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lunedì 24 gennaio 2022

PAROLE E LINGUA
di Nicola Santagada

 
Il soggetto


Dalla radice iak, da scrivere alla greca: ιαχ, i latini dedussero il verbo iac-io/iactum: getto, lancio, metto fuori, innalzo, meno vanto, significati estrapolati da questa perifrasi, attinente, come sempre, al processo formativo: è ciò che nasce dal generare il passare (durante la gestazione). Il pastore latino ricava, qui, dal grembo sollevato, quanto appena riportato. Da iactus, nel senso di chi ha menato vanto, dedussero iattante (millantatore) e, quindi, iattanza. Altri pensarono che, in iactus, da tradurre alla lettera: è ciò che manca il tendere (tus) durante il passare (qui il travaglio), c’è, talvolta, la iattura, nel senso di perdita, danno, disgrazia, sventura di quanto innalzato/menato vanto.
Poi, con un’espansione logica, i latini formarono iac-ulor/iaculatus: scaglio (il giavellotto), quindi: iaculum: giavellotto, iaculatorius: vibrante come il giavellotto appena conficcato, preces iaculatoriae: le giaculatorie.
Da iaculor fu dedotto e-iaculor/eiaculatus: getto fuori, schizzo.
Questa radice, a seguito del prefisso, subisce una trasformazione fonica (un’apofonia?) per cui si ebbe: pro-icio proicis, proieci, proiectum, proicere: getto avanti, mando via, espello, mi abbasso, discendo. Da proiectus si ricavò ciò che viene lanciato: proiett-ile, ma anche (da discendo) proiezione, ad esempio, ortogonale. Dal nuovo participio ietto, si ebbe: iettare e iettatore e, quindi, getto, gettare. Inoltre, da getto gli italici ricavarono progetto, a seguito di questa considerazione: se durante la gestazione si realizza qualcosa d’importante, c’è stata prima una mente che ha ideato il tutto, così come i greci avevano dedotto, da (grafo) γράφω: scrivo, (prografo) προ-γράφω: scrivo prima e, quindi, programmo e programma.
Quindi, formarono in-icio/iniectum: getto dentro, immetto, a seguito di questa considerazione: se c’è una formazione nel grembo, qualcuno ha iniettato (il seme), poi, da iniectus (iniettato) si ebbe iniezione (mediante il clistere).



Successivamente, formarono ad-icio/adiectum: aggiungo, da cui adiectivus (aggettivo, nel senso originario di aggiuntivo). Tanto fu possibile in quanto il prefisso ad è da tradurre: dal legare (la crescita graduale del grembo), per cui si ebbe aggiunto e aggiuntivo. La parola addizione, invece, fu dedotta da ad-do/additum: aggiungo, accresco, a seguito di questa perifrasi: il legare che genera il mancare determina un accrescimento (quello appunto del grembo) o un’aggiunta. Quindi, da adiectus (ciò che viene sporto) furono dedotti nella lingua italiana: l’aggetto, aggettare, aggettante.
Inoltre, si formò ab-icio/abiectum: getto via, mi disfo mediante vendita, abbandono. Il prefisso ab si può rendere: dall’andare (qui nel senso: successivamente), per cui: quell’essere che nasce, per le malformazioni o perché nato da uno stupro o da un tradimento, può essere considerato: vile, rozzo, volgare, spregevole, abietto e nell’abietto c’è l’abiezione, che è disprezzo profondo per la vita disonorata che si conduce.
Ancora, altra deduzione: con-icio/coniectum: arguisco, presumo, congetturo, interpreto, in quanto quel segno della gravida porta a congetturare e a fare delle congetture.
Si ebbe, ancora, de-icio /deiectum: getto giù, rovescio al suolo, poi, da deiectus (ammassato al suolo) si dedusse: deiezione, anche nel senso di: il gettar giù, abbattimento, evacuazione.
Quindi, formarono re-icio/reiectum: respingo, allontano, rifiuto, da cui reietto, rigetto, reiectio: il rigetto, il rifiuto, la rinuncia. Questo verbo rimanda anche allo ius exponendi da parte del padre, che era il diritto del padre di rigettare la creatura, molto debole, anche perché prematura o malformata o sospettata di non essere sua ecc.
Fu, quindi, coniato: inter-icio/interiectum: frappongo, interpongo, da cui interiezione con il significato di: interposizione, frapposizione, parole che nel dialogo rimandano all’interposizione di termini come: suvvia, orsù, evviva, ahi noi, ohimè ecc.



