Dalla radice iak, da scrivere alla greca: ιαχ,i latini dedussero il verbo iac-io/iactum: getto,
lancio, metto fuori, innalzo, meno vanto,
significati estrapolati da questa perifrasi, attinente, come sempre, al
processo formativo: è ciò che nasce dal generare il passare (durante la
gestazione). Il pastore latino ricava, qui, dal grembo
sollevato, quanto appena riportato. Da iactus, nel senso di chi ha menato
vanto, dedussero iattante (millantatore) e, quindi, iattanza.
Altri pensarono che, in iactus, da tradurre alla lettera: è ciò che
manca il tendere (tus) durante il passare (qui il travaglio), c’è,
talvolta, la iattura, nel senso di perdita, danno, disgrazia,
sventura di quanto innalzato/menato vanto. Poi, con un’espansione logica, i latini formarono iac-ulor/iaculatus:
scaglio (il giavellotto), quindi: iaculum: giavellotto, iaculatorius:
vibrante come il giavellotto appena conficcato, preces iaculatoriae:
le giaculatorie. Da iaculor fu dedotto e-iaculor/eiaculatus:
getto fuori, schizzo. Questa radice, a seguito del prefisso, subisce una
trasformazione fonica (un’apofonia?) per cui si ebbe: pro-icioproicis,
proieci, proiectum, proicere: getto avanti, mando
via, espello, mi abbasso, discendo. Da proiectus si
ricavò ciò che viene lanciato: proiett-ile, ma anche (da discendo)
proiezione, ad esempio, ortogonale. Dal nuovo participio ietto,
si ebbe: iettare e iettatore e, quindi, getto, gettare.
Inoltre, da getto gli italici ricavarono progetto, a seguito di
questa considerazione: se durante la gestazione si realizza qualcosa
d’importante, c’è stata prima una mente che ha ideato il tutto, così
come i greci avevano dedotto, da (grafo) γράφω: scrivo,
(prografo) προ-γράφω: scrivo prima e, quindi, programmo
e programma. Quindi, formarono in-icio/iniectum: getto
dentro, immetto, a seguito di questa considerazione: se c’è una
formazione nel grembo, qualcuno ha iniettato (il seme), poi, da iniectus
(iniettato) si ebbe iniezione (mediante il clistere).
Successivamente,
formarono ad-icio/adiectum: aggiungo, da cui adiectivus (aggettivo,
nel senso originario di aggiuntivo). Tanto fu possibile in quanto il prefisso
ad è da tradurre: dal legare (la crescita graduale del grembo), per
cui si ebbe aggiunto e aggiuntivo. La parola addizione,
invece, fu dedotta da ad-do/additum: aggiungo, accresco, a
seguito di questa perifrasi: il legare che genera il mancaredetermina
un accrescimento (quello appunto del grembo) o un’aggiunta. Quindi,
da adiectus (ciò che viene sporto) furono dedotti nella lingua
italiana: l’aggetto, aggettare, aggettante. Inoltre, si formò ab-icio/abiectum: getto
via, mi disfo mediante vendita, abbandono. Il prefisso ab si
può rendere: dall’andare (qui nel senso: successivamente), per cui: quell’essere
che nasce, per le malformazioni o perché nato da uno stupro o da un tradimento,
può essere considerato: vile, rozzo, volgare, spregevole,
abietto e nell’abietto c’è l’abiezione, che è disprezzo profondo
per la vita disonorata che si conduce. Ancora, altra deduzione: con-icio/coniectum: arguisco,
presumo, congetturo, interpreto,in quanto quel segno
della gravida porta a congetturare e a fare delle congetture. Si ebbe, ancora, de-icio /deiectum: getto
giù, rovescio al suolo, poi, da deiectus (ammassato al
suolo) si dedusse: deiezione, anche nel senso di: il gettar giù,
abbattimento, evacuazione. Quindi, formarono re-icio/reiectum: respingo,
allontano, rifiuto, da cui reietto, rigetto, reiectio:
il rigetto, il rifiuto, la rinuncia. Questo verbo rimanda anche
allo ius exponendi da parte del padre, che era il diritto del padre di
rigettare la creatura, molto debole, anche perché prematura o malformata o
sospettata di non essere sua ecc. Fu, quindi, coniato: inter-icio/interiectum:
frappongo, interpongo, da cui interiezione con il
significato di: interposizione, frapposizione, parole che nel
dialogo rimandano all’interposizione di termini come: suvvia, orsù,
evviva, ahi noi, ohimè ecc.
