La pace come sola sintesi possibile. In questo momento è davvero angosciante cercare di riflettere sul
senso profondo della guerra come chiamata alle armi senza rispondere fino in
fondo alle domande sulla logica della morale e sulla profondità della politica. Tanto più si sente l'angoscia quando ci si trova ristretti dentro
l'ondata di una informazione a senso unico che cerca di condizionare in maniera
totalitaria una espressione di opinione e una possibilità di scelta che non sia
semplicemente quella di un "campo". È assente dalla
riflessione la costruzione di una identità collettiva da considerarsi tanto dal
punto di vista del Potere, quando dal punto di vista del Conflitto. In questo
suo duplice aspetto di Potere e di Conflitto la politica è pensabile come un’essenza,
rintracciabile attraverso la risoluzione di alcune questioni: 1)Qual è l’origine della collettività e quali i suoi fondamenti di
legittimità? 2) Quale rapporto c’è tra l’energia originaria delle forme politiche
e le loro realtà istituzionali? 3) Quali sono i soggetti dell’azione del potere politico, cioè chi
agisce, chi comanda che cosa a chi? 4) E questo comando come avviene, con quali limiti, a quali fini? 5) Quali sono i confini dell’ordine politico, come e da chi sono
individuati, chi includono e chi escludono? Le concrete risposte a queste domande possono arrivare soltanto
attraverso una riflessione sulle forme storiche della politica e sono
determinate soltanto dalle modalità con cui le categorie che abbiamo fin qui
indicato, conflitto, ordine, potere, forma, legittimità, sono di volta, in
volta organizzate praticamente e pensate teoricamente. Non
si può sfuggire a questo livello di analisi semplificando tutto all’interno di
una sola categoria: quella del potere, da cui discende la scelta estrema della
guerra. Della politica, infatti, fa parte anche il modo con cui essa viene
discorsivamente mediata e criticata dai suoi soggetti e dai suoi attori: la
politica è una pratica che deve essere sempre un’elaborazione intellettuale e
valutativa. Le “armi della critica” rimangono
fondamentali, non alienabili. È il caso di ripetere la nostra domanda: ciò che
sta accadendo può essere considerato “politica” che prosegue con le armi della
guerra, oppure semplicemente lotta per un potere indefinito, al di fuori da
qualsiasi riferimento sistemico a valori, progetti, programmi, visione del
mondo? Dal nostro punto di vista la domanda è retorica e la risposta
scontata: adesso, in questa folle rincorsa non ravvediamo tracce di politica. Tanto
più che va aggiunta una considerazione: nonostante che si tenti, come sta
accadendo o forse è già accaduto, di ridurre così la politica a “simulacro del
comando” non sarà possibile cancellare l’idea del conflitto. Così ridotto l’esercizio del potere inteso come autoreferenzialità
permanente, sarà sempre arbitrario ed eccederà sempre la norma: in questo modo
la “questione morale” sarà sempre direttamente connessa con l’arbitrarietà e
l’eccesso. Il punto di fondo dell’interrogativo che si intende porre in questa
occasione rimane allora quello del come, attraverso i meccanismi della
democrazia, si possa riuscire a limitare l’eccesso del potere rispetto alla
norma e portare finalmente la politica dentro il conflitto che dovrebbe
rappresentare l'obiettivo di queste ore. Un tema che nel ’900 si affrontò nello
scontro tra totalitarismi e organizzazione democratica e che oggi, toccato con
mano che “la storia non è finita”, dovrà essere ripreso in termini nuovi sui
quali però non pare essere ancora partita una adeguata riflessione. Respingendo qualsiasi valutazione di neutralismo da anime belle e
costretti quindi a lottare dentro un improprio conflitto tra morale e politica
la sola via possibile è quella di proclamare la pace come valore assoluto, sola
sintesi possibile tra morale e politica.