La pubblicazione e la
diffusione del mio testo poetico dal titolo “Il menù è pronto” sui pericoli di
una catastrofe nucleare e come monito ai capi di stato e di governo, ha avuto
un consenso molto vasto. Anche fra persone lontane dalle mie idee; segno, questo,
che c’è un sentimento che ci accomuna più di quanto a volte immaginiamo.
Stranamente a risentirsene è stata una sola lettrice, una donna di cui conservo
una immensa stima per il suo indefesso impegno contro la violenza mafiosa e
l’illegalità. Forse non siamo più abituati ad un verseggiare che prenda di
petto una certa realtà o può darsi che il tono di alcune parole suonino brutali
alle nostre orecchie. Confesso che ne farei a meno io stesso, e mi occuperei
più volentieri dei fantasmi che agitano la mia immaginazione di scrittore,
piuttosto che di criminali al potere che ci vogliono portare alla catastrofe
collettiva. O di sindaci indegni che non fanno una piega se pezzi di città
vanno in malora, se il bene pubblico viene offeso, o un palazzo storico è
lasciato al degrado. In fin dei conti vengo forzatamente distratto dal mio
lavoro e dalle mie passioni, e se vedo una lapide partigiana devastata o
illeggibile, non sono capace di stare zitto, di farmi gli affari miei. Alla mia
età sarebbe stato molto più saggio stare a casa riparato dal freddo sabato 26
febbraio, invece di aprire il corteo della protesta di Milano contro la guerra
Ucraina con un altro incorreggibile antimilitarista più vecchio di me (Giuseppe
Bruzzone), un gruppo di mamme insegnanti e una nidiata di bambini celati sotto
la gigantesca lunghissima bandiera con i colori dell’arcobaleno divenuta
simbolo di pace. Abbiamo retto questa immensa bandiera da piazza Castello fino
in Duomo gridando contro la guerra e contro i guerrafondai che l’alimentano.
Anche i bambini gridavano con noi e i giornalisti si infilavano sotto la
bandiera per fotografarli. Dietro di noi i manifestanti erano migliaia e c’è
voluto un bel po’ prima che potessero entrare nella piazza e molti sono rimasti
in coda. Una bella dimostrazione di consapevolezza e solidarietà di Milano.
Visto che c’erano i bambini, era doveroso che ci fossero i grandi, e non c’è
altro da aggiungere. Mi dispiace tuttavia che la mia lettrice citata si sia
risentita per quei miei “duri” versi. Sono sicuro che Pasolini ne avrebbe usati
di più violenti, come fece per la strage di Piazza Fontana, ed è a lui che ho
pensato nello scriverli. Come ho ripetuto tante volte bisogna aver paura dei fatti
degli uomini di potere (in questo caso la guerra e le devastazioni), non delle parole
dei poeti che li condannano, anche se a volte il tono può sembraci sgradevole. Ora
che l’Europa ha deciso di gettare benzina sul fuoco del conflitto inviando
armi, e con essa la nostra “pacifica” Italia, facendo aumentare il rischio di
una catastrofe nucleare, è probabile che la lettrice avrà più terrore di questo
rischio concreto, che dei miei poveri e impotenti “duri” versi.