Essere pacifista in tempo di Guerra. Mi sento pacifista integrale, "senza se e
senza ma"; cerco di seguire, nel mio piccolo, gli insegnamenti sulla non
violenza di Gandhi, don Milani, Ernesto Balducci, Aldo Capitini, Bruno Bauer e
quanti nei secoli li hanno preceduti (ricordo il frammento di Archiloco, lirico
greco, che si disinteressava dello scudo e del suo onore, ritenendo più
importante aver salva la vita...) e non manderei le armi ad alcuno dei
contendenti. Ma sento la domanda che sempre viene rivolta a chi la vede come
me, da parte di chi, quelle armi, le manderebbe: "cosa faresti ora?".
Ecco il punto: proprio la domanda è sbagliata, in questo caso, come in tutti i
casi passati. Chiedere ad un pacifista, che non vuole la guerra, che cosa
farebbe durante una guerra, sarebbe come chiedere a chi non sa nuotare, che
cosa farebbe per salvarsi mentre sta annegando: avrebbe deciso prima di non
entrare in acqua! Se la "guerra è la prosecuzione della politica con altri
mezzi", la domanda andrebbe rovesciata:"voi che oggi inviereste le
armi, cosa avete fatto, quando era il momento della politica, prima che la
situazione degenerasse e la politica proseguisse con le armi della
guerra?". Abbiamo da poco festeggiato il 25 aprile: da quella lotta di
liberazione nacque la nostra democrazia. I padri costituenti, usciti dalle
macerie, scrissero che “L'Italia ripudia la guerra come mezzo di risoluzione
delle controversie internazionali". Intendevano questo: che le
controversie si risolvono con la politica, "senza se e senza ma". Antonio Prattella