Palme, culluri e grano. La Pasqua della mia
età infantile e per tutto il tempo in cui ho vissuto nella mia città di
origine, è stato il dolce che impastavano le donne a forma di corolla con le
uova intorno, o quello che evocava quasi l’idea di un bimbo con le gambette
intrecciate e l’uovo collocato nel centro della testa. I culluri, nella
lingua dialettale, termine che con piccole varianti si ritrova in molti luoghi
della Calabria. Allora si usava un impasto morbido che si riempiva di minuscoli
chicchi di anice nera dal profumo magnifico e che non ho mai dimenticato. Col
tempo è subentrata una pasta diversa, dolce, di ottima fragranza, ma priva di
sofficità e di quell’anice dei nostri dirupi difficile da reperire, tanto
preziosa e rara che aveva come parametro di misura quello di un ditale. Si
vendeva a ditali, quelli che usavano le donne per ricamare, i sarti, e che
tutti avevamo in casa. E le palme benedette, senza le palme la Pasqua non
esisteva. Ma attenzione, le nostre palme erano e sono rimasti i ramoscelli di
olivo, da sempre simboli di pace e di amicizia conviviale, tanto da essere esposti
fuori da cantine e cellai dove i privati vendevano il vino prodotto dalle loro
vigne. E le infiorescenze ricavate dai semi di grano e portati nelle chiese
dentro ciotole e vasi. Un nome che nella nostra lingua rimanda al lavoro
perché davuru è il grano, e il grano è fatica, è lavoro. Fatica per il
pane. Dove vivo ora, a Milano, i culluri sono
della seconda specie: così le realizza mia moglie e non abbiamo mai saltato una
Pasqua. Mai, anche perché ne facciamo dono agli amici. La Pasqua ebraica e
cristiana è venuta dopo, con le letture la prima e con il Passio la
seconda. Tanto da spingermi a scrivere un testo teatrale come Pathos, e
da recarmi a Gaeta per vedere la Montagna spaccata: conseguenza del tremendo
terremoto dopo che il Cristo aveva esalato l’ultimo respiro, come racconta la
tradizione. Per i credenti Pasqua non è la pasah aramaica del “passare
oltre” o quella ebraica divenuto simbolo della liberazione dalla schiavitù in
Egitto, è qualcosa di molto più profondo e per certi versi “scandaloso”:
nientemeno che la resurrezione, la vittoria della vita contro la morte, la
purificazione, la rinascita ad una vita nuova e monda, la promessa attraverso
il sacrificio alla vita eterna. Ci ho pensato molto in questi giorni di delirio
e di guerra e mi sono chiesto: verrà un tempo in cui gli uomini rinunceranno a
darsi la morte?