Inoltre, fu dedotto ob-icio/obiectum: getto verso, getto contro, pongo innanzi, oppongo, obietto. Il pastore latino e, successivamente, quello italico dicono che il grembo della gravida può essere considerato come ciò che è posto davanti, da cui, obiettivo, nel senso di obiettività/oggettività, ma anche nel senso di gettato contro per raggiungere un obiettivo. Inoltre, nella contrapposizione si evince l’obiezione che è la posizione contraria. Quindi, in chi ha posto contro, c’è l’obiettore, che è colui che obietta. Inoltre, in quel corpo che si protende fu estrapolato l’0ggetto, come qualcosa che cade sotto gli occhi, di cui discuto e, in senso filosofico, per come dice il vocabolario Treccani: “ogni cosa che il soggetto percepisce come diversa da sé, quindi, tutto ciò che è pensato si distingue sia dal soggetto pensante sia dall’atto con cui è pensato” ecc.
Infine, fu dedotto sub-icio/subiectum: pongo sotto, sottopongo, assoggetto, sottometto. Questi significati e tutti gli altri acquisiti sono collegati alla lettura, anche letterale, di sub: sotto. La perifrasi sub si deve rendere così: quando la creatura manca, a voler significare: quando diviene e, quindi, si forma. Un significato standardizzato fu sotto, ma, in realtà, il pastore legge dei processi. Infatti, pensa: quando è nel grembo, quella creatura è legata, è ristretta, è assoggettata, anche perché dal legame con la madre riceve tutto: vita e sviluppo. Quindi, quella creatura non solo è vincolata, ma, ricevendo grandi benefici, è soggetta a (alla madre), per la quale, proprio per questo motivo, prova soggezione.



Mi piace ricordare, a questo proposito, espressioni del mio dialetto: mi tened’ suggett’ (mi tiene soggetto), singh’ suggett’ (sono soggetto). Pertanto, se si vuole essere liberi, non bisogna dipendere dagli altri, perché non solo ti vincolano, ma ti condizionano psicologicamente, al punto di incutere soggezione.
Durante il Medioevo, forse a seguito della filosofia scolastica, soggetto ed oggetto acquisirono altri significati. Per quanto riguarda il significato di oggetto, è stata riportata la definizione data da Treccani; per quanto riguarda soggetto si prese in considerazione non solo la creatura in grembo, ma colui che ha generato la creatura: soggetto pensante, artefice di quella creatura, che è stata ideata, realizzata in modo soggettivo, recitata a soggetto ecc.
Alle considerazioni fin qui fatte, bisogna aggiungere che la radice iak, (non so se è la stessa di quella esaminata, in quanto si potrebbe trattare di una radice omofona), dette luogo in latino a iac-eo: giaccio, sto disteso, il cui omologo in greco è (keimai) κεμαι, da cui fu dedotto (ypokeimai) πό-κειμαι: sono posto sotto (in greco πό significa sotto), per cui in chi è posto sotto, c’è il sottoposto. Altri pensarono che la creatura che vedo, in questo momento, posta sotto, è presente, per cui definirono il tempo presente: (o ypokeimenos chronos) ό ποκείμενος χρόνος. Inoltre, con il neutro (to ypokeimenon) τό ποκείμενον tradussero: soggetto pensante, soggetto artefice, in quanto il pastore greco ragionò così: se c’è un sottoposto, che viene alimentato e viene fatto, si deve dedurre che c’è uno che fa, che coincide con il significato dato dagli italici al neutro subiectum (il soggetto). Queste ultime considerazioni fanno pensare alla forza logica del neutro, in latino e soprattutto in greco, e all’importanza della cultura greca, che non solo condizionò quella latina, ma ancora di più quella italica, per l’apporto linguistico dei coloni.
Quali profonde differenze di significato si evincono da queste due frasi: sono soggetto a e sono il soggetto di!