Inoltre,
fu dedotto ob-icio/obiectum: getto verso, getto contro,
pongo innanzi, oppongo, obietto. Il pastore latino e,
successivamente, quello italico dicono che il grembo della gravida può essere
considerato come ciò che è posto davanti, da cui, obiettivo, nel senso
di obiettività/oggettività, ma anche nel senso di gettato
contro per raggiungere un obiettivo. Inoltre, nella contrapposizione
si evince l’obiezione che è la posizione contraria. Quindi, in chi ha
posto contro, c’è l’obiettore, che è colui che obietta. Inoltre,
in quel corpo che si protende fu estrapolato l’0ggetto, come qualcosa
che cade sotto gli occhi, di cui discuto e, in senso filosofico, per come dice
il vocabolario Treccani: “ogni cosa che il soggetto percepisce come diversa
da sé, quindi, tutto ciò che è pensato si distingue sia dal
soggetto pensante sia dall’atto con cui è pensato” ecc. Infine, fu dedotto sub-icio/subiectum:
pongo sotto, sottopongo, assoggetto, sottometto. Questi
significati e tutti gli altri acquisiti sono collegati alla lettura, anche
letterale, di sub: sotto. La perifrasi sub si deve rendere
così: quando la creatura manca, a voler significare: quando diviene e,
quindi, si forma. Un significato standardizzato fu sotto, ma, in realtà,
il pastore legge dei processi. Infatti, pensa: quando è nel grembo, quella
creatura è legata, è ristretta, è assoggettata, anche perché dal legame con la
madre riceve tutto: vita e sviluppo. Quindi, quella creatura non solo è
vincolata, ma, ricevendo grandi benefici, è soggetta a (alla madre), per
la quale, proprio per questo motivo, prova soggezione.
Mi piace
ricordare, a questo proposito, espressioni del mio dialetto: mi tened’
suggett’ (mi tiene soggetto), singh’ suggett’ (sono soggetto).
Pertanto, se si vuole essere liberi, non bisogna dipendere dagli altri, perché
non solo ti vincolano, ma ti condizionano psicologicamente, al punto di
incutere soggezione. Durante il Medioevo, forse a seguito della filosofia
scolastica, soggetto ed oggetto acquisirono altri significati.
Per quanto riguarda il significato di oggetto, è stata riportata la definizione
data da Treccani; per quanto riguarda soggetto si prese in considerazione
non solo la creatura in grembo, ma colui che ha generato la creatura:
soggetto pensante, artefice di quella creatura, che è stata ideata, realizzata
in modo soggettivo, recitata a soggetto ecc. Alle considerazioni fin qui fatte, bisogna aggiungere
che la radice iak, (non so se è la stessa di quella esaminata, in quanto
si potrebbe trattare di una radice omofona), dette luogo in latino a iac-eo:
giaccio, sto disteso, il cui omologo in greco è (keimai) κεῖμαι, da cui fu dedotto (ypokeimai) ὑπό-κειμαι: sono posto sotto (in greco ὑπό significa sotto), per cui in chi è posto
sotto, c’è il sottoposto. Altri pensarono che la creatura che vedo,
in questo momento, posta sotto, è presente, per cui definirono il
tempo presente: (o ypokeimenos chronos) ό ὑποκείμενοςχρόνος. Inoltre, con il neutro (to ypokeimenon) τό ὑποκείμενονtradussero: soggetto
pensante, soggetto artefice, in quanto il pastore greco ragionò così:
se c’è un sottoposto, che viene alimentato e viene fatto, si deve
dedurre che c’è uno che fa, che coincide con il significato dato dagli
italici al neutro subiectum (il soggetto). Queste ultime considerazioni fanno
pensare alla forza logica del neutro, in latino e soprattutto in greco, e
all’importanza della cultura greca, che non solo condizionò quella latina, ma
ancora di più quella italica, per l’apporto linguistico dei coloni. Quali
profonde differenze di significato si evincono da queste due frasi: sono
soggetto a e sono il soggetto di!