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mercoledì 6 aprile 2022

ARTE E GUERRA
di Angelo Gaccione


 


U
n Cristo inchiodato alla croce con alle spalle il simbolo della pace spezzato e grondante di sangue, il teschio della morte ai suoi piedi, due soldati armati di tutto punto con le insegne della Russia e dell’Ucraina, la bandiera dell’Unione Europea a sinistra e il logo delle Nazioni Unite a destra, compongono il racconto per immagini più emblematico della tragedia che si sta svolgendo nel cuore dell’Europa. Nel margine in basso la didascalia che il pittore vi ha riprodotto recita: Gesù Cristo dilaniato dalle culture moderne. Per Cristo dilaniato va intesa l’umanità, quella parte di umanità innocente che è costretta a subire la criminale volontà omicida dei potenti. Le culture moderne che la dilaniano si incardinano chiaramente nelle idee guerrafondaie e nelle sue pratiche di sopraffazione e di sterminio. A realizzarlo, assieme ad un’altra serie di opere, tutte ispirate al tema della guerra e del conflitto e confluite nella cartella dal titolo: Guerra alla pace, è l’artista gallipolino Max Hamlet Sauvage. Il rapporto tra arte e guerra in passato è stato più intenso e gli artisti erano molto più consapevoli di quanto lo siano diventati ora. Basti pensare al tedesco George Grosz o al Picasso di Guernica. Più contemporaneo a noi l’artista milanese Enrico Baj con la sua polemica antimilitarista e i suoi ossessionanti generali gallonati, ma è rimasto un caso più unico che raro. Ed è ben strano tutto questo, perché l’epoca contemporanea, quella che noi abbiamo definito “era nucleare”, ha reso spaventosamente minacciosa la guerra e le ha conferito (grazie agli ordigni di sterminio totale accumulati negli arsenali degli Stati) un potere smisurato: cancellare l’intero genere umano, animale e vegetale, ed azzerare per sempre ogni forma di vita futura sul nostro pianeta. Ma non è solo l’arte pittorica ad essere diventata poco sensibile ad un tema tanto ultimativo; la letteratura non ha posto più la guerra al centro della propria riflessione, quasi a volerne rimuovere il terrore, a dimenticarla perché non potesse angosciarci. Questo vale per i narratori (con rarissime eccezioni come per Carlo Cassola e pochissimi altri) e vale per i poeti. In tempo di pace non nascono versi contro la guerra o intorno ai temi che le guerre determinano. I poeti e i letterati non se ne occupano e dunque la guerra non esiste. In tempo di guerra qualche poeta più sensibile, e tutto sommato emarginato, prova a misurarsi con la materia, ma sono casi sporadici e molto isolati. I versi che si mettono in circolazione, appartengono al repertorio dei poeti di un tempo molto lontano dal nostro, e le frasi che compaiono sui muri o veicolate attraverso il circuito della Rete, sono mutuate prevalentemente dalla saggistica politica antimilitarista, dalla tradizione nonviolenta e pacifista, dalle parole d’ordine della contestazione. Ma si tratta in special modo di pensieri e frasi estrapolati dalle opere di pensatori e filosofi, da leader come Gandhi, Martin Luther King, scienziati che hanno avversato la guerra come Einstein, come Russell e così via. Qualche raffigurazione pittorica realizzata con bombolette spray compare sui muri delle nostre città, ma come atto estemporaneo, anonimo, militante, e non certo come prodotto di artisti noti al grande pubblico. E anche il cinema è rimasto latitante, eccezion fatta per singoli docufilm o reportage. Che mi risulti, dopo il docufilm sul rischio nucleare corso dall’umanità sventato grazie al colonnello della Russia sovietica Stanislav Evgrafovič Petrov, nessun grande regista si è cimentato sul tema di un possibile olocausto nucleare. 



Dunque, il fatto che Max Hamlet sia tornato prepotentemente con la sua pittura su un tema che gli è stato sempre molto a cuore (si pensi ai suoi acrilici degli anni Ottanta del secolo scorso in cui compaiono opere come: Animali sterminatori, Cessate il fuoco, Cospiratori al telefono, tanto per fare qualche citazione) è tanto più meritorio proprio per il “deserto” e l’indifferenza che caratterizzano il mondo dell’arte su tale materia. In linea con gli stilemi espressivi che contraddistinguono la sua arte, i bombardieri da cui ventri cadono bombe sulle città sono raffigurati con il becco di animali, e i soldati impegnati nel conflitto al posto della testa hanno o delle escrescenze vegetali o di bestie. In passato c’era stata un’altra cartella sul disarmo nella quale assieme ad un’opera di Hamlet comparivano serigrafie originali di altri cinque artisti contemporanei: Muscetra, Bertini, Ripamonti, Brindisi e Baratella. Ma anche questa era stata realizzata più per spinta del pittore gallipolino che per convinzione profonda degli artisti inseriti. Il lavoro di cui ci stiamo occupando ora, tutto suo e tutto personale, parte sì dal conflitto in atto avversandolo, ma ne accentua i rischi e la disumanizzazione. Un soldato armato di mitra in mezzo ad un campo di floride spighe di grano è una aberrazione perché il grano è pane, cioè vita, ma il fungo atomico che spunta minaccioso nella parte alta di uno di questi dipinti, è un monito per tutti noi, e per chi oppone guerra alla pace, come recita il titolo di questa raccolta pittorica.