandt "Il filosofo"
 
Sancta semplicitas.
 
Un filosofo di solito ha due strade per far correre il proprio pensiero.
Una delle due danza nello stile del pensiero matematico. La verità è costruibile solo con l’apparato concettuale privo di qualsiasi riferimento realistico. È il vero trionfo dell’essere. Il sogno infinito perché non ha limite se non nel proprio spazio: è il caso della verità autosufficiente, lo spazio ideale perché nasca la verità della filosofia. La seconda strada è la ricerca della verità nella “realtà” di qualsiasi oggetto. La verità conosce il suo limite e il suo inganno semantico. Del resto le due prospettive si incontrano reciprocamente in quello che chiamiamo la nostra vita. La filosofia “apre” in direzione di un realismo critico. Se si dimentica l’aggettivo siamo nel luogo comune. La filosofia conosce nell’Ottocento e oltre questa sterile avventura.
La pandemia ha mostrato che c’è anche una gloria umanistica, niente affatto solo una sconfitta. Anche se siamo fragili creature del contingente tessuto del mondo, anche se la ragione cerca di vincere il proprio oggetto. L’epidemia è l’oscuro dominio dell’oggetto e il rischio di una nostra possibile sconfitta. Il filosofo deve educare a non abbandonare il nostro posto, anche se il suo nemico può apparire più potente di altri che hanno segnato la nostra vicenda di creature dall’accadere di un mondo e niente affatto quello di signori dell’essere. La grande tradizione biblica ci insegna che potevamo essere simili a divinità, ma qual era il giardino degli Dei dove i fiori non appassiscono mai?