Lutti Nostri PER GIANNI CELATI di Luigi Fontanella
Gianni Celati
Una testimonianza (1937-2022) New York. Mi ha molto scosso la notizia della scomparsa di Gianni Celati, morto
nella notte tra il 2 e il 3 gennaio di quest’anno. Ne scrivo ora con commozione
e rimpianto per non averlo potuto frequentare più spesso... ma lui abitava da più di trent’anni a Brighton
(Gran Bretagna) con la moglie Gillian Haley, pur alternando periodi di
soggiorno nella sua amata Emilia: regione che lui ha descritto con
intelligenza, ironia e perfino gusto del paradosso in alcuni godibilissimi
libri, spesso accompagnandosi, nelle proprie esplorazioni, con Luigi Ghirri, artista-fotografo
che come lui sapeva cogliere le misteriose e più intime rigature della pianura
emiliana e dei suoi silenziosi abitanti. In questo ambedue possono considerarsi
un po’ i successori di Antonio Delfini, narratore e poeta ben conosciuto e
studiato da Celati che ne aveva finanche curato un libro, bello quanto editorialmente
sfortunatissimo: Autore ignoto presenta. Racconti scelti e introdotti da
Gianni Celati (Einaudi, 2008); un narratore, Delfini, mi piace aggiungere,
a me quanto mai caro. Anzi, in un certo qual modo, devo proprio alla mia
ammirazione verso la narrativa di Delfini se trent’anni fa scrissi alcuni
racconti, uno dei quali (intitolato Momo) osai inviare proprio a Celati.
Avevo da poco letto Quattro novelle sulle apparenze (Feltrinelli, 1987),
libro di intensissima suggestione che, insieme con Narratori delle pianure (ivi,
1985 e 1988)e Verso la foce (ivi, 1988, 1992),sono a mio
avviso tra le opere più belle e ispirate di tutta la narrativa dell’ultimo
Novecento italiano.
Celati mi rispose con una
lettera molto affabile e amichevole che ancora conservo, scritta a mano su un
foglio a quadratini. Fu esattamente da questo episodio che nel 1993 nacque la
mia conoscenza personale e successiva ma sporadica frequentazione dell’autore
delle Comiche: lo scintillante libro d’esordio di Gianni, tenuto a
battesimo da Italo Calvino (Einaudi, 1971). Per inciso, quel mio racconto, Momo,
sarebbe poi uscito nel 1994, grazie a lui e soprattutto a Cesare Garboli (altro
scrittore innamorato di Delfini), nella rivista «Paragone». Nato il 10 gennaio1937 a
Sondrio, Celati aveva studiato a Bologna laureandosi con una tesi su James
Joyce: scrittore al quale ha forse dedicato le sue maggiori attenzioni di scholar,
traducendo, fra l’altro, il celebre romanzo Ulysses, frutto di un accanito
lavoro durato oltre sette anni (Einaudi, 2013). Ma l’intensa attività
traduttoria, che ha sempre accompagnato la sua creatività in prosa, era iniziata
fin dagli anni Ottanta, ed è proseguita fecondamente nei decenni seguenti.
Fra
le opere squisitamente tradotte in italiano mi piace annoverare almeno Bartleby lo scrivano di Melville (1991), La
Certosa diParma di Stendhal (1993), I viaggi di Gulliver di
Swift (1997); anni fervidi di scritture, traduzioni e progetti letterari; progetti,
alcuni, anche giovanili(stici) e non realizzati, come ad esempio quello legato
alla creazione di una rivista da curare insieme con Italo Calvino, Carlo
Ginzburg, Enzo Melandri e Guido Neri. Le carte di questo progetto sono state poi raccolte in«Alì
Baba». Progetto di una rivista, a cura di Mario Barenghi e Marco Belpoliti(«Riga» n. 14, 1998).
Ben diversa la sorte
di un’altra ma felicissima rivista, invece realizzata («Il Semplice»), alla
quale nel biennio 1995-1997, fecero capo, oltre a Celati che ne era la guida
riconosciuta, non pochi scrittori italiani tra i più innovativi, quali Ermanno Cavazzoni,
Daniele Benati, Luigi Malerba, lo stesso Antonio Delfini, Ero Zoni, Gian
Ruggero Manzoni, Alessandro Carrera (quest’ultimo, insiemecon il sottoscritto, contribuì alla migliore
conoscenza di Celati in terra statunitense, conconferenze e letture organizzate rispettivamente presso la New York
University e presso la Harvard
University).
Né
va dimenticato il forte interesse di Celati verso la poesia; almeno due esempi,
sia pure espressivamente divaricati tra loro: la splendida trascrizione in prosa del poema di Matteo Maria Boiardo,
L’Orlando innamorato (Einaudi, 1994) e le vertiginose Poesiedella
torre di Hölderlin, che a suo tempo mi suggestionarono profondamente. Si
tratta, queste ultime, di versioni che uscirono da Feltrinelli nel 1993,
l’editrice presso cui, dopo Einaudi, Celati avrebbe pubblicato la maggior parte
dei suoi libri successivi. Notevole
e intrigante anche la sua attività cinematografica, per la quale ha prodotto
documentari come Strada provinciale delle anime, Il mondo diLuigi
Ghirri, Case sparse.Visioni di case che crollano. La
sua pressoché intera produzione narrativa è oggi raccolta nel Meridiano
mondadoriano Romanzi, cronache e racconti a cura di Marco Belpoliti e
Nunzia Palmieri (2016).
Mi
piace concludere questa mia veloce testimonianza con una annotazione di Franco
Marcoaldi, tratta da un suo articolo uscito all’indomani della scomparsa di
Gianni: «C’è
qualcosa di terribilmente struggente nella morte di Gianni Celati, avvenuta la
scorsa notte a Brighton, in Inghilterra. Perché ora che il suo cerchio vitale
si è chiuso, a 84 anni, l’impressione è che immaginazione e realtà, scrittura e
vita, si siano sovrapposte tra loro in un travaso reciproco e continuo.
Baudelaire parlava di correspondances, alludendo a quella rete
misteriosa di concordanze, analogie, coincidenze che percorrono segretamente le
vicende di ciascuno di noi» (in «La Repubblica», 3 gennaio 2022).
Di Gianni Celati, in
ultima analisi, resta indelebile e irresistibilmente accattivante ciò che io definirei
una sorta di grandiosità fantastica, squisitamente felliniana, che si
evince anche in opere solo apparentemente minori come, ad esempio, Recita dell’attore
Attilio Vecchiatto nel teatro di Rio Saliceto (Feltrinelli, 1996) o in Vite
di pascolanti (Nottetempo, 2006) cui arrise il Premio Viareggio. Uno scrittore, Celati, dotato di finissima,
pungente, paradossale ironia, tenera e crudele insieme, e di fecondo impianto
tendenzialmente sperimentalistico.