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domenica 6 febbraio 2022

TRA PAURA E REALTÀ
di Fulvio Papi


Ciascuno di noi ha certamente firmato più di un manifesto in cui si chiedeva il disarmo universale, non solo come la conquista di un bene come è un’epoca di pace, ma soprattutto con la convinzione che il disarmo atomico fosse la garanzia della sopravvivenza di questo pianeta nelle attuali abitabilità antropologiche. Al contrario, un conflitto atomico, come appariva in più che ragionevoli immaginazioni, avrebbe comportato la fine dell’uomo, dell’abitabilità antropologica e della riproduzione dell’attuale stato di natura.
Una immagine di questa portata, nel lessico più elementare veniva chiamata come la fine del mondo. Questa catastrofe non è avvenuta come del resto lo ritenevano impossibile gli storici che firmavano i documenti per bloccare una china senza alcun ritorno. È intuitivo per chiunque “e quindi anche per i padroni del mondo, che, se la conclusione di un conflitto è la distruzione di entrambi i contendenti, il conflitto non ha alcun senso. È il caso più evidente dei rapporti più diretti tra ragione ed esperienza.
In una dimensione infinitamente più grande e fatale si ripete il rapporto che in ogni conflitto vi è tra ragione umana e violenza.
Credo sia questa la ragione profonda che ha impedito la definitiva catastrofe. Le trattative “sagge” tra potenti sono state una messa in scena politica che ha il suo significato fondamentale nella possibile prevenzione del conflitto. E quale è, in generale, l’attuale situazione con una pandemia che può portare anch’essa a danni molto gravi, i quali possono segnare una trasformazione molto importante, quella che modifica la realtà che noi siamo soliti sostenere come il nostro mondo. In quest’epoca, quali che siano stati i conflitti e ideologie, il mondo non è mai stato nostro, anche se varie forme antropocentriche ci hanno fatto credere il contrario.
la Bibbia ha fondato l’antropocentrismo come dono e compito che Dio ha dato all’uomo perché governasse il suo ambiente. Da fonti contrarie era giunto invece il messaggio che noi uomini siamo ospiti del mondo.
Ma quando il mondo è soggetto ad una pandemia, rispetto alla quale per ora si limita nella conoscenza agli effetti della diffusione del virus, non può andare anche oltre questo confine? Allora l’abitudine alle categorie filosofiche fa dire che il soggetto - la vita sociale come la comunità - si trova di fronte a un oggetto assoluto indifferente ad ogni forma interpretativa?
La risposta tradizionale del nostro razionalismo diede il tempo di rispondere al soggetto assoluto, e mostra che la ragione è un compito aperto e non un oggetto assoluto. È solo un’immagine superba quella che vede sempre di fronte ad un pericolo e ad una paura il modello della ricerca scientifica? L’altra strada interpretava il virus, l’epidemia, come punizione che deriva dalla nostra corporeità.
Nel Settecento fu la prima risposta che colpì il comprendere della tragedia. L’Europa ne fu sconvolta con un effetto simile ma non uguale a un epidemico virus. La biologia è molto più complessa da comprendere rispetto ad ogni forma meccanica.
Due secoli dopo ciascuno di noi ha certamente firmato più di un manifesto in cui si chiedeva il disarmo universale non solo come la garanzia di un bene, come opera di pace, ma soprattutto con la convinzione che il disarmo atomico era la garanzia della sopravvivenza del nostro pianeta in condizioni di abitabilità antropologica. Al contrario la catastrofe atomica, come appariva in più di una immaginazione, avrebbe comportato la fine di queste condizioni e la riproduzione di una immaginaria e tragica natura.
Questa catastrofe non è avvenuta come del resto auspicavano gli stessi firmatari dei documenti che contrastavano una china bellica senza fondo. Come già detto, è intuitivo per chiunque e quindi anche per i padroni del mondo che la conclusione di un conflitto e la distruzione di entrambi i contendenti, è in questo caso un conflitto senza senso.
Come rapporto diretto tra ragione e sopravvivenza, in una dimensione più grande e fatale, si ripete il rapporto che in ogni conflitto vi è tra ragione umana e violenza che la ignora. Era anche la risposta che una cultura dava ai disastri, intesi come punizioni divine dei nostri peccati, una strada che interpreta virus ed epidemia come punizioni che noi meritiamo. Nel secolo dei lumi fu intesa come prova religiosa della catastrofe che coinvolse l’Europa, paragonabile a un epidemico virus.
Ricordiamoci che la parola vita nel nostro linguaggio comune dovrebbe appartenere solo a una stagione di primavera.