Ciascuno
di noi ha certamente firmato più di un manifesto in cui si chiedeva il disarmo
universale, non solo come la conquista di un bene come è un’epoca di pace, ma
soprattutto con la convinzione che il disarmo atomico fosse la garanzia della
sopravvivenza di questo pianeta nelle attuali abitabilità antropologiche. Al
contrario, un conflitto atomico, come appariva in più che ragionevoli
immaginazioni, avrebbe comportato la fine dell’uomo, dell’abitabilità
antropologica e della riproduzione dell’attuale stato di natura. Una
immagine di questa portata, nel lessico più elementare veniva chiamata come la
fine del mondo. Questa catastrofe non è avvenuta come del resto lo ritenevano
impossibile gli storici che firmavano i documenti per bloccare una china senza
alcun ritorno. È intuitivo per chiunque “e quindi anche per i padroni del
mondo, che, se la conclusione di un conflitto è la distruzione di entrambi i contendenti,
il conflitto non ha alcun senso. È il caso più evidente dei rapporti più
diretti tra ragione ed esperienza. In
una dimensione infinitamente più grande e fatale si ripete il rapporto che in
ogni conflitto vi è tra ragione umana e violenza. Credo
sia questa la ragione profonda che ha impedito la definitiva catastrofe. Le
trattative “sagge” tra potenti sono state una messa in scena politica che ha il
suo significato fondamentale nella possibile prevenzione del conflitto. E quale
è, in generale, l’attuale situazione con una pandemia che può portare anch’essa
a danni molto gravi, i quali possono segnare una trasformazione molto
importante, quella che modifica la realtà che noi siamo soliti sostenere come
il nostro mondo. In quest’epoca, quali che siano stati i conflitti e ideologie,
il mondo non è mai stato nostro, anche se varie forme antropocentriche ci hanno
fatto credere il contrario. la
Bibbia ha fondato l’antropocentrismo come dono e compito che Dio ha dato
all’uomo perché governasse il suo ambiente. Da fonti contrarie era giunto
invece il messaggio che noi uomini siamo ospiti del mondo. Ma
quando il mondo è soggetto ad una pandemia, rispetto alla quale per ora si
limita nella conoscenza agli effetti della diffusione del virus, non può andare
anche oltre questo confine? Allora l’abitudine alle categorie filosofiche fa
dire che il soggetto - la vita sociale come la comunità - si trova di fronte a
un oggetto assoluto indifferente ad ogni forma interpretativa? La
risposta tradizionale del nostro razionalismo diede il tempo di rispondere al
soggetto assoluto, e mostra che la ragione è un compito aperto e non un oggetto
assoluto. È solo un’immagine superba quella che vede sempre di fronte ad un
pericolo e ad una paura il modello della ricerca scientifica? L’altra strada
interpretava il virus, l’epidemia, come punizione che deriva dalla nostra
corporeità. Nel
Settecento fu la prima risposta che colpì il comprendere della tragedia.
L’Europa ne fu sconvolta con un effetto simile ma non uguale a un epidemico
virus. La biologia è molto più complessa da comprendere rispetto ad ogni forma
meccanica. Due
secoli dopo ciascuno di noi ha certamente firmato più di un manifesto in cui si
chiedeva il disarmo universale non solo come la garanzia di un bene, come opera
di pace, ma soprattutto con la convinzione che il disarmo atomico era la
garanzia della sopravvivenza del nostro pianeta in condizioni di abitabilità
antropologica. Al contrario la catastrofe atomica, come appariva in più di una
immaginazione, avrebbe comportato la fine di queste condizioni e la
riproduzione di una immaginaria e tragica natura. Questa
catastrofe non è avvenuta come del resto auspicavano gli stessi firmatari dei
documenti che contrastavano una china bellica senza fondo. Come già detto, è
intuitivo per chiunque e quindi anche per i padroni del mondo che la
conclusione di un conflitto e la distruzione di entrambi i contendenti, è in
questo caso un conflitto senza senso. Come
rapporto diretto tra ragione e sopravvivenza, in una dimensione più grande e
fatale, si ripete il rapporto che in ogni conflitto vi è tra ragione umana e
violenza che la ignora. Era anche la risposta che una cultura dava ai disastri,
intesi come punizioni divine dei nostri peccati, una strada che interpreta
virus ed epidemia come punizioni che noi meritiamo. Nel secolo dei lumi fu intesa
come prova religiosa della catastrofe che coinvolse l’Europa, paragonabile a un
epidemico virus. Ricordiamoci
che la parola vita nel nostro
linguaggio comune dovrebbe appartenere solo a una stagione di primavera.