Ho volutamente, nel titolo di questo scritto, messo l’accento
sugli artefici, i costruttori, invece che sul concetto, perché è la passione
indefessa dei primi (gli utopisti) a dare corpo e sostanza alla “cosa”
(l’utopia). Posta così la questione, i detrattori dell’utopia non hanno alibi:
i primi sono uomini che agiscono, lottano, producono idee, si impegnano per
dare corpo alle loro visioni; mentre i detrattori sono dei morti in vita, degli
ignavi; si credono realisti, e se ne vantano, perché accettano il mondo così com’è,
storture e disastro ecologico-nucleare compresi. La loro passiva indifferenza non
serve che a giustificare lo status quo, il conformismo, il senso comune. Rappresentano
la zavorra, “il peso morto della storia”, come ha scritto con molta efficacia Gramsci.
Il vero realista è proprio l’utopista, perché entra concretamente in conflitto
con una vita disumana e minacciata, e si dà da fare per realizzarne una che rimuova
tali minacce. “Una mappa del mondo che non contiene il Paese dell’Utopia non è
degno nemmeno di uno sguardo, perché non contempla il solo Paese al quale
l’Umanità approda di continuo. E quando vi getta l’àncora, la vedetta scorge un
Paese migliore e l’Umanità di nuovo fa vela. Il progresso altro non è che il
farsi storia delle utopie”. Conosciamo tutti queste parole di Oscar Wilde a
proposito dell’utopia, e non c’è bisogno di alcuna chiosa interpretativa. Mai
si era sentita tanta ostilità verso l’idea considerata utopistica del disarmo e
della pace, come durante questo insensato, criminale, realistico, concreto,
conflitto russo-ucraino. Mai i fautori del realismo, decisi a rispondere a
bombe con bombe, a fuoco con fuoco, a guerra con guerra, si sono trovati
prigionieri impotenti della loro tragica realtà. Della loro “realpolitik”. Una
realtà fatta di morte, di devastazione, di profughi. Una realtà perversa,
mortifera, irrazionale. E mai è stato così lungimirante, necessario, concreto,
urgente, contrapporre a questa insana e infausta realtà, la forza ragionevole e
generosa dell’utopia basata sul dialogo, il cessate il fuoco, il negoziato, la
richiesta perentoria della abolizione delle armi di sterminio, dello
scioglimento delle alleanze foriere di tensioni, dell’obbligo del disarmo, pena
la fine della vita stessa del genere umano. Utopia è basare l’illusione della
propria sicurezza e quella del nostro pianeta sull’esistenza di migliaia di
testate nucleari, su eserciti sempre più agguerriti e dotati di mezzi altamente
distruttivi, su una spesa militare che ha superato i due mila miliardi di
dollari. Questa sì è utopia e follia ad un tempo, incapace com’è di trovare una
via d’uscita, e il cui esito non potrà che essere il disastro generale. Al
contrario, quanti a questo delirio si sono opposti e si oppongono, vogliono
preservare vite, impedire odio, suggerire un altro modo di impiegare l’enorme
ricchezza sprecata per accumulare ordigni di morte. Quale fra queste due
visioni è più razionale, umana, necessaria? Giudicate voi. Il realismo è
intellettualmente pigro, prevedibile, ottuso. È impotente e incapace di osare.
Gli utopisti tutto questo lo sanno. Sanno che ogni costruzione umana, proprio
perché fatta dagli uomini, può da altri uomini essere modificata in meglio. Seppure
minoritari si applicano con tenacia a quest’opera di modifica. E si deve alla
loro perseveranza se la speranza resta viva, e se non disperiamo del tutto
della piega infame che i “realisti” hanno impresso al corso della storia.