Mentre scrivo, piovono le
bombe russe sull’Ucraina ma la difesa ostinata di Zelensky non solo non pone
fine alle ostilità ma anzi le alimenta. L’Occidente, fedele alla linea della
pace con le armi, invia in Ucraina ordigni bellici per rafforzare le milizie
della resistenza. A dire il vero, i governi dell’Occidente inviano armi, ché le
popolazioni, le Caritas, le Ong, la Chiesa, le associazioni religiose inviano viveri e beni di prima necessità,
medicine, vestiti, denaro. L’opinione pubblica, quella che si indigna e
condanna Putin e il suo vile atto di aggressione, incita il governo ucraino a resistere,
a non cedere allo sporco ricatto, a non piegarsi all’invasore. Siamo alle
solite. Che pacifismo è quello che chiede la tregua armata, che vuole la
liberazione di un popolo con i fucili e le bombe? È un irenismo di facciata,
ideologico, politicizzato. Chi canta fuori dal coro, poi, viene sempre
marginalizzato se non, peggio, denigrato ed insultato. Ma è la forza della
ragione che spinge a dire che le cause di questo conflitto, la sua genesi, sono
molto più complicate di qualsiasi liquidatoria separazione del mondo fra buoni
e cattivi. Sono d’accordo con quanto afferma il prof. Antonello Ciccozzi, in un’intervista
a Selvaggia Lucarelli su Radio Capital: “Che ci sia un invasore e un popolo
invaso è indiscutibile ma in questi giorni chiunque osi dire che armare gli ucraini sia
una scelta eventualmente poco condivisibile viene tacciato di essere filorusso
o un pacifista da bandiera della pace sul balcone. Si può ascoltare chi ha un
parere diverso, chi ha una visione più ricca di sfumature anche non
condividendola ma che può aiutare a interpretare il punto di vista degli
altri”. Io continuo a sostenere che l’Ucraina si deve
arrendere, deve cedere alla ragione del più forte, quella della violenza, della
ribalderia, della prepotenza. Solo così si potrà salvare. Bisognerebbe non inviare
armi sempre più sofisticate ma, al contrario, invitare l’Ucraina a disarmarsi,
affinché possa consegnarsi con maggiore facilità all’invasore. In
questo modo le forze russe si fermeranno e si porrà fine all’inutile
spargimento di sangue. “È proprio il mecenatico Occidente che sta gettando
nella più totale rovina l’Ucraina. Quanto più essa viene invogliata, con
foraggiamento di armi e denaro, a resistere, tanto più la Russia avrà tempo di
ridurla in macerie. Far massacrare un popolo, pur sapendo che l’esito non può
che esserne la resa, o il conflitto nucleare per tutti, è il crimine di guerra più
obbrobrioso e repellente di questo mondo”. Così scrive il poeta Nicolino Longo,
su “Odissea” Ai tavoli delle trattative occorre spingere l’Ucraina
ad annullare la richiesta di entrare nella Nato ed incoraggiare invece la
Russia ad accettare la sua adesione all’Europa. Solo così le negoziazioni
conseguirebbero un successo. È bene che la Crimea ed il Donbass siano interamente
annessi ed ufficialmente riconosciuti alla Russia, anche nel rispetto delle
volontà delle popolazioni locali. Alimentare la narrazione mediatica del
coraggio e dell’eroismo di un piccolo Davide, quale il presidente Zelensky,
contro il gigante Golia Putin serve ad ammannire ad un Occidente in crisi di
sistema e in perdita di valori un baluardo di orgoglio identitario vetero novecentesco
già travolto dalla storia, un vessillo di furore nazionalistico che dovrebbe
essere già stato spazzato dal vento dei cambiamenti.
Con il manicheismo e le
semplificazioni forzate non si va da nessuna parte. Afferma ancora il prof.
Ciccozzi: “Ormai i media sono affetti da una tentazione dilagante alla
polarizzazione, alla divisione netta in due tribù nemiche. Durante le guerre
questo comporta che gli spettatori finiscano arruolati in un fronte virtuale
dove diventa obbligatorio stare da una parte sola, è vietato soprattutto
riflettere sul gioco tra le parti. Questa perdita di terzietà può essere
pericolosa, particolarmente in questo caso, perché fa allargare il fronte di
guerra in una divisone dell’immaginario collettivo in due parti. Armare con
l’elmetto di guerra e il fucile le narrative mediatiche intorno al conflitto è
particolarmente pericoloso perché aumenta il rischio di escalation bellica da
un piano di conflitto regionale a un piano di guerra globale che sarebbe termo nucleare”.
E a proposito del pacifismo interventista: “se c’è la resistenza e dall’altra
parte si combatte, gli ucraini fanno la stessa fine. Non
verranno deportati ma salgono comunque sui treni per scappare e chi resta
muore”. Intanto a Mariupol e Sumy si crepa barbaramente e nemmeno i corridoi
umanitari vengono rispettati: una orribile, tragica mattanza di poveri civili
perché comandano i sentimenti e non soccorre la ragione. Solo la resa immediata
potrebbe fermare tutto ciò. Certo, una resa tattica, ovvero una finta, in
attesa di tempi migliori. Trovo splendide le parole di Angelo Gaccione,
direttore del sito letterario Odissea, il quale, riprendendo la posizione di
Michele Serra, pubblicata su “la Repubblica” qualche giorno
fa, scrive: “Confortato dai suggerimenti di Serra, e dalle sue proposte ardite,
arrivo a dire che se fossi stato membro del governo ucraino mi sarei battuto
per sciogliere l’esercito e non avrei fatto aderire il mio Paese ad alcuna
alleanza di tipo militare. E se qualcuno avesse voluto invadere la mia patria
mi sarei recato in televisione e lo avrei sfidato davanti al mondo intero:
Venite pure, avrei detto, non troverete carri armati né soldati; né contraerea
né missili. Troverete solo gente inerme e disarmata: troverete anziani, donne,
bambini, operai, contadini, impiegati, studenti, professori che non opporranno
resistenza. Potete occuparci ma avrete vita difficile: non collaboreremo con
gli occupanti in nulla, praticheremo una disubbidienza civile attiva e il mondo
vi disprezzerà. Avrei protetto in tal modo la vita e i beni dei miei
compatrioti, le nostre bellissime città, il nostro apparato industriale. Avrei
evitato distruzioni, profughi, disperazioni, odii, e forse l’invasore si
sarebbe fermato. Avrei usato l’alternativa alla logica delle armi di cui ha
parlato Serra, e prima di lui Tolstoj, Gandhi, Russell, Einstein, Cassola, e papa
Francesco”.