Laura Cantelmo scrive all’amica Claudia Azzola. Cara Claudia, l'angoscia è oggi il
sentimento dominante, anche e forse ancor più tra coloro che si battono per la
pace e il disarmo, venendo spesso tacciati di codardia. Mandare armi a chi ne
è da anni ampiamente rifornito dagli Usa significa gettare benzina sul fuoco
tanto da non permettere che la guerra abbia possibilità di un negoziato, che
sempre più verrà vanificato - come già avviene - se non si è disposti ad
abbassare minimamente la posta in gioco. I cosiddetti bei discorsi servono a
contestualizzare la situazione per capire come uscirne. Gli appelli alla
solidarietà e all'accoglienza sono umanamente necessari, certo. Mio
figlio, ad esempio, si è recato in Ucraina per distribuire generi di prima
necessità e prelevare malati da trasportare negli ospedali
italiani. Occuparsi di come uscirne politicamente, tuttavia, attiene alla categoria
del pacifismo, che non è una posizione da rammolliti salottieri, ma rappresenta
qualcosa di molto serio, quando si inveisce contro l'orso russo che tutti
deprechiamo, evitando di vedere lucidamente tutte le parti in campo, che non
sono solo, come si sa, i due contendenti. E le cui vittime inconsapevoli sono
proprio gli ucraini e, diciamolo chiaramente, noi stessi. Prendersela, come fa
tutta l'informazione schierata con l'elmetto, con chi riflette sopra una guerra
la cui soluzione, se sfuggisse di mano - come ormai avviene - potrebbe essere
davvero la fine per tutti, è fuorviante, per usare un benevolo eufemismo. Devo a questo punto pronunciare la breve formula rituale? Con imbarazzo
sincero lo farò senza dilungarmi, a scanso di equivoci: "Non sono dalla
parte di Putin né approvo la sua politica" (Mi dispiace che sia ormai
necessario fare questo gesto - quando il punto è ben altro - onde evitare
accuse infamanti e malintesi. Pessimo segno, davvero, per chi parla di
democrazia). Un abbraccio. Laura Cantelmo