Èstata inaugurata lo scorso 4 marzo, all’approssimarsi del trentennale
dell’inizio delle ostilità che portarono alla guerra in Bosnia Erzegovina
(aprile 1992), la mostra collettiva, a cura di Galerija Brodac e Kuma
International, intitolata «ReMemory 1992-2022/Art and Memory», che espone le opere
di undici artisti e artiste nazionali e internazionali e partecipanti a
workshop tematici, sul tema, cruciale nei
percorsi di trasformazione e di trascendimento del conflitto,della memoria e delle cosiddette «forme della commemorazione».
Come viene indicato nella presentazione dell’iniziativa, infatti, «i workshop
si sono concentrati sull’arte contemporanea e la fotografia nel contesto delle
forme contemporanee di commemorazione. I workshop consistevano in approcci
teorici e pratici e utilizzavano metodologie interattive, dinamiche, per coinvolgere
pienamente i giovani partecipanti. Con questi ultimi, gli artisti e le artiste Ziyah
Gafić, Smirna Kulenović, Enrico Dagnino, Mak Hubjer, Velibor Božović e Aida
Šehović hanno risposto a numerose domande su natura e forme della memoria, del
tipo: «come ricordiamo il passato e qual è il ruolo dell’arte e della fotografia
nella commemorazione?». «I workshop sono stati organizzati nell’ambito
del progetto intitolato «ReMemory 1992-2022: 30 years of remembrance through
art in Bosnia and Herzegovina». In occasione del trentesimo anniversario dell’inizio
della guerra di Bosnia, il progetto si concentra sulle storie di Sarajevo e di Gorazde
e coinvolge attivisti/e ed artisti/e allo scopo di offrire una prospettiva
locale/contestuale sulle conseguenze del passato e sulla memoria degli eventi
del passato. Il progetto è pensato per offrire a tutti i partecipanti una
conoscenza approfondita sui concetti di divisione e spazi contesi,
tempo e fluidità dei confini, e per consentire ai partecipanti di
riflettere sul ruolo dell’arte e della cultura nella trasformazione sociale. L’obiettivo
del progetto è di permettere la scoperta del passato per un futuro positivo e inclusivo
in Bosnia Erzegovina al fine di incoraggiare un percorso unitario e coerente. I
workshop hanno offerto un’opportunità unica per studiare il passato all’interno
della comunità». Sulla base delle note di presentazione, infatti,
«la Galleria Brodac è stata fondata con l’entusiasmo di
diversi volontari disposti a combattere contro l’oppressione socio-economica e
politica e contro l’indifferenza. Un gruppo di giovani artisti ha organizzato «azioni
di lavoro» per creare uno spazio in cui esporre e condividere con i colleghi, dal
momento che né le autorità né altri erano disposti a prendersi cura dell’arte
che le giovani generazioni hanno da proporre. La missione primaria è di
promuovere e valorizzare la scena artistica contemporanea in Bosnia e all’estero,
un contributo concreto per cambiamenti positivi nella società. Migliorare la
qualità della vita dei/delle cittadini/e portando avanti quanto di più
importante c’è per la loro crescita personale e collettiva: la cultura. L’arte
è - prima di tutto - uno strumento utile e necessario per combattere l’analfabetismo
e il più forte sostegno per le persone. Un artista è un lavoratore che
rappresenta costantemente tutti i lavoratori e tutte le lavoratrici, che
lavorano per vivere, guadagnando equamente attraverso il processo della
creazione, realizzando un prodotto per il bene di tutti e tutte. Generando opportunità
per gli artisti e per il pubblico di interagire in uno spazio indipendente, lontano
da qualsiasi condizionamento politico o sociale indesiderato, va avanti il
processo di de-marginalizzazione della cultura per rendere la scena artistica
contemporanea più forte». Il tema
dei workshop, che hanno rappresentato l’ossatura concettuale del momento
espositivo, con le opere di undici artisti ed artiste (Irma Bajramović, Velibor
Božović, Enrico Dagnino, Anela Dumonjić, Ziyah Gafić, Mak Hubjer, Nora Köhler,
Smirna Kulenović, Michael Pribich, Bedrija Šahbaz, Aida Šehović), è condensato
dunque nel titolo: «ReMemory 1992-2022: trenta anni di commemorazione
attraverso l’arte in Bosnia Erzegovina», dove il termine commemorazione
allude, in effetti, al processo memoriale e finisce per indagare non solo lo
spazio e le forme della «memoria nel post-conflitto», ma anche contenuti e
modalità del processo di commemorazione stesso, come processo sociale,
organizzato nello spazio pubblico, di esercizio del ricordo (a livello
personale e familiare) e di costruzione della memoria collettiva (a
livello pubblico e politico). Se il
tema della memoria collettiva si afferma, cioè, come veicolo potente di
elaborazione di immaginari e di definizione di narrazioni collettive,
attraverso forme sociali e ritualità condivise, si staglia sullo sfondo,
proprio a partire dai contenuti della mostra, un tema delicatissimo e fondamentale,
quello dell’arte come strumento di elaborazione del dolore e del trauma e come vettore
di superamento e trasformazione del conflitto. L’arte è cioè una formidabile opportunità
di manifestazione e di espressione attraverso la creatività e nello spazio del
simbolico, e, come tale, può stimolare energie e attivare risorse. In questo
senso, si afferma anche un principio di “politicità dell’arte”. L’arte è cioè,
nella sua contestualizzazione nello spazio pubblico e nella sua capacità di
vivere attraverso, dare forma e costruire relazioni sociali, intrinsecamente
“politica”, nel senso più vivace e performativo del termine. E, di conseguenza,
può essere anche un potente strumento di intervento sul conflitto, di
interpretazione delle contraddizioni, di prefigurazione di orizzonti
alternativi. Come
hanno ricordato, in un loro potente saggio proprio su questi temi, Lisa Schirch e Michael Shank, «benché l’arte non sia puramente funzionale,
può tuttavia servire le funzioni sociali. L’arte è uno strumento che può
comunicare e trasformare il modo in cui le persone pensano e agiscono. Le arti
possono mutare le dinamiche all’interno di complicati conflitti inter-personali,
inter-comunitari, nazionali e globali. [...] Le arti possono aiutare le persone
a cambiare la loro visione del mondo. Durante un conflitto, i problemi appaiono
insormontabili e totalizzanti. [...] L’arte può costituire, in definitiva, una
struttura di riferimento per delle problematicità o delle relazioni, capace di
offrire nuove prospettive e nuove possibilità di trasformazione, agire come un prisma
per consentire di guardare il mondo attraverso una nuova visuale».